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Rai, diritti e doveri.....
14.11.2004

Inchiesta per conoscere i diritti e i doveri della Rai
Il servizio pubblico ha il suo codice etico. Si chiama ''contratto di servizio''

Nell'articolo 1 del contratto di servizio si parla della missione imposta alla Rai dagli aiuti di stato: qualità e contabilità separata tra introiti pubblicitari e canone. Sono veramente rispettati?
Alla Rai si imputano molte responsabilità, riguardo alla qualità della sua produzione, spesso le accuse sono giustificate. Ma se si osservano con attenzione gli argomenti utilizzati nella disputa sul rispetto del servizio pubblico che le compete, emerge una stupefacente dimenticanza: nessuno, proprio nessuno, parla del contratto di servizio stipulato tra l'Azienda e lo Stato. Eppure gli addetti ai lavori ne conoscono l'esistenza e sanno che si tratta di un documento che definisce nei dettagli compiti e finalità del servizio pubblico, sanno anche che, se quel contratto fosse applicato, molte delle critiche che oggi si abbattono sulla programmazione Rai verrebbero cancellate alla radice. E allora come si spiega il silenzio? Forse con una certa stremata sfiducia sull'applicabilità di contratti che fissano precisi paletti sui diritti e doveri dei contraenti, magari anche con il senso di inutilità che suscita il dover rivolgersi, per chiederne l'attuazione, ad un governo che sull'argomento gode di una credibilità prossima allo zero.
Sono obiezioni comprensibili, ma resta che quel contratto esiste, è scritto nero su bianco, ed è firmato solennemente da entrambi i contraenti: il ministero delle Comunicazioni e la Rai. Ed è evidente che può costituire un'arma importante nella battaglia per restituire dignità al servizio pubblico: denunciare una violazione contrattuale è un fatto più sostanziale che lamentarsi per un principio disatteso. Quanto meno sarà difficile negare la fondatezza dell'accusa.
Non resta che allargare la conoscenza di quel contratto, facendolo uscire dalla cerchia degli specialisti. E' quello che intendiamo fare con una serie di articoli che usciranno su Aprileonline: chi seguirà le tappe si imbatterà in scoperte inaspettate. Nonostante qualche vaghezza ed alcune ambiguità, la Rai disegnata dal contratto di servizio è quella che tutti vorremmo: programmi di qualità, contabilità rigorosa, obiettivi "alti". E' perfino previsto un sistema di vigilanza sull'applicazione del contratto, con tanto di sanzioni in caso di violazione.
Malauguratamente, quel che appare sui nostri teleschermi, con qualche rara eccezione, è ben lontano da questi parametri. Eppure è vero: il contratto di servizio, firmato nel 2003 dal prefetto Vittorio Stelo in rappresentanza del ministero delle Comunicazioni e dal professor Antonio Baldassarre, allora presidente del Consiglio d'Amministrazione Rai, è già in vigore e scadrà nel 2005. Su di esso, e sul concetto di servizio pubblico che contiene, si fonda lo status privilegiato della Rai rispetto alla concorrenza. Uno status che Mediaset ha già cercato di contestare nel 1996 con un esposto alla commissione Ue che la Rai disinnescò proprio elencando i suoi obblighi di servizio pubblico e sfoderando un inoppugnabile contratto di servizio.
In particolare, oggi vediamo cosa affronta il primo dei 35 articoli che compongono il contratto di servizio. In esso leggiamo sia quelle che dovrebbero essere le regole di carattere generale che alcune prescrizioni. Per il primo punto troviamo: garantire la libertà e la completezza dell'informazione, favorire la crescita civile, promuovere la cultura, assicurare una programmazione completa e varia. Mentre le prescrizioni impongono di assicurare la qualità del segnale televisivo e radiofonico e la massima copertura del territorio: una norma che suona ironica se si pensa che sono appena state soppresse le trasmissioni di Radio 2 e Radio 3 a onde medie, malgrado le proteste di molti utenti che non sono raggiunti dalla modulazione di frequenza e del Comitato di Redazione del giornale radio.
C'è poi un punto complesso, dove si parla di predisporre una "contabilità separa" con modalità che consentano di verificare che le risorse di derivazione pubblica siano destinate unicamente all'attività di servizio pubblico. L'intenzione è lodevole: la Rai, che può fare programmazione commerciale negli spazi lasciati liberi dagli obblighi del suo ruolo, non deve finanziarla con gli introiti del canone. Gli utenti possono pagare le trasmissioni di servizio, ma deve essere la pubblicità a pagare "L'isola dei famosi". Bene, ma che fine ha fatto questa contabilità separata? Esiste o è finita nel dimenticatoio? E dovrà servire anche in vista della prossima e assai fumosa privatizzazione? Perché bisognerebbe anche capire che cosa si vuole privatizzare: il settore coperto dalla pubblicità o anche quello finanziato dal canone.
Queste sono domande che per ora restano senza risposta, come quelle che riguardano l'ultimo punto elencato dall'articolo 1: l'individuazione di "un sistema di conoscenza del mercato" che consenta di mettere in relazione domanda e offerta e di certificare i risultati ottenuti. Se ci si riferisce all'Auditel è evidente che i dubbi crescono. Una recente ricerca dell'Istat, condotta su richiesta dell'Authority sulle telecomunicazioni e resa nota l'8 ottobre scorso, solleva robuste perplessità sui dati Auditel, che pure decidono la sorte dei programmi. Esiste cioè un potere immenso che oggi è attribuito ad un soggetto discutibile. E' un problema che il contratto di servizio si pone, come si vedrà, già nell'articolo 2. Se ne parlerà quindi anche nel secondo nel nostro secondo intervento.

Il testo del contratto: http://www.segretariatosociale.rai.it/regolamenti/contratto2003.html

* Meso: Tavolo di confronto tra Media e Società civile
[MeSo*]

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