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17.05.2003
 La povertà che resiste di Guido Martinotti
dal Corriere - 17 maggio 2003
Spesso a Milano i discorsi sulla povertà vengono affrontati con l’atteggiamento di quei parrocchiani frettolosi che entrano da una porta laterale della chiesa, fanno una rapida genuflessione di fronte all’altare ed escono altrettanto rapidamente dall’altro lato. Dobbiamo perciò essere molto grati a Enzo Mingione, responsabile dell’Osservatorio sulla povertà urbana della Bicocca, che ha presentato con Davide Benassi e Francesca Zajczyk i risultati di una indagine approfondita su 1.505 famiglie e 3.411 individui ( Corriere della Sera di ieri). A Milano sotto la soglia della povertà si trovano il 14 per cento delle famiglie e 162 mila individui. Un milanese su otto. Si tratta di dati che mettono in luce la cosiddetta «povertà relativa», il fatto che a Milano si è poveri anche con redditi superiori ai poveri di altre situazioni. E si è poveri innanzitutto se si è marginali rispetto al mercato del lavoro. Il 53% delle famiglie a rischio è costituito da anziani e i pensionati poveri sono il 15,7 delle famiglie di pensionati. Come gli anziani anche i minori si trovano più frequentemente in condizione di povertà , mentre lo sono di meno le fasce di età centrale in cui si concentra la popolazione attiva. L’istruzione è una salvezza: tra chi non ha completato gli studi minimi i poveri sono 5 volte più numerosi che tra i laureati. E l’altra componente è l’isolamento, che colpisce in modo drammatico più di ogni altra categoria le donne anziane sole (in larga parte vedove): un povero su 3. La buona notizia della ricerca è che la povertà non è concentrata in quei grandi ghetti che costituiscono l’incubo delle città contemporanee: la povertà a Milano è «diffusa». Ma questo non è un aspetto del tutto positivo per gli interessati, perché li nasconde e rende più difficili gli interventi. Comunque «povertà diffusa» non vuol dire che non vi siano, a Milano, luoghi della povertà . Ci sono e sono soprattutto, anche se non esclusivamente, nelle aree periferiche e nei maggiori insediamenti di edilizia popolare degradata, dove la pressione del costo dell’abitazione è minore e dove si concentrano giovani poveri e popolazione anziana. E nelle periferie troviamo anche le abitazioni più piccole, 37,2 metri quadrati pro capite contro i 51,7 delle aree centrali e i 44,1 della media cittadina. In molti modi i poveri sono l’altra faccia della società opulenta, come si può vedere dai dati americani. In una città ricca i poveri sono più poveri, e lo stesso accade a Milano, dove le famiglie in difficoltà subiscono una crescente pressione, soprattutto sul piano abitativo, che si traduce poi nell’espulsione verso le aree dell’hinterland. Proprio a seguito delle iniziative di sviluppo e rinascita urbana di cui per altri versi la città si compiace. Possiamo limitarci a recitare la nostra giaculatoria e stringerci nelle spalle accettando questo fenomeno come il prezzo da pagare allo sviluppo. Ma sarebbe un errore. Questo è un problema serio e si farà sentire sempre di più, ma la sua soluzione appartiene tipicamente a quella politica della città di cui si lamenta spesso la latitanza. di GUIDO MARTINOTTI da www.corriere.it
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