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La vecchia europa riparte nuova
14.11.2004
FOCUS DELLA SETTIMANA
La vecchia Europa riparte nuova
La firma del Trattato Costituzionale a Roma ha segnato un traguardo
ma per l’ingresso previsto di stati come Bulgaria, Romania e Turchia
i problemi aperti sono molti e riguardano specialmente libertà e diritti
Il 29 Ottobre 2004 per l’Europa è stata una data storica. I 25 Stati membri dell\'Unione Europea
hanno partecipato all’atto solenne della firma del Trattato e dell\'Atto finale della Costituzione per
l\'Europa, tenutasi a Roma in Campidoglio, nella sala degli Orazi e Curiazi. Questo luogo non è stato
scelto casualmente. Qui, il 25 marzo del 1957, i Sei Paesi fondatori - Belgio, Francia, Germania,
Italia, Lussemburgo, Olanda - firmarono i Trattati istitutivi della Comunità economica europea
(CEE) e della Comunità europea per l\'energia atomica (Euratom), meglio conosciuti come i
\"Trattati di Roma\". Come allora, Roma ha segnato una sorta di punto di svolta geopolitico tra la
vecchia e la nuova Europa nuova. Non a caso, il 29 erano presenti anche i Paesi candidati a entrare
nell’Unione nei prossimi anni, ovvero la Turchia, la Bulgaria e la Romania. I loro rappresentanti
hanno apposto la firma all\'Atto finale, iniziando a far sentire la propria voce in un panorama del
tutto nuovo rispetto alla storia che li ha contraddistinti finora. La Croazia, invece, ha presenziato in
veste di osservatore perché non ha partecipato ai lavori della Convenzione. Ma cosa ha comportato
tutto questo? Quali potrebbero essere i risvolti socioeconomici e politici della nuova stagione
europea? L’evento di Roma 2004 è stato, da una parte, il punto di arrivo di una imponente opera di
revisione e aggiornamento dei Trattati che stanno alla base della Comunità e dell’Unione Europea,
compiuta negli ultimi anni e che ha portato a ipotizzare e in parte a introdurre sensibili novità nel
tessuto istituzionale dell’edificio europeo e, dall’altra, come linea di partenza. Ora inizia la fase
decisiva. Il gigante bambino deve dimostrare armonia di intenti e capacità di cavarsela da solo. Ai
25 Stati membri tocca attendere cosa ne pensano i loro diversissimi popoli per sentirsi davvero parte
di un tutto. Bisogna attendere, insomma, la ratifica dei governi e i risultati degli eventuali, futuri
referendum che in alcuni Paesi vengono reclamati da fasce diverse di popolazione. Le incertezze,
emerse in questi giorni, si sono focalizzate sulle probabili nuove annessioni, vale a dire Romania e
Bulgaria che, forse, entreranno nella UE nel 2007. E, specialmente sull’entrata della Turchia a cui
non è stata data una data di ingresso sicura a motivo della riluttanza che suscita l’ingresso nella UE
di un Paese a maggioranza islamica. La vecchia Europa si sta rinnovando, ma la nuova Europa sarà
davvero un soggetto visibile e soprattutto amalgamato solo tra qualche tempo.

La firma dei Trattati di Roma. Sala degli Orazi e Curiazi 1957
Il Trattato Costituzionale
Il testo del Trattato Costituzionale si presenta come una imponente raccolta di materiali di diversa
provenienza. Una prima parte è costituita dal documento elaborato dalla Convenzione sull’avvenire
dell’Europa, esaminato nel mese di giugno 2003 e poi rielaborato dalla CIG (Conferenza intergovernativa).
Contiene le norme basilari della Costituzione, i principi che formano l’architrave dell’edificio istituzionale
europeo. La seconda parte è rappresentata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, elaborata da una
precedente Convenzione e proclamata con atto congiunto dei Presidenti del Parlamento europeo, della
Commissione europea e del Consiglio europeo a Nizza il 7 dicembre 2000. La terza, invece, è dedicata alle
politiche e al funzionamento dell’Unione, costituisce sostanzialmente una rielaborazione dei trattati
attualmente in vigore sulla Comunità e sull’Unione. La quarta parte, infine, contiene le disposizioni generali
e finali.
Le riforme principali del Trattato
Secondo alcuni esperti le riforme istituzionali,
previste dal Trattato, permetteranno all’Unione di
affrontare bene la sua nuova stagione a 25
membri. I punti principa li sono i seguenti:
1) definizione approfondita dei rapporti reciproci
tra le principali istituzioni politiche dell’Unione
(Consiglio, Commissione e Parlamento).
2) Più chiaro il ruolo istituzionale del Consiglio
europeo (con un Presidente eletto dal Consiglio
stesso per un mandato di due anni e mezzo,
rinnovabile per una sola volta), in sostituzione del
meccanismo di rotazione semestrale della
Presidenza fra gli Stati membri. Riconoscimento
di maggiore autonomia all’Unione rispetto ai
Governi degli Stati membri.
3) Riorganizzazione delle competenze tra Unione
e Stati membri, individuando la categoria delle
competenze esclusive dell’Unione e disciplinando
i rapporti tra le competenze statali e quelle
dell’Unione nei settori di competenze condivise.
4) È stata creata la figura del Ministro degli Affari
Esteri dell’Unione che darà nuova visibilità
all’UE nelle sue relazioni esterne. Unificazione
delle Relazioni esterne della Comunità e la
Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC)
dell’Unione.
5) È stato deciso che, fino al 2014, la
Commissione sarà composta da un membro per
ogni Stato.
6) I poteri del Parlamento europeo sono stati
accresciuti, estendendo a nuovi settori della
“procedura legislativa”, in base alla quale il
Parlamento decide congiuntamente insieme al
Consiglio; il numero dei parlamentari europei è
stato fissato a un massimo di 750.
7) È stata affrontata la questione della
maggioranza qualificata in seno al Consiglio
attraverso l’accoglimento del principio cosiddetto
della doppia maggioranza. Una decisione sarà
adottata a maggioranza qualificata con il voto
favorevole del 55% degli Stati membri che però
rappresentino anche il 65% della popolazione
dell’Unione.
Turchia, sotto esame diritti umani e welfare
Tra i numerosi cambiamenti previsti dopo la firma del Trattato, quelli su possibili nuovi ingressi di Turchia,
Romania e Bulgaria sono tra i maggiori. Le più papabili sono Romania e Bulgaria, quella meno, la Turchia.
Sarebbe il primo Paese islamico europeo, nonché lo Stato che deve mettere maggiore ordine per quanto
riguarda le violazioni dei diritti umani. Il welfare e l’economia di questo trio sono sotto la lente di
ingrandimento di Strasburgo.
Quando si parla di Turchia è impossibile non affrontare della questione curda. Questi due elementi sono
legati da annose problematiche e violazioni dei diritti umani che la UE non vuole e non può ignorare. Risale
a qualche mese fa a Strasburgo, la dichiarazione dell\'attivista per i diritti umani curda, appartenente
all’Associazione per i popoli minaccia ti (APM), Leyla Zana che, in occasione della consegna del premio
Sacharov, ha voluto ricordare il destino dei circa 3.500 prigionieri politici curdi in Turchia e ha chiesto la
loro immediata liberazione. Leyla Zana, che dopo dieci anni di carcere ha ottenuto la libertà nel giugno 2004,
costituisce un esempio per i molti verdetti repressivi che la giustizia turca ha emesso contro curdi e alcuni
esponenti della minoranza assiro - cristiana. In una lettera al primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan,
Zana sottolinea l\'assurdità del fatto che \"non ci sia nessun tipo di indagine per i crimini commessi
dall\'esercito turco contro la popolazione civile curda, per la distruzione di 3.400 villaggi curdi e la messa in
fuga di circa 2,4 milioni di curdi. Indipendentemente dalla posizione occupata durante il conflitto, bisogna
perseguire e giudicare correttamente tutti coloro che si sono macchiati di gravi crimini di guerra\".
Sebbene il partito della giustizia e dello sviluppo (AKP), abbia introdotto ulteriori importanti pacchetti di
riforme legislative (conosciute come \"leggi di armonizzazione\") sulla tutela dei diritti umani volti a
soddisfare i criteri di adesione all’Unione Europea, molta strada è ancora da compiere sotto questo aspetto.
L’applicazione delle riforme si è rivelata discontinua, il che ha reso difficile valutare gli effettivi progressi
ottenuti in materia di diritti umani attribuibili alla nuova legislazione. Le denunce di tortura e maltrattamenti
durante la detenzione di polizia e l’uso sproporzionato de lla forza contro i dimostranti hanno continuato ad
essere motivo di grave preoccupazione, sebbene il ricorso ad alcuni metodi di tortura sia sembrato diminuire.
Coloro che hanno tentato di esercitare il proprio diritto a manifestare pacificamente o ad esprimere il proprio
dissenso su determinati argomenti hanno, però, continuato ad affrontare procedimenti penali.
Riforme di “armonizzazione” sotto
spinta dell’Occidente: quanto c’è di buono?
Una riforma della Costituzione, promossa dal
nuovo governo guidato dall’AKP, ha spianato la
strada all’elezione in Parlamento del presidente
dell’AKP, Recep Tayyip Erdogan, che è diventato
primo ministro.Le soluzioni offerte da
quest’ultimo sarebbero quattro pacchetti di
riforme, denominate \"di armonizzazione\" che
sono diventate, a loro volta, legge.
I passi avanti notati dalla stessa UE riguardano la
presenza di disposizioni che mirano ad abolire
determinate norme e procedure che hanno
mantenuto regimi di impunità per i casi di tortura
o di maltrattamento; la possibilità di riapertura dei
processi, nei casi in cui la Corte europea dei diritti
umani intraveda nella sentenza emessa da un
tribunale turco una violazione della Convenzione
europea sui diritti umani; l’abolizione dell’art. 8
della legge anti-terrorismo (il reato di diffusione
di propaganda separatista); l’eliminazione delle
limitazioni alla trasmissione in lingue diverse da
quella turca per le emittenti radiotelevisive
private; la soppressione della detenzione in
incommunicado e il riconoscimento del diritto
all’assistenza legale immediata per i detenuti i cui
reati ricadano sotto la giurisdizione del Tribunale
per la sicurezza di Stato e le modifiche
all’organizzazione e allo status giuridico del
Consiglio di sicurezza nazionale. Sono state
introdotte modific he anche ad altre leggi, tra cui la
legge sulle associazioni, quella sulla stampa,
quella sui partiti politici, quella sulle riunioni e le
manifestazioni di piazza e la legge sulle
fondazioni. Tuttavia, le riforme sono consistite
nell’emendare articoli delle suddette leggi
piuttosto che riformularle in maniera più radicale
come richiesto da avvocati e da attivisti per i
diritti umani. Ciò vuol dire che i miglioramenti,
finora effettuati, risultano essere parziali o
arginabili dal resto della costituzione turca.
Ancora tortura in carcere
Nonostante siano diminuite le denunce sull’uso di
metodi di tortura quali scosse elettriche, falaka
(percosse sotto la pianta dei piedi) e sospensione
per le braccia, sono stati regolarmente segnalati
casi di detenuti picchiati, denudati, molestati
sessualmente e privati di sonno, cibo, bevande e
dell’uso dei servizi igienici. I detenuti, spesso, non
sono informati dei loro diritti dalla polizia che,
inoltre, non rispetta le procedure distorte dal
governo. Diffuso è ancora il ricorso all’uso
sproporzionato della forza da parte della polizia
durante le manifestazioni. Tra i gruppi
particolarmente presi di mira vi erano sostenitori
del partito politico DEHAP (Partito democratico
del popolo), partiti di sinistra, sindacalisti,
studenti e pacifisti. Esistono anche denunce di
persone rapite da agenti di polizia in borghese
che, poi, vengono torturate o maltrattate. Forse è
inutile anche riportare che, nella stragrande
maggioranza delle volte, i gendarmi godono della
quasi totale impunità.
Violenza e impunità dei “jandarma”
L’11 gennaio di quest’anno un pacchetto di
riforme ha posto fine alla possibilità di
sospensione o commutazione in sanzioni
pecuniarie delle condanne per i reati di tortura o
maltrattamenti compiuti dalla polizia, chiamata
“jandarma”. La nuova legge non è però stata
applicata in modo retroattivo. Di conseguenza, i
processi e le condanne in tali casi hanno
continuato ad essere sospesi, talvolta sulla base di
leggi precedenti. Inoltre, ancora accade che queste
disposizioni non vengano veramente rispettate.
Minacce e vessazioni per chi è attivo nelle Ong
Sono state utilizzate una serie di leggi e normative
allo scopo di limitare la libertà di espressione ed
ostacolare le attività dei difensori dei diritti umani
e di chi opera nelle Ong in generale. Sono state
perseguite dichiarazioni e attività pacifiche per
\"oltraggio\" a varie istituzioni dello Stato (art.159
del codice penale) o per \"favoreggiamento di
organizzazioni illegali\" (art.169) o, ancora, per
\"incitamento all’odio\" (art.312).
Altre attività sono state proibite o sanzionate
applicando la legge n. 2911 sulle riunioni e le
manifestazioni, la legge sulle associazioni, le leggi
sulla stampa e quelle sull’ordine pubblico. In
alcuni casi sono stati incarcerati difensori dei
diritti umani. Tuttavia, la maggior parte delle
indagini e dei processi basati su tali capi
d’imputazione si sono conclusi con assoluzioni,
sospensioni di pena o commutazioni in ammende.
Si tratta, più che altro di vessazioni giudiziarie nei
riguardi di chi è attivo nel settore dei diritti umani.
Violenza sulle donne fuori
e dentro le mura domestiche
Continuano le aggressioni e le molestie di natura
sessuale a di donne poste sotto custodia di polizia.
La violenza domestica, però, non è da meno,
compresi i cosiddetti \"delitti d’onore\".
La guerra dell’acqua. La valle di Munzur
Nuove dighe che distruggono foreste e lasciano
sotto le acque i siti storici secondo l’intento
“razionale” di andare incontro al fabbisogno
energetico stanno per arrivare a coinvolgere
Dersim (Tunceli). La Valle di Munzur è stata
classificata come Parco nazionale nel 1971. In
quegli anni c’erano circa 434 paesini in quella
area. Nel 1987 le autorita’ che erano incaricate
dello sviluppo naturale di Dersim lo fecero, con
tutto ciò che era in loro potere, emettendo una
circolare. Questo documento, che portava la firma
del Ministro dell’agricoltura e delle foreste, fu
inviato a 233 paesi, la maggior parte dei quali si
trovavano all’interno dei boschi della valle. Si
intimava l’abbandono dei villaggi e un sostegno
per il ricollocamento in altre aree dei cittadini, il
tutto per il bene dello sviluppo della zona. In
pochi, però, abbandonarono la regione.
Immediatamente dopo questi fatti, il destino della
valle e dei suoi abitanti cambiarono con
l’intensificarsi della guerra proprio nella regione. I
paesini di Dersim furono evacuati forzatamente e
le foreste furono bruciate.
L’atmosfera del conflitto raggiunse anche la Valle
di Munzur che fu classificata “zona vietata”. Per
lungo tempo a nessuno è stato permesso di entrare
nella regione. Le dighe sono la “soluzione finale”
della Valle di Munzur che non ha beneficiato di
alcun investimento da quando è stata dichiarata
Parco nazionale, ma che ha visto, al contrario,
ogni tentativ o vanificarsi. Secondo il rapporto
preparato da Celal Turna del Comitato di
solidarietà con Dersim il progetto della diga non
solo distruggerà la vallata, ma causerà anche un
flusso migratorio dalla regione e taglierà la via di
collegamento tra il centro di Dersim e gli altri
distretti della provincia. Da quello sgombero
forzato, è nata una parte cospicua dei 4 milioni di
profughi ammassati nei campi turchi.
Governo turco: più lavoro con più dighe
Il governo turco motiva la costruzione delle dighe
come un tentativo di industrializzare il paese e di
creare posti di lavoro. Alcuni curdi del luogo
hanno affermato di essere favorevoli, poiché la
disoccupazione sta portando allo stremo queste
zone. La disoccupazione, invece, e\' stata il frutto
di un preciso percorso a lungo termine, intrapreso
dal governo per offrire alle compagnie straniere
libero accesso alle risorse del paese. Ora, per
creare posti di lavoro dipendente e operaio,
finalizzato a sostenere imprese straniere, il
governo prima va ad eliminare il residuo lavoro
autonomo e agricolo della popolazione locale e
poi finge di avere creato lavoro. In questo modo,
le popolazioni curde, che non poterono essere
assoggettate politicamente, con questi progetti
verrebbero assoggettate di fatto, creando
dipendenza economica. C\'e\' infatti il fondato
sospetto che le compagnie straniere che
finanziano la costruzione delle dighe siano poi le
stesse che andrebbero ad ottenere la concessione
mineraria in questi territori.
“Il petrolio è cosa araba e l\'acqua è cosa
turca”, l’energ ia che viaggia fino ad Israele
“Il petrolio è cosa araba, e l\'acqua è cosa turca “ è
stato il motto dei generali turchi. Da qui il
progetto faraonico delle 19 dighe del GAP sul
Tigri e sull\'Eufrate. Ora nei nuovi scenari acqua
turca e petrolio irakeno formano un tutto ed unico
elemento geostrategico. Il petrolio del Kurdistan
irakeno e l\'acqua del Kurdistan turco, diventano
un unico flusso di energia che viaggia dalla
Turchia verso la superpotenza mediorientale
d\'Israele, saldando in un unico disegno egemonico
l\'intera area. E\' poca cosa nella nuova costruzione
dell\'Europa?
Bulgaria: violazioni dei diritti umani
Sul fronte del rispetto dei diritti umani, qualche miglioramento in Bulgaria è stato fatto. L’introduzione di
due importanti leggi offrono garanzie di tutela future. L’Assemblea Nazionale ha adottato un ordinamento
legislativo, la cui entrata in vigore è prevista per gennaio 2004, per l’istituzione dell’ufficio di un Difensore
civico. L’ufficio indagherà sulle denunce di violazione dei diritti umani da parte di organi statali e municipali
e di personale della pubblica amministrazione. E’ stata adottata un’esauriente legge antidiscriminatoria, la
quale prevede l’istituzione di una Commissione indipendente volta a fornire protezione contro la
discriminazione e un sistema di sanzioni.
Disabilità mentale non tutelata
Nelle case di cura sociali, minorenni e adulti con
disabilità mentali hanno continuato a soffrire a
causa di trattamenti inadeguati e condizioni di vita
precarie. In alcuni istituti sono state introdotte
nuove pratiche e sono state fornite risorse
aggiuntive, ma il governo non è riuscito a
proporre una riforma strutturale, attuare misure
efficaci o dimostrare la propria volontà pubblica
di combattere lo stigma della disabilità mentale. A
gennaio, un emendamento alla legge
sull’assistenza sociale ha conferito maggiore
responsabilità al governo riguardo al
finanziamento delle case di cura sociali. Le
autorità hanno comunque ammesso che
generalmente le risorse stanziate bastavano
appena per il cibo e per il riscaldamento di base.
Il governo ha chiuso una serie di istituti dove le
condizioni erano particolarmente dure. I residenti
sono stati trasferiti in altre strutture, le cui
condizioni non erano tanto diverse dalle
precedenti e allo stesso tempo situate in luoghi
remoti e inadatti.
Abuso di potere da parte della polizia
Torture e maltrattamenti
Sono stati riportati diversi casi di maltrattamenti,
alcuni configuratisi come tortura, da parte della
polizia. Nella maggior parte dei casi, i sospetti
non avevano avuto il permesso di contattare un
avvocato o un familiare. Gli agenti li avrebbero
picchiati e presi a calci o colpiti con cavi e
manganelli elettrici, allo scopo di estorcerne
confessioni. I detenuti feriti hanno spesso asserito
che era stato loro negato l’accesso a un medico o a
cure sanitarie adeguate. Gli agenti avrebbero
picchiato alcuni sospetti in presenza degli
inquirenti. Spesso accade che gli agenti se la
cavino con l’impunità.
Maltrattamenti di rom
Membri della comunità rom sarebbero stati
maltrattati dalla polizia, anche tramite il ricorso
all’uso di armi da fuoco, in circostanze non
permesse dagli standard internazionali sull’uso
della forza.
Nessuna legislazione specifica
per proteggere le donne
Le donne non sono protette da nessuna legge.
Contro la violenza domestica, un grave abuso che
le autorità riconoscono ufficialmente come
appartenente alla \"sfera privata\", non si può fare
nulla perché tale reato è escluso dall’intervento
statale. Un gruppo di lavoro interministeriale,
istituito nel 2002, ha fatto scarsi progressi
nell’elaborazione di un nuovo disegno di legge.
Non sono state rese note statistiche ufficiali sul
numero di episodi di violenza domestica
denunciati, ma una ricerca condotta da ONG
locali indica che il problema è diffuso.
Un welfare debole
Secondo cifre ufficiali, circa il 25% dei bulgari
vive al di sotto della soglia di povertà e le
restrizioni finanziarie imposte dai bilanci dello
Stato creano difficoltà all’attuazione di
programmi di lotta alla povertà. I salari medi
attuali ammontano a 90 ECU per mese circa e la
pensione media a 26 ECU. La proporzione media
del reddito che viene spesa in generi alimentari è
stimata al 48%. La povertà colpisce una
percentuale elevata della popolazione, sebbene
nelle zone rurali la situazione di molte famiglie
risulta alleviata dalla possibilità di produrre in orti
familiari. Dalle cifre ufficiali risulta che il 14%
della popolazione è iscritto all’ufficio di
collocamento, e la disoccupazione a lungo termine
continua ad aumentare. È opinione diffusa che la
soluzione ai problemi della Bulgaria sia
rappresentata dalla privatizzazione e
dall’adattamento ad una moderna economia di
mercato come potrebbe essere quella europea. Il
governo in carica sembra animato dalla volontà
politica di persistere nella politica economica
destinata a conseguire questi obiettivi.
Tuttavia, in questi ultimi tempi, malgrado i
risultati positivi di alcuni indicatori economici, la
ripresa risulta debole e non si è ancora del tutto
ripristinato un clima di fiducia, seppur alimentato
dalla sfida europea.
Indipendenza energetica:
fiore all’occhiello della nazione.
Mentre noi italiani, attualmente, importiamo il
16% della energia (soprattutto quella elettrica), in
particolare dalla Francia, la Bulgaria, già nel
lontano ’95, ne importava solo il 4,5%, mentre
oggi è ancora più indipendente.
L’impianto nucleare di Kozodluj ha coperto nel
’96 circa il 42,1% della produzione di energia
elettrica con una produzione di 18 miliardi di
KWh; un consorzio franco-tedesco vede coinvolte
la tedesca Siemens e la Francese Framatome
nell’ammodernamento, il cui programma (costo
previsto: 300 milioni di dollari) doveva partire
entro la fine del ’98, dei reattori 5 e 6; a settembre
’96 il terzo reattore è rientrato in funzione dopo
interventi di ammodernamento che sono durati
otto mesi. I reattori 1 e 2 di Kozodluj dovrebbero,
secondo il parere delle ultime commissioni di
sicurezza dell’UE, essere chiusi tra il 2004 ed il
2006 mentre il 3 e 4 tra il 2008 ed il 2012; questa
posizione dell’UE, per la quale Kozodluj è un
impianto che comunque non può garantire
adeguati livelli di sicurezza, trova forti resistenze
nel governo bulgaro, confortate dai pareri di
società operanti nel settore; la Siemens ha ad
esempio dichiarato che l’unità 2 potrebbe operare
fino al 2009. La parte di energia elettrica di
origine nucleare dovrebbe passare al 38,6% nel
2.000 ed al 32,6% nel 2010.
Romania: la tratta di donne e bambini
La corruzione dilaga nella società romena tanto da minare la capacità del governo di promuovere il rispetto
dei diritti fondamentali e lo sviluppo dell’economia. Relativamente pochi pubblici ufficiali sono stati
chiamati a rispondere, penalmente o politicamente, delle accuse di abuso di potere. La maggior parte della
popolazione non ha visto migliorare le proprie condizioni di vita, con particolare riferimento all’accesso a
servizi essenziali come la sanità e i contributi sociali.
In un rapporto pubblicato a novembre 2003, l’Unione Europea (UE) ha reso chiaro che la Romania non potrà
accedere all’UE finché non avrà consolidato l’economia e riformato l’ordinamento giudiziario ed
amministrativo. Sebbene una riforma costituzionale sia entrata in vigore dopo un referendum tenutosi a
ottobre, le modalità del suo svolgimento sono state criticate da osservatori indipendenti e dai maggiori partiti
di opposizione. Questi ultimi hanno, inoltre, rivendicato come non fosse stato raggiunto il quorum del 50%
dell’elettorato. Questi emendamenti alla Costituzione si propongono di rendere il processo legislativo più
efficiente e la magistratura più indipendente. Tuttavia, queste riforme potrebbero non rivelarsi sufficienti a
garantire una maggiore trasparenza del processo legislativo o una maggiore autonomia della magistratura
rispetto all’influenza del ministero della Giustizia. La tratta di donne e bambini a scopo di sfruttamento
sessuale resta un serio problema. La legge contro la tratta di esseri umani emanata nel 2001 non ha apportato
alcun apprezzabile miglioramento alla situazione. Nei casi segnalati, le forze dell’ordine non hanno protetto
adeguatamente le vittime.
Vietata l’adozione internazionale
La Romania vorrebbe fortemente entrare in
Europa poiché si sente sua figlia sia dal punto di
vista storico che sotto l’aspetto linguistico. Ma
questo Paese nega un fondamentale diritto ai suoi
cittadini più giovani, quello di essere figlio. La
Romania, infatti, ha recentemente votato una
legge sulla protezione del minore che vieta
l\'adozione internazionale. Per quanto possa
suonare strana la parola “protezione” in questo
contesto, questo Stato intende preservare i propri
bambini da genitori di altra nazionalità, andando
contro le Convenzioni internazionali, tra cui la
\"Convenzione sulla protezione dei minori e sulla
cooperazione in materia di adozioni
internazionali\", firmata a L\'Aja il 29 maggio 1993.
Dal 2001 le adozioni sono state letteralmente
bloccate.
Più maltrattamenti che torture
Si sono verificati numerosi casi di maltrattamenti
da parte delle forze dell’ordine verso civili. Ma,
nella maggior parte dei casi, non è stata una forma
di tortura, sebbene questo Paese non ne sia esente.
Come in passato, la maggioranza delle vittime dei
maltrattamenti sono persone sospettate di reati
minori o che si sono trovate ad assistere a
operazioni di polizia. Alcuni sono disabili mentali.
Altri casi riguardavano segnalazioni di violenza
sessuale e di stupro di donne.
Anche i rom sono stati frequentemente oggetto di
maltrattamenti, probabilmente per intimidire tutti i
membri delle loro comunità emarginate. Non sono
stati rari i casi di bambini vittime di pestaggi da
parte della polizia. A gennaio il Comitato delle
Nazioni Unite per i diritti dell’infanzia ha
espresso preoccupazione per il numero di denunce
di maltrattamenti e torture subite da bambini e per
la mancanza di indagini concrete su questi casi da
parte di un’autorità indipendente. Il Comitato ha
raccomandato che la Romania \"adottasse
immediate misure per fermare la violenza della
polizia contro tutti i bambini ed arginare la cultura
diffusa dell’impunità per tali atti\".
Una modifica positiva al codice di procedura
penale ha ridotto il periodo in cui l’accusa può
trattenere un sospetto da 30 giorni a tre.
Miglioramenti significativi al regime di
detenzione pre-processuale sono stati introdotti
anche a gennaio, incluso il diritto di non
rispondere. Questi cambiamenti sono stati l’effetto
di una sentenza della Corte europea dei diritti
umani.
Uso illegale di armi da fuoco
da parte della polizia
Le autorità non hanno ancora disciplinato
concretamente l’uso di armi da fuoco da parte
delle forze dell’ordine in circostanze che
costituiscono una violazione degli standard
internazionali. Le indagini su quasi tutti gli
episodi segnalati non sono state imparziali,
indipendenti ed esaurienti. Non sono state fornite
statistiche ufficiali, ma sono decine le persone
rimaste ferite negli episodi segnalati.
Precarie condizioni dei detenuti nelle carceri
In alcune carceri, le precarie condizioni, dovute al
sovraffollamento e alla mancanza di attiv ità volte
al reinserimento dei detenuti si sono configurate
come trattamento inumano e degradante. I servizi
medici del sistema carcerario sono scadenti e
spesso inadeguati. Coloro che soffrono a causa di
inabilità fisiche o mentali hanno sofferto
particolari difficoltà. In un ospedale penitenziario
sono state impiegate manette per contenere
pazienti con problemi di salute mentale.
Violenza domestica,
nuovo inte ressamento da parte dello Stato
A maggio il parlamento ha approvato la legge per
la lotta e la prevenzione della violenza domestica.
Ciononostante non sono stati emanati i decreti
attuativi per l’applicazione della legge.
Partnership for Equality Centre,
un’organizzazione non governativa, ha pubblicato
a dicembre uno studio approfondito sugli effetti
della violenza domestica. L’inchiesta, svolta a
livello nazionale su 1.806 persone, ha rilevato
come all’incirca una donna su cinque sia oggetto
di violenze da parte del marito o del partner.
L’atteggiamento predominante della società
considera la violenza domestica come \"normale\".
Un Welfare traballante
\'\'Dal 1989 l\'economia rumena e\' una delle meno
sviluppate tra quelle degli stati dell\'Europa
centrale e orientale impegnati nel passaggio
all\'economia di mercato\'\'. E\' quanto afferma uno
studio sulla situazione del mercato del lavoro
della Romania, effettuato dalla Fondazione
europea per la Formazione. Il quadro tracciato
dagli esperti UE non è confortante e le attese per il
futuro nel mercato del lavoro \'\'sono abbastanza
difficili se non ci saranno interventi radicali\'\'. Sul
banco degli imputati c’è, in particolare, la riforma
del settore industriale, e più in generale della
struttura economica del paese che e\' stata \'\'molto
modesta o persino insignificante\'\'. La struttura
\'\'arcaica\'\' dell\'occupazione non facilita le cose e gli
importanti licenziamenti hanno gonfiato le fila dei
disoccupati. Il piano di ristrutturazione annunciato
da Bucarest dovrebbe contribuire a raddrizzare la
situazione ma servono delle misure incisive per
creare una politica di formazione, ora inesistente.
L’euroscetticismo si fa comunque sentire o,
quanto meno, è in attesa di dimostrazioni che
segnino un cambiamento di rotta.
Conclusioni
E’ difficile anche solo immaginare lo sforzo che questi tre Paesi e la UE dovranno affrontare affinché si crei
quella omogeneità socio-economica, nonché politica decantata in questi ultimi giorni da statisti e media. Non
è semplice creare una Europa dai contorni netti. Ciò che sta emergendo è una volontà di crescita, forse,
troppo frettolosa che potrebbe comportare, come dicono alcuni esperti, a un’Europa sempre più complicata
da gestire.
Le informazioni sulle violazioni dei diritti umani sono tratte dal sito di Amnesty International: www.amnesty.it

Ma l’Europa del Trattato deve essere cambiata
Dopo la firma restano in campo le proposte dei movimenti
della società civile per modifiche sostanziali
Mentre nella Sala degli Orazi e Curiazi i capi di Stato e di governo firmavano il Trattato
costituzionale europeo, sempre a Roma si svolgeva un incontro promosso dal Movimento
Federalista Europeo e da altri movimenti del Forum sociale europeo per rilanciare, tra l’altro, il
tema della pace come valore fondante dell’Europa, diritto fondamentale delle persone e dei popoli,
e riaffermare che l’Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali.
Sebbene nel mondo delle organizzazioni della società civile che fanno parte del Forum sociale
europeo, ci siano posizioni differenti circa l’approvazione o me no del Trattato costituzionale - così
come testimonia l’acceso dibattito nell’ultimo Forum, svoltosi a metà ottobre a Londra – un
elemento comune emerge: la creazione di solide basi per l’avvio di un network europeo volto a
lanciare una grande campagna per un’Europa democratica e sociale che si basa sul ripudio della
guerra, su una cittadinanza europea di residenza e sui diritti sociali.
Queste le motivazioni dei due schieramenti. Coloro che sostengono una posizione negativa nei
confronti del Trattato, evidenziano con l’Unione Europea ad oggi abbia realizzato solo un mercato
dei capitali e delle merci in un’ottica neoliberista, tralasciando l’inserimento di temi importanti
come il ripudio della guerra, l’uguaglianza tra uomini e donne, il diritto al lavoro. Inoltre, i
“trattatoscettici” sottolineano come la sua firma porti a costituire l’Europa come un polo, in
concorrenza con Usa e Cina.
Il versante degli aderenti critici, rimarca che l’alternativa era peggiore: il ritorno al trattato di Nizza,
delegittimando il processo d’integrazione svolto fino ad oggi. La strategia dei fautori del sì punta
sull’adozione del Trattato, ben consci delle sue imperfezioni, per poi svolgere all’interno
dell’Unione Europea una lotta politica per modificare il testo sui punti del ripudio della guerra e
della cittadinanza europea di residenza.
I due schieramenti concordano su un punto: la necessità di una grande alleanza tra le forze politiche,
sociali, sindacali e movimenti per contrastare la cultura politica neoliberista dominante.
Nuovi strumenti per promuovere un’Europa pacifista, federalista e sociale
Il Movimento Federalista Europeo - MFE è
schierato nel fronte che vuole la firma del Trattato
per poi richiedere al Parlamento Europeo, dopo la
sua ratifica da parte dei 25 stati membri, di
convocare una costituente per procedere alla
modifica del testo in alcune sue parti. “Il primo
passo per una vera democrazia europea è
l’abolizione del diritto di veto nel processo
decisionale e nel metodo di revisione. Occorre,
innanzi tutto, eliminare il diritto di veto di ogni
singolo stato nei campi fondamentali del fisco,
della politica estera, della sicurezza. Si tratta di
una prevaricazione di una minoranza sulla
maggioranza, che oggi impedisce all’Europa di
avere un proprio bilancio adeguato ad operare per
una società più giusta.”, ci spiega telefonicamente
Piergiorgio Grossi, Ufficio Stampa del MFE della
Liguria. “E’ vero quanto affermano i sostenitori
della linea del no - che per l’Italia sono
rappresentati dalla posizione della sinistra europea
e dell’onorevole Bertinotti, suo leader – questo
Trattato presenta delle gravi mancanze: il ripudio
della guerra, la cittadinanza europea di residenza,
gli interventi sociali. Occorre però essere
oggettivi, prosegue Grossi, la Convenzione ha
svolto egregiamente il lavoro che gli era stato
affidato: semplificare e rendere omogenei i
centinaia di articoli contenuti nei quattro
precedenti trattati – tra cui quello di Nizza,
redigendo un unico testo. Questo lavoro, di taglio
“notarile” e che costituisce la terza parte del
Trattato, si è arricchito per opera della
Convenzione con l’inserimento della Carta dei
diritti e di alcuni principi importanti, come il
divieto della pena di morte. Siamo di fronte ad un
Trattato che non è certo peggiore delle
costituzioni nazionali degli stati membri”.
“Un testo, continua il responsabile stampa del
Movimento fondato da Altiero Spinelli, che però
contiene delle contraddizioni. La prima riguarda i
maggiori poteri riconosciuti al Parlamento
Europeo dal trattato, esso eserciterà assieme al
Consiglio Europeo la funzione legislativa e quella
di bilancio, a cui fanno da contraltare altrettante
norme che di fatto non danno al Parlamento i
poteri per svolgere a pieno tali funzioni. La
prevista nomina del Ministro degli Esteri è la
seconda, a cui non vengono però conferiti i poteri
che hanno i governi degli stati membri,
impedendo di far parlare l’Europa con una sola
voce, per affermare una politica di pace.”
Le osservazioni sul testo del trattato sono quindi,
in linea di massima, simili tra i due schieramenti,
diversa è la strategia per arrivare ad un’Europa
pacifista e solidale. “Con l’approvazione del
Trattato sono riconosciuti alcuni strumenti che ci
permetteranno di andare avanti nelle nostre
battaglie, conclude Grossi, ad esempio con la
raccolta di un milione di firme potremo presentare
testi di legge su proposta popolare, si è ridotta
l’applicazione del diritto di veto facendo
finalmente pesare il volere della maggioranza.
Lascio una domanda per Bertinotti e per tutti gli
euroscettici “Ora ci troviamo davanti ad un
trattato che non ci piace e dove ognuno ha
qualcosa da proporre e da modificare. Siete sicuri
che rigettando questo Trattato non si faccia un
favore alle forze nazionaliste ed antieuropee e che
tornando al trattato di Nizza la situazione non
peggiori?”.
Per maggiori informazioni: www.mfe.it; www.peacelink.it
L\'appello degli intellettuali francesi euroscettici
Per rilanciare un’Europa con piena cittadinanza e
per rendere il popolo attore di un autentico
processo costituente che gli permetterà di decidere
veramente sulle scelte politiche e di controllarne
la loro realizzazione, duecento intellettuali
francesi hanno firmato un appello volto a
promuovere la creazione di gruppi di pressione
determinati a non far ratificare nei paesi
dell’Unione la Costituzione siglata lo scorso 29
ottobre a Roma.
Dire sì ad un’Europa solidale – contro la
globalizzazione liberista e le multinazionali -
significa, secondo i firmatari dell’appello, dire no
a questa costituzione neoliberale che ci vogliono
imporre. Ong, sindacati, associazioni, movimenti
e partiti politici sono chiamati a mobilitarsi
traducendo nelle urne, con il proprio voto
sfavorevole, quando le mobilitazioni sociali ed
altromondiste hanno espresso in questi anni.
Tre i punti su cui ruota il dissenso. Innanzi tutto
l’Europa è ad oggi “condotta dall’alto”, da
“negoziazioni opache” e da organismi – come la
Banca Centrale Europea e la Commissione – che
non hanno un controllo democratico. Inoltre,
siamo di fronte ad un Europa che ha fatto del
mercato il proprio idolo e della negoziazione
segreta la propria liturgia. Infine, il rifiuto di
uguali diritti tra cittadini di uno stato membro e
cittadini residenti ma non appartenenti all’Unione
Europea.
Per approfondire: www.urfig.org; www.appeldes200.net
Prosegue la campagna promossa dalla Tavola della Pace
Il movimento pacifista italiano è impegnato dal
dicembre 2002 in una campagna per inserire nel
testo della Costituzione europea il ripudio della
guerra, il diritto alla pace e la riforma democratica
delle Nazioni Unite. Nei primi mesi del 2003 le
organizzazioni che si riconoscono nella Tavola
della Pace, su iniziativa del Movimento
Federalista Europeo, lanciano la campagna
“L’Europa ripudia la guerra”, scommettendo
sull’Europa quale unico soggetto che può fare
qualcosa per la pace nel mondo.
Questo il testo dell’appello. Noi cittadine e
cittadini, organizzazioni e movimenti europei,
uniti più che mai nel nome della pace e dei diritti
umani, della giustizia e della solidarietà tra i
popoli, chiediamo che nella Costituzione europea
in discussione si affermi, come all’art. 11 della
Costituzione Italiana, che: “L’Europa ripudia la
guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali e riconosce nella pace
un diritto fondamentale delle persone e dei popoli.
L’Europa contribuisce alla costruzione di un
ordine internazionale pacifico e democratico; a
tale scopo promuove e favorisce il rafforzamento
e la democratizzazione dell’organizzazione delle
Nazioni Unite e lo sviluppo della cooperazione
internazionale.”
Altre petizioni ed appelli hanno sostenuto e
condiviso le richieste della campagna “L’Europa
ripudia la guerra”, tra queste ricordiamo:
? la petizione dell’Arci al Forum Sociale di
Firenze nel novembre 2002;
? l’appello del Movimento federalista Europeo
“Mai più guerre in Europa, mai più guerre nel
mondo”, novembre 2002;
? l’appello della Convenzione permanente di
donne contro le guerre e della Rete Lilliput,
febbraio 2003
? la petizione dell’Associazione delle ONG
italiane, ottobre 2003
Maggiori informazioni: www.tavoladellapace.it
La direttiva UE Bolkenstein: contro lo stato sociale e i diritti del lavoro
Si chiama Bolkenstein - dal nome del
Commissario Europeo per la Concorrenza e il
Mercato Interno dell’uscente commissione Prodi -
la Direttiva con cui l\'Unione Europea si appresta
ad imporre ai 25 Stati membri le regole della
concorrenza commerciale, senza alcun limite, in
tutte le attività di servizio, intendendo con questo
termine \"ogni attività economica che si occupa
della fornitura di una prestazione oggetto di
contropartita economica\".(art. 4).
In pratica significa dare un altro colpo a quel che
resta del \"modello sociale europeo\", già provato
dalle privatizzazioni e dalla continua messa in
discussione dei diritti sociali e del lavoro.
La proposta di Direttiva - approvata all\'unanimità
della Commissione Europea nello scorso 13
gennaio - il prossimo 11 novembre sarà
presentata al Parlamento Europeo dalla
Commissione per la Concorrenza e il Mercato
Interno; a fine novembre sarà sottoposta al vaglio
del Consiglio dei Ministri Europei, per poi iniziare
l\'iter procedurale che la porterà, probabilmente a
marzo 2005, ad essere sottoposta al voto finale del
Parlamento Europeo.
La Direttiva Bolkenstein - elaborata dopo la
consultazione di ben 10.000 aziende europee e
nessun sindacato e/o organizzazione della società
civile - è uno degli obiettivi di mobilitazione
contenuti nell\'appello dei movimenti sociali uscito
dal Forum Sociale Europeo di Londra, in cui si è
proposto
il lancio di una campagna continentale per il ritiro
completo e immediato della stessa.
Annunciata come un provvedimento teso a
\"diminuire la burocrazia e ridurre i vincoli alla
competitività nei servizi per il mercato interno\", la
Direttiva Bolkenstein - una direttiva \"orizzontale\",
che non nomina alcun settore in particolare - si
applica in “ogni settore di attività economica in
cui un servizio può essere fornito da un privato\".
Di fatto, secondo alcuni movimenti di forze
sociali – come ATTAC ITALIA - tale direttiva
spinge l\'Europa a privatizzare i servizi sul mercato
interno per poter pretendere, da una posizione di
forza all\'interno dei negoziati Gats, la
privatizzazione dei servizi nel resto del mondo.
Inoltre, la direttiva, che si prefigge di eliminare i
vincoli burocratici alla competitività, rischia di
eliminare disposizioni prese dai poteri pubblici
per degli stati membri per la migliore prestazione
del servizio in termini di garanzie sociali ed
ambientali, di tutela dell\'accesso universale, di
trasparenza delle procedure, di qualità del
servizio, di diritti del lavoro, di contenimento
delle tariffe.
Il principio del paese d\'origine
La Direttiva Bolkenstein, infine, nell\'art. 16
afferma il principio del paese d\'origine: un
fornitore di servizi è sottoposto esclusivamente
alla legge del paese in cui ha sede l\'impresa, e non
a quella del paese dove fornisce il servizio. Con
l’affermazione di questo principio, l\'Unione
Europea rinuncia definitivamente alla “pratica
dell\'armonizzazione\" fra le normative dei singoli
Stati, pratica assurta fino ad ora ad elemento quasi
fondativo dell\'Unione stessa.
”E\' evidente in questo principio – sostiene in un
suo comunicato ATTAC ITALIA - la novità
introdotta dall\'allargamento dell\'UE agli ex-paesi
dell\'Est: poiché entrano nell\'UE paesi le cui
legislazioni fiscali, sociali e ambientali in questi
quindici anni di \"transizione\" sono divenute quelle
proprie dello \"Stato minimo\", si abbandona
l\'armonizzazione e si prepara un processo di vero
e proprio dumping sociale. Siamo di fronte ad un
incitamento legale a spostare le imprese verso i
Paesi a più debole protezione sociale e del lavoro,
e, una volta approvata definitivamente la
Direttiva, a pressioni fortissime sui Paesi i cui
standard sociali e di lavoro sono storicamente
molto più avanzati”.

fonte: www.asca.it
Welfare Italia
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