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Il ruolo degli insegnanti di Ermanno Poli
5.12.2004

Caro Welfare Italia,
siamo di fronte ad una attacco all'insegnamento? In effetti insegnare, nel senso più antico e banale del termine: entrare in classe, avere delle ore a disposizione e fare lezione, è sempre più difficile. Insegnare è svolgere una tradizione è comunicare un significato attraverso le discipline è aiutare chi cresce a trovare la propria identità umana e professionale.
Oggi quasi più nessuno sostiene quella funzione, fondamentale per una società che desideri maturare e non solo sopravvivere, che è l'insegnamento. Insegnando è possibile educare e senza alcun insegnamento l'educazione risulterebbe monca e debole, perché non avrebbe la possibilità di confrontarsi con il reale attraverso la finestra delle discipline e dei rapporti di cui è fatta la scuola. Eppure tutto congiura a far sì che la guardia sia spaventosamente abbassata. Si sta per varare una riforma della scuola che contiene qual flessibilità, ma consegna la formazione del giovane insegnante all'Università e la sottrae all'esperienza di chi nella scuola c'è già. I sindacati protestano contro la riforma Moratti, ma tra gli obiettivi dello sciopero inseriscono anche il divieto ad ogni modifica dello stato giuridico dei docenti (quello attuale è di fatto superato).
Infine La Corte di Cassazione ha stabilito che gli studenti possono accusare per iscritto i loro insegnanti e non commettono reato anche se le accuse si rivelano "infondate": le accuse, per quanto possano "offendere" la reputazione dei docenti, devono infatti essere inquadrate nelle "battaglie ricorrenti nella vita scolastica", come se la scuola fosse unicamente un luogo di scontro. Gli stessi insegnanti, ormai impauriti, non hanno più una cultura né esistenziale, né professionale di riferimento e si limitano, quando va bene, a chiedere severità, solo severità.
E c'è già chi ha saltato il fosso e a capo chino confessa di non potercela fare più, oppure esalta la "rabbiosa e ilare furia" dei nuovi barbari che allagano le scuole. Ma non credo sia questo il punto. Il punto è un altro, un altro è l'orizzonte al quale guardare. Quel punto è l'esperienza a cui apparteniamo, cioè il patrimonio di sapere, sapienza e conoscenza che ci abilita ad essere insegnanti. Ben vengano condizioni strutturali ed economiche che ci permettono di fare meglio il nostro lavoro, ma, occorre ricoconsegnare all'insegnamento ciò che è proprio dell'insegnamento. Senza essere afflitti da alcun complesso. E' arcaico pensare alla vecchia figura dell'insegnante? pensiamoci.
Ermanno Poli (FI)

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