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Fumi tossici in afganista.. di E. Piovesana
7.12.2004

Fumi tossici
Storie di contadini afgani, vittime delle fumigazioni e dell'oppressione feudale.

Hazrat Mir ha 38 anni, ma ne dimostra molti di più. Fa il contadino, come la maggior parte degli afgani. Vive nel villaggio di Hakimabad, tra Jalalabad e il confine pachistano, nella provincia di Nangarhar. E’ in fila davanti al piccolo ospedale distrettuale, un ambulatorio con venti brande. “La pelle delle mie braccia, delle mie gambe, della mia schiena, di tutto il mio corpo brucia. E’ un dolore insopportabile. Mi è venuto quando ho toccato quella robaccia che hanno spruzzato con l’aereo sul mio campo”.
Kamiuna, un’altra contadina del villaggio, fa spuntare da sotto il burqa celeste le sue dita ossute e arrossate per mostrarle al dottore. “Guardi le mie mani: hanno cominciato a bruciarmi da quando ho raccolto gli spinaci nel mio orto, dopo che quell’aereo bianco è passato a spruzzare quella sostanza”.
“Guardate qui! Guardate come hanno ridotto le mie verdure!”, urla con rabbia Abdul Qadir in mezzo al suo campicello indicando una distesa di foglie appassite. “Hanno distrutto le mie cipolle, i miei spinaci, il mio grano e tutto quello che avevo coltivato”. La sfortuna del signor Qadir è che il suo appezzamento confina con una piantagione di papaveri da oppio, anch’essi uccisi dai diserbanti.
“Era un grosso aereo bianco, che volava bassissimo e lento”, racconta un suo amico del villaggio, Zarawar Khan. “Lasciava sui campi una scia bianca, sembrava neve molto fina. E appiccicosa. Dove quella roba è caduta, è morto tutto, senza distinzione tra papaveri e altre coltivazioni. Hanno distrutto tutti i nostri raccolti! Io ho votato Karzai alle elezioni: aveva promesso di ricostruire la nostra economia, non di distruggerla!”.

Fumigazioni a tappeto. “Da due settimane è una processione continua di pazienti”, spiega il dottor Rafi Safi. “Decine e decine di contadini vengono ogni giorno lamentando bruciori alla pelle, agli occhi, problemi respiratori. Vengono dal distretto di Khogyani, ma anche da quelli di Shinwar e Achin. Tutti danno la colpa ai diserbanti irrorati sui campi di queste zone”.
Zone coltivate principalmente a papavero da oppio, e per questo prese di mira dal nuovo programma antidroga avviato dal governo dopo le elezioni di ottobre. Un programma che ufficialmente dovrebbe attuarsi solo con lo sradicamento meccanico delle piantagioni di papavero, cioè con squadre di operai che distruggono i raccolti a bastonate e poi bruciano tutto. L’uso di pesticidi chimici, soprattutto lanciati dal cielo, era stato escluso perché ritenuto molto pericoloso per la salute dei contadini e dannoso per le altre, fondamentali, colture di sussistenza.
Ma evidentemente qualcuno a cambiato idea.
I Comandi militari Usa hanno negato di avere a che fare con queste operazioni di fumigazione e di non saperne nulla. Ma il governatore della provincia di Nangarhar dubita di questa versione. “Che queste irrorazioni aeree siano avvenute è un fatto”, dice Din Mohammad, “com’è un fatto che lo spazio aereo afgano sia sotto esclusivo controllo delle forze Usa”.
Questo anno il raccolto di oppio ha polverizzato ogni record storico raggiunto in epoca talebana. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Onu, nel 2004 131mila ettari di piantagioni (un record anche questo) hanno prodotto 4.200 tonnellate di oppio, cioè il 64 per cento in più del 2003: il più grosso raccolto della storia afgana.
Un business incredibile per i boss locali che ancora controllano questo paese, trasformatosi ormai in un narco-stato che dalla droga trae i due terzi del suo Pil nazionale.
Una piaga per i giovani d’Europa e Stati Uniti: rispettivamente il 90 e il 70 per cento dell’eroina che si iniettano in vena viene dall’Afghanistan.
Una manna per i quasi 2 milioni e mezzo di contadini afgani che grazie all’oppio guadagnano dieci volte tanto quello che renderebbe il grano o un’altra coltivazione.

Il feudalesimo dell’ushur. Se sempre più contadini afgani abbandonano le coltivazioni ‘lecite’ per passare all’oppio, la colpa è anche del sistema feudale che impera nelle campagne afgane. Un sistema che arricchisce i signori locali e impoverisce sempre più i contadini, che alla fine, pur di sopravvivere, si vedono costretti a coltivare qualcosa di più redditizio. Questo sistema si chiama ushur, l’equivalente della nostrana ‘decima’: una tassa in natura (la decima parte del raccolto) che i potenti del posto pretendono dai contadini in cambio di protezione, o meglio, di incolumità.
“Il comandante locale un giorno mi ha detto che lui protegge la nostra famiglia e il nostro raccolto e che questo gli dà diritto ad essere ricompensato da noi con l’ushur”, racconta Kaka Hafiz, contadino 55enne della provincia di Baghlan.
“Non importa se sei ricco o povero, se coltivi papaveri, riso o grano: lui vuole il dieci per cento di tutto”, spiega Qutbuddin, un altro contadino che coltiva piselli e meloni. “Ho provato a denunciare la cosa alle autorità locali, ma poi ho capito che non c’era niente da fare perché anche loro sono fedeli ai comandanti locali, invece che al governo centrale come dovrebbero essere”.
“Per le famiglie contadine più povere, versare l’ushur, che spesso è ben superiore al dieci per cento e che molte volte viene riscosso in denaro prima del raccolto, è un sacrificio enorme”, afferma Nader Nadery, dell’Associazione Afgana Indipendente per i Diritti Umani. “Un sacrificio che a volte non è oggettivamente affrontabile per mancanza di soldi o per scarsità di raccolto: ma questo non interessa ai signori locali, che pur di riscuotere l’ushur non esitano a impiegare le minacce e la violenza. Un contadino che ho sentito personalmente, uno della provincia di Faryab, soggetta al potente signore della guerra uzbeco Dostum, non aveva denaro per pagare: lo hanno picchiato selvaggiamente minacciandolo di occupare la sua terra e poi di ucciderlo se non avesse pagato”.

Il prossimo anno probabilmente quel contadino, per non finire più in ospedale e per non far morire di fame la sua famiglia, si trasformerà nell’ennesimo nuovo coltivatore di papaveri da oppio. Per lui, come per tutti gli altri, l’oppio sarà la manna dal cielo che lo salverà. Per lo meno fin quando un'altra manna non verrà irrorata sul suo campo da un aereo bianco, mandandolo comunque in ospedale e costringendo comunque alla fame la sua famiglia.

Enrico Piovesana

Dal sito di Peace Reporter.

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