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Buone letture sulla bella grionata dei migranti
12.12.2004

Buone letture sulla bella giornata dei migranti.

dopo la giornata dei migranti, per continuare sulla strada giusta

"BUONE" LETTURE SULLA BELLA GIORNATA...

Sabato scorso a Roma abbiamo assistito ad una grande e bella manifestazione in cui, forse per la prima volta in questo Paese, è emerso un protagonismo politico dei migranti e una cultura politica alternativa a quella che fino ad oggi ha
prodotto leggi discriminatorie.

E' un bell'inizio, che arriva a conclusione di due anni di Bossi Fini, ma
anche di storia difficile del movimento antirazzista.
Quelle decine di migliaia di persone chiedono oggi di assumere la
responsabilità di un percorso unitario, radicato e radicale sul tema dei
diritti delle persone migranti.

Nella speranza che le organizzazioni, le associazioni e i gruppi che sono stati
sabato in piazza - ma anche quelle che non c'erano - siano in grado di raccogliere questa sfida e di andare avanti, trasmettiamo una piccola "rassegna stampa" sull'evento.

"Buona" lettura.


ARCI Nuova Associazione - Cremona
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Da il manifesto del 03/12/04

Tutti i colori in piazza.
Manifestazione nazionale in difesa dei diritti degli immigrati penalizzati
da una legge inumana
Ormai ci siamo: domani a Roma, alle 14, parte la manifestazione nazionale
contro la legge Bossi-Fini. Detto così, può sembrare riduttivo. La
piattaforma che ha chiamato la manifestazione, infatti, è molto più
ambiziosa e più articolata. E' il risultato di tanti movimenti - perché
questo oggi è l'identikit di tutto ciò che si muove sulla tematica delle
migrazioni in Italia - che negli ultimi due anni hanno attraversato il
paese, scaturiti dal precipitare inesorabile delle politiche sugli immigrati
imboccate dal governo di centrodestra che spesso e volentieri si porta
dietro l'Unione europea. E' evidente, in effetti, che il nostro paese è
l'avamposto delle politiche repressive sull'immigrazione: domani ci saranno
quelli che hanno cercato di bloccare l'ondata di rimpatri illegali da
Lampedusa, chi quest'estate ha speso le sue vacanze dietro alla vicenda
della nave Cap Anamur e dei migranti africani espulsi con annessa
criminalizzazione di un'organizzazione umanitaria, i migranti che poche
settimane fa hanno alzato un putiferio sui ritardi nei rinnovi del permesso
di soggiorno, proclamando addirittura uno sciopero della fame. Ci sarà il
Friuli, dove si sta per aprire il nuovo centro di permanenza di Gradisca. Ci
saranno quelli che, da Milano a Roma, a Bologna, occupano le case insieme a
italiani e migranti che non possono più permettersi di pagare gli affitti
alle stelle. Ci saranno i ragazzi e i preti di Caserta, che hanno iniziato
da mesi una battaglia sui richiedenti asilo e sulla possibilità di
regolarizzare i lavoratori autonomi e che annunciano «rimarremo in piazza a
oltranza finché non vedremo riconosciuti i nostri diritti!». Ci sarà pure
San Precario e parecchi operai. Non a caso - nonostante l'assenza dei
sindacati confederali che hanno organizzato una giornata sull'immigrazione
il 18 dicembre - più di 50 rappresentanti delle Rsu del nord hanno firmato
un appello a favore della manifestazione. Un altro appello è stato firmato
da numerose personalità del mondo accademico, dell'informazione e della
cultura.

Nonostante tutto ciò, la manifestazione di domani potrebbe non essere
oceanica. Le ragioni sono diverse: primo, nel pantano in cui siamo finiti
occorre un salto logico in più per capire che la battaglia per i diritti dei
migranti non è una battaglia «di solidarietà». Secondo, le politiche
sull'immigrazione raccolgono i loro frutti: ormai il migrante è un caso a
parte, sottoposto a uno statuto speciale. Ma questa precipitazione ha una
storia alle spalle, e per questo la manifestazione di domani è importante:
perché porterà molte persone a interrogare il centrosinistra e non soltanto
a condannare il centrodestra. La piattaforma chiede esplicitamente di non
tornare alla legge Turco-Napolitano, chiede di chiudere i centri di
permanenza temporanea, di fermare gli accordi di riammissione, di approvare
ua legge che tuteli realmente i richiedenti asilo. Sono questioni di cui
tornare a parlare, pubblicamente e coinvolgendo il maggior numero di realtà
possibile. Domani può essere l'occasione giusta.


Da il manifesto del 03/12/04, pag. 13

Migranti, democrazia a bassa quota
Come la Bossi-Fini seleziona in chiave etnica l'ingresso dei lavoratori
stranieri
Si riducono le autorizzazioni «concesse» agli immigrati che chiedono di
venire a lavorare, si discrimina sui paesi d'origine (meglio esser bianco) e
sulla prestazione richiesta

SCHEDA DI CINZIA GUBBINI

Grandi manovre sono in atto intorno a quello strano meccanismo che va sotto
il nome di «flussi di ingresso per lavoratori extracomunitari». Stiamo
parlando dell'unico modo (legale) attraverso cui uno straniero può venire a
vivere in Italia: il governo stabilisce ogni anno una quota di lavoratori
extracomunitari, i datori di lavoro presentano una domanda per farne entrare
uno o più in Italia (impegnadosi a trovare loro casa e a pagare il viaggio
di ritorno). In principio fu la legge Turco-Napolitano, e il sistema già
mostrava le sue crepe. Poi è arrivata la legge Bossi-Fini e il meccanismo si
è perfezionato: vie preferenziali per il lavoro stagionale e le badanti,
selezione massiccia delle nazionalità, scarsissima attenzione per il lavoro
subordinato e autonomo. A metà novembre, il governo è stato costretto a
qualche passo indietro. Attraverso due circolari, pubblicate tra ottobre e
novembre, il ministero del Welfare ha annunciato la decisione di
«redistribuire» alcune quote avanzate dal decreto flussi di gennaio. Dato
che le regioni protestano perché le quote per ciascun territorio sono
risultate scarse - solo 29.500 posti per lavoratori subordinati e autonomi,
più 20 mila posti a maggio dedicati ai nuovi paesi membri - è lecito
chiedersi: come è possibile che siano avanzati dei posti? Il fatto è che
dalle quote per lavoro subordinato il governo ha deciso di «rosicchiare» una
parte da dedicare alla costruzione delle «grandi opere» promesse dal
governo. Dei 1.600 posti a ciò finalizzati ne sono avanzati 600. Lo stesso è
successo per i 2.500 posti per i paesi che avrebbero stretto nell'anno
accordi bilaterali con l'Italia. Ma non ne è stato siglato neanche uno (con
l'esclusione della Libia), dunque quei posti «avanzano». Lo stesso è
accaduto per i 2000 posti riservati, a gennaio, ai cittadini nigeriani in
virtù della collaborazione della Nigeria nel rimpatrio per le donne vittime
di tratta. Il mercato non ha gradito, e sono rimasti inutilizzati 1.400
posti. L'anno scorso accadde lo stesso per gli albanesi.

L'etnicizzazione delle quote

Con il centrodestra l'applicazione del decreto flussi - che prevede la
possibilità di entrare solo per chi ha già un contratto di lavoro certo - è
diventata ulteriormente selettiva: il governo non stabilisce solo quante
persone possono entrare, ma anche chi. Le quote, infatti, sono ripartite
scientificamente per nazionalità. Il criterio non è basato neanche sulle
richieste del mercato, bensì sul mero accordo tra governi: l'Italia usa i
lavoratori per premiare gli stati esteri che collaborano con Palazzo Chigi
sul fronte della lotta all'immigrazione clandestina (criterio caro
all'Unione europea). E anche adesso che si è giunti a una redistribuzione,
il governo persevera, dettando dall'alto le norme per assegnare i posti
liberi. Le quote avanzate dai mancati accordi bilaterali dovranno essere
utilizzate per lavoratori agricoli non stagionali provenienti
«prioritariamente» dalla Romania e dalla Bulgaria. Ciò che resta può essere
distribuito come lavoro di badantato «in via preferenziale da Filippine,
Ucraina e Romania». Le quote non occupate dai cittadini nigeriani vengono
riservate a lavoratori albanesi, marocchini e moldavi.

«I numeri sono bassi per tutte le province - osserva il direttore della
Direzione regionale del lavoro dell'Emilia Romagna, Patrizio De Robertis -
Nonostante quelle per il lavoro stagionale siano state superiori, sul nostro
territorio si sta costruendo una struttura di informazione tra i diversi
comparti, per cui finita la campagna dei kiwi, si può cominciare quella
delle pesche». De Robertis esprime bene il punto di vista
dell'amministrazione: «L'ingresso dev'essere qualificato, bisogna capire che
queste sono persone». Di conseguenza, una selezione delle nazionalità, «non
si può far venire un lavoratore da Kiev se deve lavorare per 20 giornate».
Infine, le «condizioni per dare un minimo del rudimento del lavoro quando
sono nel loro paese. All'azienda non interessa sapere il nome e il cognome,
quel che interessa è che siano davvero carpentieri». Un possibile sviluppo
di questo discorso si può già saggiare sul sito www.welafre.gov.it.
Cliccando su «Liste di lavoratori extracomunitari disponibili a lavorare in
Italia» si può accedere a un servizio che permette di accedere ai lavoratori
selezionati da Tunisia, Sri Lanka e Albania. Basta inserire una professione,
un tot di mesi di esperienza richiesti, l'età, il sesso, e le lingue che il
lavoratore dovrebbe saper parlare. Poi si schiaccia il pulsante ed esce il
nome del candidato ideale. Dal punto di vista delle aziende e del mercato,
uno strumento interessante.

Si assiste in modo del tutto strisciante all'imposizione di un modello:
lavoratori provenienti da paesi considerati più prossimi culturalmente
(molto est, ok per le Filippine, niente da fare per l'Africa) e da impiegare
nei lavori stagionali o nei lavori di cura per le famiglie. Una gestione che
oltretutto ha una ricaduta negativa sul mercato interno e sul «sistema
Italia». Osserva ad esempio Marco Sordini della Direzione provinciale del
lavoro di Roma, dove c'è una forte domanda di «badanti»: «E' un settore in
cui la selezione etnica è spietata: le famiglie cercano donne bianche,
possibilmente cattoliche. E anche quando vengono regolarizzate, spesso sono
condannate a riprecipitare nella clandestinità. Questo perché, ottenuto il
permesso di soggiorno le donne, giustamente, non accettano più di stare 24
ore al giorno in casa, chiedono di poter portare i loro bambini, pretendono
le ferie. D'altro canto, ormai, per la cura degli anziani l'alternativa
all'istituzione totale è data dalle donne straniere segregate in casa.
Questo modello ci precipita nel Medioevo dei servizi, e ci rende più
conservatori perché non esistono i termini per porre il problema e inventare
soluzioni nuove»

Un sistema che non funziona

Oltre al «badantato», la vera via preferenziale per le quote di quest'anno è
stata assicurata all'agricoltura attraverso le quote per il lavoro
stagionale. Qual è il risultato? Spiega Adriana Caronti, della Cgil di
Vicenza: «Da noi è accaduto che diversi stagionali siano rimasti in Italia,
lavorando al nero». Tra l'altro, l'etnicizzazione delle quote in alcuni casi
ha danneggiato anche l'agricoltura: «Nella nostra provincia - continua
Caronti - la raccolta delle fragole era curata dai lavoratori della
Vojvodina, provincia serba;cancellati di colpo dai decreti flussi che hanno
privilegiato altre nazionalità».

Ed ecco cosa si dice in Trentino, altra regione a forte richiesta di
stagionali: «Da noi la domanda è molto forte per la raccolta di piccoli
frutti e per i servizi turistici - spiega Antonio Rapanà, della Cgil di
Trento - un tempo erano le donne e gli studenti che lavorano stagionalmente
negli alberghi o nei ristoranti, ora non lo fanno quasi più. Perché sono
lavori in cui si viene pagati poco, con scarse garanzie e senza alcuna
prospettiva: i migranti, invece, essendo sotto ricatto sono disposti ad
accettare quelle condizioni». Ma in Trentino «non c'è soltanto il lavoro
stagionale. La richiesta di immigrati è fortissima anche nell'edilizia,
nell'impresa artigianale, nel terziario povero, nella cura della persona. Il
risultato è che da noi i "clandestini" stanno aumentando. Me ne accorgo dal
fatto che ha ricominciato a girare la voce di una sanatoria alle porte».

Soltanto briciole

Il decreto flussi, da sempre, è l'occasione per regolarizzare lavoratori
senza permesso di soggiorno già presenti sul territorio. Ma ormai perde
piede persino questa spinta, per la difficoltà ad aggiudicarsi una quota del
decreto flussi. Oltretutto, la recente distribuzione non andrà a calmierare
le richieste del territorio: quelle presentate all'inizio dell'anno e non
soddisfatte mantengono la precedenza. Il progetto padovano di Meltingpot
(www.meltingpot.it), specializzato sull'immigrazione, commenta così la
circolare relativa alla redistribuzione delle quote per le «grandi opere»:
Sono solo briciole. Chi ha già presentato da tempo la sua domanda di
utilizzo del decreto flussi ha qualche briciola di speranza in più che
l'esame della sua domanda venga effettuato prima che si esauriscano le quote
disponibili».


da "La Repubblica", 5 dicembre 2004
La Manifestazione DEGLI immigrati
di Giovanni Maria Bellu

ROMA - La senatrice Tana De Zulueta, uno dei pochi esponenti del
centro-sinistra presenti al corteo dei migranti, regge lo striscione
dell'Arci. Accanto a lei c'è un giovane uomo con la barba. Difficile
individuarne l'etnia, forse un mediorientale, forse un nordafricano. Chissà.
Di certo un immigrato. La senatrice l'invita a sostenere lo striscione e
quello subito è d'accordo. Ma s'avvicina una telecamera. L'uomo ha un cenno
di disappunto, dice qualcosa come: "Ma cosa mi fai fare?" Gira la faccia per
non essere ripreso. Ma la telecamera è sempre là. Così l'uomo lascia lo
striscione e si confonde tra la folla.

Cinquantamila, secondo gli organizzatori, molti di meno secondo la questura.
Meno, certamente, dei centomila che attraversarono le vie di Roma il 19
gennaio del 2002, quando si svolse la grande manifestazione nazionale contro
la legge Bossi-Fini, che allora era ancora in fase d'elaborazione. Ma gli
organizzatori del corteo sono ugualmente soddisfatti e parlano di un
successo, se si tiene conto del cattivo tempo e, soprattutto, della
condizione attuale degli immigrati. Sono in molti a dover temere le
telecamere; ciò nonostante, sono proprio loro la grande parte del corteo.

Come due anni fa si sentono parole d'ordine antiche, quasi cadute in disuso,
slogan che rivendicano diritti fondamentali, diritti peraltro riconosciuti
dalle convenzioni internazionali e dalle costituzioni di tutti i paesi
dell'Occidente: libertà, giustizia, uguaglianza. "Libertà di movimento",
come si legge appunto nello striscione dell'Arci. Ma tephan, un trentenne
della Costa d'Avorio in Italia da sei anni, regge un piccolo cartello sul
quale con un pennarello ha scritto: "Siamo incazzati, noi neri".

Il corteo verso le 15 lascia piazza della Repubblica, si dirige verso via
Cavour, si frammenta in sezioni etniche che improvvisano happening di danza
o modulano slogan nelle lingue madri, incomprensibili nel contenuto ma
inequivocabili per chi ha l'orecchio allenato a sentire il ritmo della
rabbia.

Questa volta, molto più di due anni fa, le bandiere e gli striscioni delle
organizzazioni (ci sono i metalmeccanici della Cgil, i Verdi, i padri
comboniani, Rifondazione comunista, Emergency, la rete antirazzista, il
tavolo dei migranti del social forum e molti altri) sono sovrastati da
quelli delle associazioni dei migranti: quella dei rumeni, quella degli
albanesi, quella del Bangladesh. E poi gli eritrei, gli srilankesi, sia
cingalesi, sia tamil, i magrebini, gli ecuadoriani. Preceduta da un piccolo
pullman all'interno del quale si notano alcuni uomini in giacca e cravatta,
sfila anche una numerosa delegazione d'immigrati cinesi. E questa è una
novità perché i cinesi raramente escono dalla loro comunità.

E' una manifestazione non "per" gli immigrati ma "degli immigrati", commenta
Filippo Miraglia, responsabile nazionale dell'Arci per questo settore. In
due anni, la Bossi-Fini ha accresciuto nel tra gli stranieri presenti in
Italia una coscienza di ruolo e di stato. Una legge severa nell'imporre
obblighi e quasi svagata nel rispetto dei diritti: giacciono nelle questure
circa 350.000 permessi di soggiorno. Questo mentre del diritto di voto per
gli immigrati ormai non si parla più e continua a mancare una normativa sul
diritto d'asilo. In molti slogan ricorre una parola che l'Occidente credeva
di aver ormai bandito: schiavitù. Le danze, al ritmo della musica africana
diffusa dagli altoparlanti sistemati sul cassone di un camion, in certi
momenti sembrano danze di guerra. Ma è una manifestazione del tutto
pacifica. E lo comunica. Sono pochissimi i negozi che chiudono le
saracinesche al suo passaggio.



da Liberazione
Fratello Migrante
di Fausto Bertinotti

Fai conto di avere 20 anni e di vivere in un Paese che si affaccia sul
Mediterraneo a Sud dell'Italia: sei Magrebino, sei Curdo, sei Palestinese; o
di vivere in una favela di una delle tante cinture delle metropoli del
Centrafrica o dell'America australe; o di abitare in una sperduta periferia
dell'Estremo Oriente. Muori letteralmente di fame, malattie facilmente
debellabili uccidono a grappoli bambini e anziani, l'Aids divora la tua
gente, la prostituzione è per la stragrande maggioranza delle persone,
l'unico mezzo per mangiare, la tua speranza di vita è meno della metà che in
Occidente. Volti di donne, di bambini, di ragazze e ragazzi, come li
racconta Alex Zanotelli nel suo *I poveri non ci lasceranno dormire*, i
volti, le voci, la disperazione di un luogo come Korogocho, a disperazione
dei bambini costretti a vivere e a sopravvivere nel "Mukuru", la grande
discarica, dove nemmeno arrivano i rifiuti "buoni" ma lo scarto dei rifiuti
perché «i ricchi si appropriano persino della spazzatura migliore». E nulla
migliora. anzi, le disuguaglianze si accrescono. Come dice Padre Zanotelli:
«I poveri diventano sempre più poveri, a Korogocho come a Salvador di Bahia,
a Johannesburg come a Manila. Gli aggiustamenti strutturali voluti dal Fondo
Monetario Internazionale vengono pagati pesantemente dai poveri. Ormai,
questi non riescono quasi più ad avere accesso agli ospedali, rimangono
esclusi da servizi sociali fondamentali come la scuola. Tra qualche anno,
buona parte dei bambini di Nairobi non potrà permettersi il lusso di
accedere all'istruzione primaria. La vecchia apartheid, quella basata sul
colore della pelle, al confronto fa sorridere. I ricchi sono oggi quelli che
impongono leggi e regole che i poveri, i derubati, devono osservare: una
morale doppiamente ipocrita. Si costringe chi ha subito il torto a
rispettare la volontà di chi quel torto ha esercitato».

Poi, oltre alla fatica di sopravvivere, c'è spesso la guerra, la
discriminazione di culture, religioni, popoli, c'è l'arbitrio del potere, lo
spregio di diritti fondamentali.

Anche se vivi nel Paese meno disgraziato tra quelli, pensi a quante sono le
ragioni per restare e quante quelle per partire, a cosa lasci e cosa ti puoi
aspettare. Ne sappiamo qualcosa nella nostra storia recente: i migranti
italiani che lasciavano l'Italia per quella banchina di New York, dove,
forse, poter ricominciare.

Se non muori nell'attraversamento, raggiungi quella meta, ma ti accorgi ben
presto che quello non è l'Eden - e il gigantesco spot delle magnifiche sorti
dell'Occidente svanisce in una realtà ben diversa.

Tu, in quel viaggio, hai una speranza e arrivi in luoghi che sembrano averla
perduta. Entri dentro un sistema che ti prende e ti respinge allo stesso
tempo. Ti prende come braccia e gambe da utilizzare, come merce, e prende
tutto il tuo tempo, le tue energie, il tuo lavoro e ti respinge come
persona, come cultura, come cittadino, come lavoratore.

E' la ricetta della destra, è la filosofia che sorregge la legislazione che
le destre hanno prodotto, è la "Bossi Fini". E' l'idea dell'Europa,
dell'Occidente, come fortezza sicuritaria e il tentativo di tradurla in una
ideologia compatta, quella di Bush, dell'Occidente come Bene che lotta
contro il Male, tutto ciò che è estraneo ad esso. Ma è essa stessa
un'ideologia ipocrita che cela una falsità che va disvelata: prova a
realizzare il sogno di questa ideologia reazionaria e fai sparire in una
notte tutti i migranti che vivono e lavorano in Italia, in Europa, negli
opulenti Stati Uniti e guarda che cosa accade: accade che l'intero sistema
di queste economie viene sconvolto e spazzato via.

E allora, le destre ti usano: tu servi. Servi come lavoro vivo dentro il
processo di accumulazione e hai la possibilità di restare allorché e finché
sei utilizzabile in una condizione servile dentro questo meccanismo. E il
tuo permesso di soggiorno è in relazione diretta con questo stato di
precarietà assoluta che ti ricatta e ti rende schiavo.

Frammista a questo trovi, però, anche una società ricca, incontri un sistema
di relazioni dense: associazioni, movimenti, organizzazioni del movimento
operaio che, esse stesse, si interrogano sul nuovo conflitto di classe al
tempo della globalizzazione neoliberista. Tu sembri l'eccezione ma stai
diventando la regola, sembri rappresentare una condizione del lavoro che
parla del passato (pensiamo al nostro caporalato) ma, invece, indichi il
futuro della condizione lavorativa, indichi il futuro prossimo cui il
presente tende per tutti.

Il lavoro migrante dall'interno e la delocalizzazione dall'esterno sono le
tenaglie che tendono a chiudersi sul mondo del lavoro per ridisegnare il
complesso delle relazioni sociali e dei rapporti di produzione.

La precarietà, da condizione di fasce sociali più o meno estese, a seconda
delle vicende dell'economia e dei rapporti sociali, si fa condizione
generale.

Per questo motivo profondo la condizione dei migranti non parla dell'antica
schiavitù, da cui ci siamo liberati nel corso di un grande processo di
emancipazione del secolo scorso ma della modernità della condizione del
lavoro servile nel nuovo secolo.

La condizione del lavoro migrante, quindi, rappresenta oggi l'estremo della
condizione di precarizzazione e di servitù che si fa paradigma della
ridefinizione dei rapporti di produzione e sociali per tutti. L'altra faccia
della delocalizzazione.

Dunque, migranti, non solo fratelli, come pure è indispensabile nella
convivenza umana, ma compagni, per la conquista di un nuovo corso sociale e
politico, parte di una nuova coalizione, di un nuovo movimento operaio.

Ecco perché poniamo sullo stesso piano la necessità di abrogare la legge 30
sulla estremizzazione del precariato del lavoro, la Bossi Fini e quella
Moratti sull'istruzione. Non perché non vi siano altre leggi indecorose da
cambiare o da cancellare ma perché queste tre leggi si tengono insieme e
rappresentano le tessere fondamentali di una caduta complessiva della
cittadinanza universale che si stringe sul lavoro.

La loro cancellazione, naturalmente, non è per tornare alla legislazione del
centrosinistra, per fare due soli esempi, alla legge Turco Napolitano
sull'immigrazione (e mantenere la vergogna dei Cpt che, al contrario, vanno
cancellati) o alla legge Berlinguer sull'istruzione, ma per determinare una
rottura con il ciclo neoliberista e, anche per quella via, aprire un nuovo
corso.

Migranti, fratelli e compagni nella costruzione di quello che abbiamo
definito nuovo movimento operaio: è questa la sfida di fronte a tutti noi.
Il neoliberismo determina la rottura della coesione sociale, tende a
dividere e separare i soggetti, crea l'illusione del rifugio dentro una
ideologia sicuritaria e di guerra.

I movimenti, cresciuti sull'onda lunga del movimento altermondialista, uno
separato dall'altro, non ce l'ha fanno, il rischio è il loro ripiegamento in
una logica difensiva. Solo connettendo le lotte, unendo i percorsi,
unificando i progetti, è possibile oggi riproporre il loro ulteriore
sviluppo e la loro stessa capacità di incidenza. E questo ancora da solo non
basta. Serve e un progetto politico di alternativa.

Questo è il nostro progetto. Questo è il progetto che ti proponiamo,
fratello, compagno migrante.

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