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Povertà e esclusione in crescita a Vicenza
22.12.2004

POVERTA’ E ESCLUSIONE IN CRESCITA A VICENZA
Una ricerca che illustra un segmento dell’agire della Caritas diocesana vicentina, e che si basa sull’attività di due sportelli, mette in luce l’aumento dei casi di esclusione sociale. Intanto, grazie alla Fondazione Cariverona, parte il progetto “Farsi Prossimo”.
Vicenza, 21 dicembre 2004. L’esclusione sociale a Vicenza cresce e la società nel suo complesso non riesce a dare risposte adeguate. Potrebbe essere questa la sintesi che emerge dall’analisi dei dati relativi a quattro anni di attività, dal 2000 al 2003, dei due Centri di Ascolto della Caritas diocesana aperti in contrà Torretti a Vicenza. Si tratta di un rapporto che illustra solo un segmento del complesso delle attività svolte della Caritas vicentina (come citano le pagine 5 e 6 della ricerca, si tratta solo dello 0,8% delle prestazioni erogate, che comprendono anche l’attività pedagogica e di formazione), ma da essi prende comunque forma un Osservatorio diocesano sull’esclusione sociale con cui la Caritas vicentina viene in contatto.
I numeri evidenziano che nel 2003 le persone che si sono rivolte allo Sportello Accoglienza e allo Sportello Donna sono state ben 1.383 (1.107 immigrate e 276 italiane), sulle quali sono stati realizzati 1.743 interventi ed erogate 1.868 prestazioni. Ad impressionare maggiormente, già a partire da questi dati, è il significativo trend di crescita del bacino di utenza, che in quattro anni si è quasi triplicato (+145%), a sottolineare di fatto l’acuirsi di situazioni di disagio che cercano risposte nella Caritas diocesana. Fra le caratteristiche di fondo va segnalata la forte presenza di immigrati (quattro per ogni italiano), la predominanza maschile fra gli assistiti italiani (quasi il 66%) e quella femminile fra gli immigrati (53,7%).
Complessivamente si tratta di una povertà sia monetaria, che materiale, che culturale: la mancanza di un reddito o la sua insufficienza a garantire standard di vita minimi è riscontrabile infatti nell’86,1% delle persone, mentre 6 volte su 10 ad esso si associa la mancanza di un’abitazione. Da un’analisi delle fasce di età emerge invece un altro dato significativo, quello di un ringiovanimento delle situazioni di disagio, con un allargamento della presenza di giovani sotto i 30 anni (21,1%) e una corrispondente progressiva contrazione della fascia anziana, a conferma del fatto che le persone in età avanzata in difficoltà trovano probabilmente altri interlocutori locali. Da un punto di vista lavorativo, invece, si va espandendo la quota di assistiti in attesa di una qualche forma di inserimento nel mercato del lavoro (68%). Negli utenti italiani il disagio si lega spesso ad esperienze di dissoluzione dei legami coniugali (18,9% degli italiani censiti), dai quali nascono nuclei formati da una sola persona (soprattutto uomini) o composti da un genitore con figli (maggiormente donne). Fra gli immigrati la solitudine va ricondotta invece alla non realizzazione dei ricongiungimenti familiari.
GLI ITALIANI. La mancanza di un reddito o la sua insufficienza caratterizza il 51,8% degli italiani che si sono rivolti alla Caritas. Solo uno su quattro sta vivendo un rapporto coniugale, la metà non ha mai costruito la propria famiglia e sempre di più sono quelli che vedono dissolversi il proprio vincolo matrimoniale (18,9%). Più della metà non è inserita nel mercato del lavoro, pur essendo in età favorevole, (il 56,7%). Complessivamente emergono due profili di assisiti italiani: per gli uomini la condizione globale è quella di solitudine e isolamento, con assenza di legami familiari, la privazione di qualsiasi forma di reddito, la mancanza di un’occupazione e di un’abitazione. Le donne presentano una minore assenza di legami familiari, ma piuttosto esperienze di dissoluzioni di vincoli familiari e una precaria situazione economica, accentuata dalla presenza di figli.
Alla Caritas le persone italiane in difficoltà chiedono soprattutto un aiuto di tipo assistenziale (66,1%), che si traduce prevalentemente nell’ottenimento di sussidi economici (33,8%) e in soluzioni alloggiative di fortuna (26,2%). Dai numeri emerge tutta la debolezza della rete relazionale e il limite funzionale dei servizi pubblici che dovrebbero intercettare la domanda e i bisogni sul territorio: la maggior parte infatti (il 56%) dichiara di non essersi rivolta a nessuno in precedenza per chiedere aiuto. Si tratta di risultati che mettono in luce anche l’inadeguatezza del sistema di protezione sociale, che non risulta essere in grado di prevedere risorse aggiuntive per chi non rientra nei requisiti che danno diritto a forme assistenziali pubbliche. Ne è una riprova il fatto che gli stessi servizi pubblici rinviano una parte dei casi proprio alla Caritas.
GLI IMMIGRATI. Sono l’irregolarità e una maggior debolezza sociale i tratti caratterizzanti gli stranieri che chiedono aiuto alla Caritas vicentina: è privo di permesso di soggiorno il 47,5%, una condizione riscontrabile maggiormente fra le donne (54%) piuttosto che fra gli uomini (39,5%). Complessivamente lo stato di povertà, inteso come mancanza di reddito o di disponibilità di un livello sufficiente a garantire livelli minimi di vita, è la caratteristica dominante (l’86,7%) dell’utenza immigrata. Una situazione accompagnata spesso dalla mancanza di occupazione (70,9%). Tre i profili geografici che emergono dai numeri. Innanzitutto il gruppo balcanico (Albania, Bosnia, Croazia, Kossovo, Macedonia, Serbia, Slovenia e Jugoslavia), che conta il 9,3% di presenze ed è composto prevalentemente da donne, tendenzialmente di giovane età, con livello di scolarizzazione medio-basso, sposate e che vivono o in coppia o con altre persone non parenti; per lo più sono dotate di regolare permesso di soggiorno, ma sono disoccupate e hanno redditi insufficienti. Del secondo gruppo fanno parte le persone che provengono da Romania, Moldavia, Ucraina, Bielorussia, Polonia e Russia (36,2%) ed è composto per la maggior parte da donne, di età tendenzialmente più matura, con un livello di scolarizzazione medio alto e molto spesso coniugate ma con la famiglia rimasta nel paese di origine; sono prive di regolare permesso di soggiorno e nella stragrande maggioranza sono disoccupate e senza reddito. Infine c’è un terzo gruppo principale, di provenienza maghrebina (24,8%), composto maggiormente da uomini, la maggior parte delle volte in possesso del permesso di soggiorno, tra i quali risulta senza lavoro almeno il 40%, mentre la precarietà riguarda il 31,3%. Una tra le problematiche maggiormente evidenti per questo gruppo è rappresentata dal contrasto fra la disponibilità economica e il costo degli alloggi.
Quali bisogni esprimono le persone straniere che si rivolgono alla Caritas? Primariamente quelli di tipo espressamente assistenziale (51,6%), in particolar modo richiesta di sussidi economici (23,9%) e di soluzioni alloggiative temporanee (24,6%). Si nota un calo, negli anni, delle richieste di tipo economico, mentre crescono quelle di alloggio, quasi esclusivamente temporanee (nel 95,3% dei casi). Due i modelli di domanda: uno assistenzialistico, ascrivibile alla compagine maschile, indipendentemente dalla condizione di regolarità o clandestinità, e alla componente femminile irregolare; l’altro, promozionale, tipico della componente femminile regolarizzata.
Trova conferma nei numeri, infine, il ruolo di primo punto di riferimento che i Centri di Ascolto della Caritas vengono ad assumere per una quota consistente di immigrati in stato di bisogno. E' vero infatti che il 74,3% dichiara di non essersi rivolto a nessuno in precedenza.
FAMIGLIE SEMPRE PIU’ DIVERSE, SEMPRE PIU’ SOLE. “I dati di questa ricerca – commenta don Giovanni Sandonà direttore della Caritas diocesana – mettono in luce i nodi critici del sistema di protezione sociale locale. Innanzitutto, come ha spiegato recentemente anche il presidente della commissione d’indagine sull’esclusione sociale del ministero del Welfare, Giancarlo Rovati, in una intervista al settimanale Vita nel novembre scorso, aumenta la fragilità delle famiglie e le separazioni stanno diventando un fattore di rischio di povertà: nascono nuovi tipi di famiglie, come quelle composte da un solo genitore con figli o anche da una sola persona separata. Si tratta di realtà nuove, che richiederebbero interventi specifici e un aggiornamento delle reti di sostegno familiare; di fronte a una fragilità familiare più complessa del passato, gli ordinari sussidi economici sembrano infatti inadeguati a fornire risposte efficaci”.
IMMIGRATI FRA SLOGAN E REALTA’. “Dai numeri – continua don Sandonà - constatiamo anche che i percorsi repressivi non hanno saputo contenere, e forse neanche ridurre, irregolarità e clandestinità. Servirebbero percorsi meno burocratici e più permanenti, capaci cioè di regolarizzare subito chi ne ha i requisiti. L’attuale sistema di norme sull’immigrazione infatti rende difficile la regolarizzazione: da un lato sta favorendo il ricorso al lavoro nero, dall’altro spinge molti immigrati verso la precarietà e l’illegalità”.
LA CASA COME TOMBA? “Non possiamo inoltre – prosegue il direttore della Caritas diocesana - non evidenziare la mancanza in generale di una efficace politica della casa. Quando parliamo di esclusione sociale conclamata, la sola offerta di un alloggio come occasione di promozione sociale appare una soluzione precaria, qualora sia possibile. Ha senso, ad esempio, assegnare una casa a una persona che vive l’esclusione, se poi essa viene lasciata lì da sola? Non significa di fatto scavarle la tomba? Se la casa infatti è una risposta necessaria, non è altrettanto detto che un percorso di inclusione sociale sostenibile significhi assenza di altre forme di promozione umana. Non si potrebbe ad esempio pensare a piccole convivenze assistite, a misura familiare e condizionabili alla disponibilità dei soggetti a percorsi di integrazione? Senza questi percorsi complessivi, pur avendo un tetto sopra la testa, si può infatti incorrere in una regressione escludente la persona”.
IL LAVORO CHE NOBILITA I NOBILI. “L’aumento del lavoro precario – riflette don Sandonà - mette in crisi le prospettive per il futuro di molte famiglie, ma esso diventa devastante per chi vive sulla sua pelle una situazione di esclusione sociale. Le attuali politiche del lavoro infatti non sono in grado di consentire inserimenti agevolati ed accompagnati per particolari fasce deboli di popolazione”.
PUBBLICO E PRIVATO PER UN SISTEMA SOCIALE DA “FAVOLA”? “Il bisogno di assistenza sociale – prosegue il direttore della Caritas vicentina - sta aumentando per quantità, per qualità e in complessità, ma le risorse economiche disponibili sono sempre meno. Il sistema dei servizi sociali esige oggi più che in passato una multidimensionalità che nelle intenzioni e nei fatti non viene favorita. Ne è la dimostrazione più recente la bocciatura nella Finanziaria della normativa sulle detrazioni fiscali a favore delle Onlus, la cosiddetta “+Dai -Versi”. Servirebbe una mobilitazione delle risorse dell'intera comunità, che mettesse in rete le istituzioni, ma anche la famiglia, il vicinato, il terzo settore, il volontariato, le associazioni di categoria, con la definizione di obiettivi condivisi e con strumenti concertati. Siamo costretti a constatare che predomina invece una visione personalistica ed individualizzata dei ruoli istituzionali e non”.
PROGETTUALITA’ POLITICA SUL SOCIALE, SE CI SEI BATTI UN COLPO! “Nel sociale – aggiunge don Sandonà - siamo di fronte ad un agire per lo più improvvisato, che rincorre le emergenze. Mi chiedo: quali politiche sociali sono previste a livello locale e nazionale per i prossimi anni? Sono note le finalità o si tratta di un agire mosso da impulsi reattivi più che di una vera progettualità? Non sembra esserci un filo conduttore né solide basi su cui fondare una programmazione sul sociale, come d’altronde non sembra possibile per chi opera sul territorio trovare una controparte che fornisca le proprie linee politiche e un contesto progettuale di riferimento chiaro e progressivo, almeno di un quinquennio”.
SULL’ESCLUSIONE SOCIALE BENEFICENZA O GIUSTIZIA? “Il sistema di beneficenza - conclude il direttore della Caritas vicentina – avanza afono se non si interroga sulle cause del disagio che si impegna di ‘curare’, rischia di diventare una resa muta e invisibile all’omologazione buonista che una o due volte all’anno si fa carico della povertà e della sofferenza privandole di ogni inquietante interrogativo, dettato da una diversità che continua a far paura perché obbliga al confronto e a rivedere i propri schemi di giudizio. Si è resi poveri attraverso politiche di welfare inique, l'assenza di servizi, l'abbandono e l'isolamento, la dimenticanza, la bassa qualità della vita, la povertà delle relazioni, ecc. Parlare di povertà e di precarietà significa quindi interrogarsi su cose concrete, che riguardano il modello di sviluppo della nostra società: dall'organizzazione dei servizi, a quella del mercato del lavoro, ai diritti sociali, ai modelli di riferimento dell’identità”.
IL PROGETTO “FARSI PROSSIMO”. Proprio per tentare intercettare maggiormente i bisogni che rischiano di escludere le persone dalla propria comunità di riferimento, creando le cosiddette povertà estreme, la Caritas diocesana vicentina avvia un progetto che, a partire dall’esistente, prevede l’attivazione di sportelli di ascolto in varie punti del territorio diocesano. Saranno Centri di Ascolto diversificati per tipo di bisogno, dove persone competenti offriranno ascolto e orientamento verso percorsi e servizi, anche per affrontare il problema prima che questo diventi cronico e di più difficile soluzione. E’ il progetto triennale “Farsi Prossimo”, finanziato dalla Fondazione Cariverona con 915 mila euro, che si rivolge alle persone che soffrono una qualche forma di disagio sociale.
Ufficio stampa Caritas Diocesana Vicentina

Mariagrazia Bonollo - 348 2202662 – 0445 812321

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