Welfare Italia :: Cronaca :: Per conoscere Riccardo Scarfatti Invia ad un amico Statistiche FAQ
19 Maggio 2024 Dom                 WelfareItalia: Punto laico di informazione e di impegno sociale
Cerca in W.I Foto Gallery Links Documenti Forum Iscritti Online
www.welfareeuropa.it www.welfarecremona.it www.welfarelombardia.it www.welfarenetwork.it

Welfare Italia
Home Page
Notizie
Brevi
Il punto
Lettere a Welfare
Cronaca
Politica
Dal Mondo
Dalle Regioni
Dall'Europa
Economia
Giovani
Lavoro
Cultura
Sociale
Ambiente
Welfare
Indian Time
Buone notizie
Radio Londra
Volontariato
Dai Partiti
Dal Parlamento Europeo
Area Iscritti
Username:
Password:
Ricordami!
Recupero password
Registrazione nuovo utente
Brevi

 Foto Gallery
Ultima immagine dal Foto Gallery di Welfare Italia

Ultimi Links







Per conoscere Riccardo Scarfatti
25.12.2004

Per conoscere Riccardo Scarfatti
INTERVENTO AL CONGRESSO DI FONDAZIONE DELLA MARGHERITA
Parma 23 marzo 2002
Riccardo Sarfatti

Il 1°febbraio ero a Oslo, in un viaggio di lavoro per la mia azienda, per
incontrare una persona, consulente IBM, con cui intendevo iniziare dei rapporti
commerciali. Durante il nostro colloquio il mio interlocutore iniziò, ad
un certo punto, a fare degli ambigui e poco comprensibili riferimenti al
"Made in Italy", delle allusioni ironiche, non esplicite.

Per me e per la mia azienda, il Made in Italy è un riferimento importante,
quasi sacro; per tutta la vita ho lavorato dentro e per il Made in Italy;
quel Made in Italy moderno e avanzato che ha così tanto contribuito alla
attuale immagine del nostro paese nel mondo, così diversa da quella vecchia
e stereotipata anacronisticamente ancorata alla bellezza geografica del
nostro paese, ai suoi centri storici, alle sue tradizioni, ai suoi cibi,
al flolklore dei suoi mille campanili, ai suoi paolorossi e robybaggio.

Il Made in Italy moderno, al quale intendo riferirmi, è quello che ha saputo
fare sempre innovazione, anche quando le risorse a sua disposizione erano
limitate, e anche in assenza di una valida politica per la ricerca (dove
tra l'altro siamo tra gli ultimi in Europa e nel mondo sviluppato); un'innovazione
che ha saputo coniugare la tecnologia con la funzionalità, la qualità con
la bellezza. Abbiamo sempre saputo ingegnarci per secoli, sicché la nostra
conoscenza si è così arricchita della qualità del nostro fare, divenuto
elemento costitutivo, arrivando perfino a modificare e caratterizzare il
nostro DNA; un DNA che il mondo ci riconosce e che legittima un nostro preciso
ruolo
nel processo di globalizzazione in corso.

Questo Made in Italy moderno e innovatore, che sinteticamente si può riferire
a Moda e Design, ha dato molto al nostro paese, sia con il contributo alla
bilancia commerciale grazie alla grande quota di export, sia - soprattutto
- per l'incommensurabile contributo all'aggiornamento e al rinnovamento
della nostra "immagine".

Per queste ragioni l'ironia del mio interlocutore norvegese mi infastidiva
e volendo capire di più, gli chiesi di essere maggiormente esplicito. Al
che, dimostrando di essere incredibilmente informato sulle vicende italiane,
mi parlò di quella che egli interpretava come l'ultima e più nuova "originalità"
italiana, puntando il dito sulle nuove norme relative ai provvedimenti sul
falso in bilancio, sulle rogatorie internazionali retroattive, sullo scudo
fiscale, o alle posizioni sul mandato di cattura europeo o sul conflitto
d'interesse. Sosteneva in buona sostanza che tali provvedimenti gli erano
sembrati così "anomali" rispetto ai valori e ai comportamenti acquisiti
nei
paesi europei e nel mondo più sviluppato, da ritenere che tutto ciò autorizzasse
l'ìdentificazione, effettivamente, di un nuovo Made in Italy.

Mi sentii colpito, profondamente, nell'intimo; ritornai in albergo e mi
misi
a scrivere di getto un documento, che qualche giorno dopo, discutendone
con
alcuni amici, decidemmo di intitolare "Proud to be Made in Italy". Sentivo
una spinta fortissima a fare qualcosa che mi consentisse di uscire dalla
rassegnata accettazione di ciò che ormai da tempo mi sembrava inaccettabile.
Nello scrivere mi misi a riflettere anche sul mio ruolo individuale di imprenditore,
ma anche sul mio ruolo collettivo e sociale di Presidente di un'Associazione
di Confindustria e di Vicepresidente di una Federazione.
E la riflessione mi fece apparire inaccettabili i silenzi di Confidustria,
o addirittura il suo sostegno, su tutto ciò che era apparso "anomalo" persino
al mio interlocutore norvegese. Guardando le cose da lassù, mi sembrò impossibile
che in Italia non ci fosse un'imprenditoria fortemente turbata dal fatto
che alcuni grandi valori e alcuni grandi principi, quelli stessi che spesso
vengono solennemente ricordati e di cui ,altrettanto spesso, ci si dichiara
strenui sostenitori, fossero così palesemente negati.

Il ruolo sociale dell'impresa, il valore di un mercato effettivamente "libero",
in cui tutti possano competere, indipendentemente dalle posizioni storicamente
acquisite, in un quadro di legalità, di regole di riferimento, di fairness,
di trasparenza ecc. Mi domandai se omissioni e silenzi non fossero il segno
del riemergere di una arcaica concezione del ruolo dell'imprenditore, una
concezione vecchia di tempi che forse troppo velocemente avevamo giudicato
passati; se quei silenzi non nascondessero posizioni fortemente arretrate,
basate sulla concezione di una imprenditoria che per il suo sviluppo ritiene
ancora di aver bisogno di assistenze, di privilegi, di barriere, di protezioni;
ancora una volta tesa alla ricerca di scorciatoie ritagliate sulla raccomandazione,
sull'aiuto della conoscenza "particulare", sull'utilizzo di strumenti di
concorrenza sleale, come il lavoro nero o l'evasione fiscale; su intrecci
poco chiari tra business e politica, come se Tangentopoli fosse passata
senza nulla modificare.

La mia riflessione andò anche al ruolo della Piccola Media Impresa (PMI)
e alla sua presenza all'interno della Confindustria, nonché alla democrazia
interna di questa associazione, alla sua rappresentatività, alle sue politiche
industriali; temi che devono essere assolutamente affrontati all'interno
della stessa Confidustria, sperando che se ne creino le condizioni e si
aprano i necessari spazi.

Dopo quei giorni in Norvegia, durante i mesi di febbraio e marzo, si è poi
sviluppato lo scontro sull'art 18 e mi arrivò la lettera di Assolombarda,
con la richiesta di sottoscriverla e inviarla a Berlusconi; una lettera
"tipo", uguale per tutti - come se gli imprenditori non avessero una propria
testa e non fossero individualmente capaci di scriverne una propria - chiedendo
di tenere duro sulle modifiche all'art. 18, ritenendole decisive per la
modernizzazione del paese.

Fu così che decisi di inviare al Presidente del Consiglio, una mia lettera,
di segno completamente opposto, che è poi stata riportata da qualche organo
di stampa; dato che è molto breve, ve la leggo integralmente.
"Al Presidente del Consiglio on. Berlusconi. Oggetto: art. 18. La nostra
azienda le chiede di recedere dall'iniziativa di modifica dell'art. 18 assunta
dal Governo, ritenendola non decisiva nel processo di modernizzazione e
di crescita dell'occupazione, che comunque non potrà avvenire in un clima
di
scontro con le forze sociali e sindacali. Con osservanza".

Perché il legame che si voleva forzosamente creare tra un così limitato
provvedimento e la modernizzazione del paese, mi sembrava e continua a sembrarmi
del tutto inaccettabile e improponibile. Condivido invece il sintetico giudizio
di Habermas, per il quale la modernizzazione
è stata sin qui caratterizzata da "un deficit di razionalità" e che perciò
la fase nella quale ora viviamo, che è stata definita della post-modernità,
deve essere caratterizzata da uno sforzo volto a colmare questo deficit.
La nuova modernizzazione del paese non può che consistere in un processo
assai complesso, nel quale certamente rientra la necessità di una diversa
organizzazione del lavoro e, indissolubilmente, una revisione ampia degli
istituti del cosiddetto Welfare.
Non ha infatti alcun senso ipotizzare che possa esservi modernizzazione
al
di fuori di un miglioramento della qualità della vita, per chiunque; di
una
riduzione, innanzitutto per i più deboli, di quell'incertezza che certamente
la globalizzazione tende a portare con sé; di garanzie di una vita che presenti
requisiti di dignità in tutte le sue fasi. Che modernizzazione sarebbe quella
che non raggiungesse questi risultati?
Credo che soltanto procedendo in questa direzione, potrà trovare effettiva
soluzione la grande questione della flessibiltà, una vera grande necessità
per le imprese.
Innovazione e qualità sono le vere carte che può giocarsi l'impresa italiana,
nella grande partita mondiale che presuppone grandi capacità di ricerca
e
di sperimentazione e che pertanto presenta grandi rischi e nessuna certezza
dei risultati. Allora, anche da questo punto di vista, appare evidente la
necessità di ammortizzatori sociali capaci di tutelare e garantire coloro
che si trovassero a dover lavorare in una nuova situazione di elevata flessibilità;
facendolo nel miglior modo possibile, in tutte le diverse fasi e in tutte
le diverse condizioni di vita.

E' ormai del tutto chiaro come nulla di simile fosse presente nelle posizioni
del Governo e nella sua proposta di deroghe all'art.18. Mentre è apparsa
assai evidente la posizione ideologica, strumentale, tutta politica, che
stava sotto quella proposta: si voleva, e si vuole, una sconfitta evidente
e clamorosa del mondo del lavoro. Probabilmente da tempo in alcuni settori
politici e imprenditoriali covava la voglia di "tornare indietro", si potrebbe
forse dire di "reagire", rispetto ai miglioramenti conseguiti nell'ultimo
decennio dal mondo del lavoro. E alcuni hanno pensato di poter infliggere,
ora, in condizioni politiche ritenute più favorevoli, una dura sconfitta
a quel mondo, una sconfitta umiliante.
Altro che riformismo !
E per questo si è attaccata direttamente, e unicamente, una delle sue bandiere:
perché, da sempre, strappare la bandiera dell'altro, calpestarla, è il segno
più evidente della sconfitta e dell'umiliazione.
E che queste fossero e siano le vere intenzioni emerge con grande chiarezza
da questa pubblicazione che ho nelle mani. Una pubblicazione distribuita
l'anno scorso durante le Assise di Confindustria. Si tratta della "Indagine
sulle piccole imprese italiane", dove a pagina 19 (laddove sono indicati,
in una tabella, i fattori che limitano la competitività delle PMI) è scritto
che il fattore "scarsa flessibilità del lavoro e costo eccessivo rispetto
alla concorrenza internazionale" ha un peso pari al 16,8%, soltanto del
16,8%!
Non un peso tale, perciò, da farne elemento unico e centrale di scontro:
quale più chiara dimostrazione della evidente strumentalità con cui il Governo
e l'attuale gruppo dirigente di Confindustria, hanno voluto procedere?
Mi sembra che in questa posizione vi sia un atteggiamento del tutto contrario
a ciò che qualsiasi persona di buon senso, che ha vissuto nel nostro paese
negli ultimi 50 anni, dovrebbe avere, essendo del tutto evidente che la
modernizzazione del nostro paese è stata resa possibile dallo sforzo, in
realtà congiunto, di imprenditoria e lavoro. L'apporto positivo portato
è stato, almeno, dello stesso peso, mentre forse "uguali" non sono stati
i sacrifici compiuti e i benefici ricevuti !
E allora, come persone di buon senso e come interpreti del "senso comune",
non possiamo accettare alcuna posizione che voglia tornare indietro o che
voglia ripristinare possibilità di arbitrio verso il lavoro, che voglia
creare condizioni, o climi, all'interno dei quali all'"uomo imprenditore"
sia consentito il diritto di essere "diverso", da poter decidere, a suo
arbitrio, senza giusta causa - appunto - della vita di un altro uomo, "l'uomo
lavoratore".

E', quindi, indispensabile lavorare onde realizzare un nuovo clima, senza
il quale nessuna modernizzazione è possibile. Dentro questo nuovo clima
ognuno deve fare la sua parte. E certo la Margherita può avere un ruolo
importante; come può averlo l'Ulivo. Mi sento di dirlo anche se non faccio
parte né della Margherita, né di alcuna altra forza politica.
Per il nostro paese è importante, nella nuova logica maggioritaria, che
ci
sia un Ulivo che sappia effettivamente raccogliere tutte le spinte realmente
riformiste e innovatrici che vengono dal paese e in cui, diversamente da
come è stato nel passato, anche l'imprenditore che crea valore, in una prospettiva
di modernizzazione, possa sentirsi non più a disagio, bensì accolto in una
casa che sia anche sua. Vorrei che in un Ulivo così fatto ci fosse spazio
per tutti i lieviti che possono far lievitare questo grande pane di cui
certamente il nostro paese ha un grande bisogno.
E vorrei anche che ci fosse la capacità di elaborare e proporre al Paese
un grande programma di nuova modernizzazione, capace di volare alto, ma
anche
di scendere nel concreto di alcune questioni sentite da tutti. L'Ulivo dovrebbe
avere le capacità, in tempi sufficientemente ravvicinati, di proporre con
forza e chiarezza dall'opposizione ciò che non è stato fatto, o non si è
avuto il tempo di fare, dal Governo.
Mi permetto, per chiudere, di ricordare alcune questioni aperte e fornire
alcuni spunti.
La questione fiscale, prima fra tutte. Perché non cominciare a vedere nel
fisco un possibile strumento di modernizzazione: cioè un fisco che possa
essere anche ncentivante, e premiante, per chi è capace di fare concreti
passi per uscire dal nanismo, cioè per chi procede ad aumenti del patrimonio
aziendale, per chi produce ricerca e formazione, per chi incrementa i livelli
di esportazione, per chi crea nuova occupazione. E, a questo proposito,
perché non riproporre ciò che Francesco Rutelli propose in questa stessa
sala l'anno scorso al Convegno di Confindustria: la diminuzione a tempi
brevissimi almeno del 30% dell'IRAP ? Si tratta di una cifra importante
delle entrate dello
stato, ma non impossibile da reperire: poco più dell'1% del totale delle
entrate. Perché non incalzare anche su questo terreno il governo?
La questione di un effettivo sostegno alle aziende esportatrici. Noi oggi
perdiamo competitività non tanto per i "costi del lavoro", che sono ancora
un poco più bassi di quelli dei nostri concorrenti occidentali più diretti,
ma perché essi hanno sostegni da parte dei loro "sistemi paesi" assai più
solidi, senza paragone rispetto a ciò che noi effettivamente abbiamo. Questo
sostegno richiede capacità di selezionare gli interventi, e di non parcellizzarli
in una molteplicità di rivoli. Richiede aiuti effettivi alle aziende, soprattutto
a quelle della tipica dimensione italiana (50-100 addetti) che da sole non
possono sostenere i costi della globalizzazione. Richiede politiche fieristiche
capaci di far fronte agli attacchi dei più forti in un mercato, quello fieristico,
del tutto selvaggio. Richiede facilità di accesso al credito e solide garanzie
assicurative. E richiede tant'altro, ma il mio tempo è certamente finito.

Voglio finire con un appello agli imprenditori che hanno realmente a cuore
il Sistema Italia, e non solo i loro particolari e personali interessi:
che
facciano sentire la loro voce, che si facciano promotori di un patto, tra
forti e deboli, tra grandi e piccoli, in cui si sancisca che alla base di
ogni confronto debba essere solidamente posto il principio della coesione
sociale, come presupposto indispensabile per la modernizzazione economica,
sociale, culturale e politica del nostro paese.
Auguri per il vostro Congresso di fondazione, auguri e complimenti a chi
ha promosso e voluto questa nuova realtà della politica italiana, auguri
a tutti voi che date il vostro impegno per realizzarla.

Riccardo Sarfatti
imprenditore, amministratore delegato LUCEPLAN s.p.a., presidente di Assoluce,
vicepresidente federlegno Arredo, presidente Consiglio Nazionale associazioni
del Design (CNAD)

Welfare Italia
Hits: 1799
Cronaca >>
I commenti degli utenti (Solo gli iscritti possono inserire commenti)
Terza pagina

Sondaggi
E' giusto che Bersani si accordi con Berlusconi per le rifome ?

Si
No
Non so
Ultime dal Forum
La voce del padrone di Lucio Garofalo
Salotti culturali dell'Estate bolognese
Pippo Fallica querelo' Corriere della Sera e La Sicilia?
NO LEADER, NO PARTY di Luigi Boschi
UN PARTITO LENINISTA (LEGA) CHE SPOSA IL VATICANO di A.De Porti
POESIA DI VITA di Luigi Boschi
La vita spericolata del premier di Silvia Terribili
Romea Commerciale di Orlando Masiero
Sondaggio, 15mila i voti finora espressi
Buon che? di Danilo D'Antonio
L'Italia è una Repubblica "antimeritocratica" fondata sul lavoro precario
LA PROTESTA DEI SANGUINARI di Luigi Boschi
L'AQUILONE STRAPPATO di Antonio V. Gelormini
Il reality scolastico su "Rai Educational"
Vuoto indietro diventa proposta di legge,





| Redazione | Contatti | Bannerkit | Pubblicità | Disclaimer |
www.welfareitalia.it , quotidiano gratuito on line, è iscritto nel registro della stampa periodica del Tribunale di Cremona al n. 393 del 24.9.2003- direttore responsabile Gian Carlo Storti