28.12.2004
Richiesta di chiarimento da parte di Communitas 2002 : è ottimo che si faccia pubblicità a Sarfatti, ma nella mia comunicazione era chiaramente indicato che l'intervento di Sarfatti era avvenuto nel corso del convegno di Communitas 2002: Può l'impresa avere fini sociali? L'esperienza olivettiana del 25 ottobre 2005 - Roma. Non credo che sia corretto che questo Andrea diffonda documenti che sono di nostra proprietà senza citarne la fonte. Welfare Italia ha ricevuto il documento da noi con la nostra presentazione il 27 dic. 2004. Credo che sia giusto specificare quanto sopra, non per fare sterili polemiche, ma perchè è giusto che il lavoro di ognuno sia correttamente attribuito. Puoi provvedere? Cordialmente Simona Giovannozzi
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Nota Bene: non siamo un sito professionale ed a volte commettiamo piccoli errori.....che cerchiamo di rimediare...in trasparenza. Ci scusiamo per l'imprecisione.
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Cari amici, come sapete, Riccardo Sarfatti è stato designato a candidato presidente della regione Lombardia per il Centrosinistra. Per farvi conoscere un po' meglio il personaggio, vi invito alla lettura di un suo intervento pronunciato il 25 ott. 2004 a Roma in un convegno sull'Etica nell'impresa.
A presto, Andrea
Etica d’impresa: motore o freno all’innovazione? Essendo io un imprenditore avverto oggi nel paese una esigenza importante, quella di ribadire un ruolo positivo dell’impresa, dopo anni di un Presidente Imprenditore che tutto ha fatto fuorché dare indicazioni su ciò che l’impresa dovrebbe fare e come dovrebbe essere, dando anzi, di essa e del ruolo dell’imprenditore, un’immagine sinceramente inaccettabile. Io, però, come imprenditore tendo sempre ad essere diligente e perciò, anziché parlare, come vorrei, di un diverso ruolo dell’impresa, cercherò di rispondere al quesito che mi è stato dato e cioè se l’etica d’impresa sia freno o motore dell’innovazione. Mi auguro che così facendo tuttavia emerga una concezione dell’impresa profondamente diversa da quella del Presidente Imprenditore. Anche perché, a sua differenza, non sono concessionario dello Stato, non godo di protezioni monopolistiche, e soprattutto, con ancor più significativa differenza, opero quotidianamente nella competizione e nei mercati della globalizzazione, ciò che, mi sembra proprio, il Presidente Imprenditore non faccia. Per incominciare ad affrontare il tema, ho innanzitutto cercato di andare a vedere che cosa Adriano Olivetti ha detto o scritto al proposito. Devo dire sinceramente che non ho trovato molto ed ho allora cercato di capire il perché. Il perché credo che risulti ben evidente da tutto quello che stasera è già stato qui detto. Per Adriano Olivetti l’innovazione non c’era bisogno di teorizzarla; era intrinseca a tutto quello che faceva, e l’etica, come motore o freno dell’innovazione, era completamente dentro di Lui. Innanzitutto nel credere che l’impresa non è un fine, ma che è uno strumento per “qualcosa d’altro”. E questo qualcosa d’altro è l’emancipazione del lavoro, l’emancipazione del territorio nel quale l’impresa sta, l’ emancipazione e il miglioramento di tutto ciò che sta dentro e intorno all’ impresa. Olivetti in realtà ha anticipato di molto, e in modo compiuto, quello che oggi è uno dei grandi temi su cui si dibatte: quello della Responsabilità Sociale dell’impresa. Credo che ciò che ha fatto Adriano Olivetti, e ancora prima Suo padre, fosse e sia stato un esempio, quasi completamente realizzato, di “responsabilità sociale dell’impresa”, in modo corretto. Perciò, di tutto ciò, non c’era allora bisogno di parlarne o di particolari teorizzazioni, era tutto “naturalmente” interno a ciò che si faceva. E’ inutile dire quanto Olivetti sia stato per molti di noi un riferimento costante; lo è stato per tutte le cose che stasera qui sono state dette, e in particolare per quella cosa straordinaria che è venuta fuori dall’ intervento di Nesi poco fa. La ricerca della connessione forte e costante tra le due culture: la cultura umanistica e la cultura tecnologica. Cioè la ricerca concreta, nel fare impresa, di una sintesi tra queste due culture, con gli straordinari risultati che questo ha dato. Io vorrei ora cercare di rispondere a questo tema difficile che mi è stato assegnato anche se gli imprenditori, per loro natura, non sono filosofi. Certe volte sono però anche degli studiosi, come Adriano Olivetti è stato. E il tema “l’etica d’impresa: freno o motore dell’innovazione” è estremamente impegnativo. Intendo dirvi quelli che sono stati i miei ragionamenti su questa questione a partire dalla mia esperienza di imprenditore. Prima di ogni altra cosa è per me necessario dire che cos’è per me l’ innovazione e che cosa credo che sia per molte imprese italiane, certamente non per tutte, ma senz’altro per molte. La mia azienda non è una grande azienda, come certamente è stata la Olivetti, è piccola ma non piccolissima: ha una dimensione di 100 dipendenti ed opera in un settore estremamente congestionato, com’è la situazione attuale per molte imprese italiane. Nel mio settore operano in Europa 8.000 imprese e perciò in una situazione di questo genere, di grande proliferazione di offerta sul mercato, la “vera innovazione” è qualcosa di estremamente difficile. Sul concetto di vera innovazione fra poco dirò di più. Vorrei preliminarmente dirvi qualcosa su come facciamo noi, nella nostra azienda, all’interno di questa congestione di offerta, a trovare innovazione. Il ragionamento che noi abbiamo fatto è, fin dalla nascita dell’azienda, sostanzialmente questo: dentro un’offerta di questo genere la vera innovazione è certamente difficile da trovarsi. Forse la vera innovazione consiste soltanto in qualche piccola innovazione che può essere trovata, ma deve essere una innovazione vera. Ma come ricercarla? A me è capitato di ragionare “a posteriori” su questa questione perché la mia azienda, a un certo punto della sua storia, nel 1994, ha ricevuto un importante premio da parte della Comunità Europea, l’European Community Design Prize, che per la prima volta venne assegnato a un’azienda del settore nel quale noi operiamo, quello dell’illuminazione. In seguito a questo premio sono state numerose le richieste, soprattutto dall’estero, di spiegare la nostra esperienza. Mi trovai così nella condizione di dover cercare di spiegare, e perciò di razionalizzare, quello che avevamo fatto. Sono arrivato ad individuare, a posteriori, 9 ambiti di ricerca verso i quali è possibile trovare un piccolo quantum di innovazione; perché è la somma di tanti piccoli quantum, ammesso che li si trovi, che dà poi una possibilità di ottenere una innovazione vera, visibile e percepibile. Guardate che l’innovazione è uno dei pochi strumenti che un’azienda ha per avere la sua visibilità sul mercato, cioè per farsi vedere. L’innovazione vera viene riconosciuta al di là delle campagne pubblicitarie e al di là dell’utilizzo di altri mezzi che, per altro, non sono utilizzabili da aziende di medie o piccole dimensioni. Quali sono questi 9 ambiti di ricerca? Cerco di dirvelo molto sinteticamente. Anzi tutto l’analisi nella storia e nel mercato: è inutile fare quello che è già stato fatto nel passato o che è già a disposizione nel momento in cui vivi. Nella storia si può trovare molto di già fatto che possa essere riproposto in termini nuovi. In secondo luogo l’analisi delle esigenze biologiche dell’individuo: nel continuo specializzarsi dell’ organizzazione sociale anche l’individuo “specializza” sempre più le sue necessità e i suoi bisogni. Magari un giorno lontano avremo un dito lunghissimo con una punta acuminata e un orecchio assai più grande perché gli strumenti che useremo saranno sempre più del genere di quelli che da poco abbiamo incominciato ad usare. Questa evoluzione si verifica nel corpo biologico dell’individuo ed esiste, per quanto mi riguarda, in termini di sempre nuovi bisogni anche per la luce. La ricerca sull’uomo da questo punto di vista è estremamente importante. In terzo e quarto luogo la ricerca sulla tecnologia, e sui materiali. Molti dei nostri settori produttivi sono settori che non sono mai diventati completamente industriali, si sono trasformati a partire da una situazione artigianale consolidata, spesso incorporando la qualità del lavoro artigiano in livelli di organizzazione superiore. Per questo la ricerca sulle tecnologie sviluppate anche in altri settori e il loro trasferimento è estremamente importante. La stessa cosa vale anche per i materiali. Il quinto ambito di ricerca, specifico per quanto riguarda il mio lavoro, è quello delle sorgenti luminose, sia quelle artificiali che quelle naturali. Stiamo svolgendo in questo momento delle ricerche importanti su come la luce del sole, cioè luce a consumo di energia pari a zero, può essere un elemento di illuminazione negli ambienti: è possibile portare la luce del sole in tutte le parti che non hanno finestre. Così potremmo essere illuminati, in questa sala, se fuori fosse una bella giornata, dal sole e consumare zero energia. L’uso dell’energia è, per noi il sesto ambito di ricerca: oggi più che mai importante. La Russia ha approvato il protocollo di Kyoto e molte cose dovranno cambiare sull’uso dell’energia. E così anche l’ambiente e il riciclo del prodotto a fine vita sono questioni fondamentali per chi produce prodotti. Le trasformazioni della distribuzione, cioè delle strutture mediante le quali avviene la vendita dei prodotti sul mercato, e tutta la problematica della comunicazione sono l’ulteriore ambito della nostra ricerca. La distribuzione infatti è la prima a risentire delle modifiche nei settori di consumo: anch’ essa si trasforma e cambia significativamente e l’impresa non può che avere attenzione verso questo tipo di cambiamenti. Infine l’ultimo e, per noi, decisivo e importante ambito di ricerca è quello per la forma e la bellezza dei prodotti. Ma fate attenzione! Il design è tutte queste cose insieme e non soltanto quest’ultima. Queste sono le direzioni su cui noi facciamo ricerca. Una piccola azienda può dunque fare ricerca! Questo è il primo concetto che volevo affermare, non è vero che la ricerca si fa solo nella grande azienda. Con la ricerca anche la piccola dimensione può arrivare all’innovazione. Le scelte, rispetto alla ricerca, su ogni parametro della ricerca, non possono che essere sempre legate a riferimenti valoriali ed etici. Rispetto ai parametri di cui ho parlato prima, come si può decidere se non avendo dei riferimenti etici? Ovviamente, oltre ai riferimenti etici, si ragiona sempre sulle potenzialità che ha l’azienda, cioè su come le cose che si ritiene giuste fare, possano effettivamente essere fatte. Dunque l’etica è per noi importante, una guida fondamentale nel processo di ricerca e nelle decisioni che devono essere prese. Provo ora a rispondere alla domanda se l’etica è motore o freno all’ innovazione. L’innovazione è un cambiamento, cioè la modifica di uno stato precedente. Si può avvicinare al concetto di evoluzione. Possiamo assimilare innovazione, cambiamento, evoluzione. Cose un po’ diverse tra di loro, ma simili. Tutte le speci evolvono, Darwin ce lo ha insegnato, ma evolvono anche le cose e gli oggetti, evolve il pensiero ed evolve anche l’etica. Da questo punto di vista il cambiamento sembra un processo naturale, intrinseco allo scorrere del tempo e all’istinto dell’uomo per la ricerca di sempre migliori condizioni di vita. Potrebbe perciò sembrare che la tendenza all’ innovazione sia una spinta naturale perché è nell’interesse di tutti. In realtà non è così. Le resistenze al cambiamento sono sempre molto forti. Il cambiamento spaventa perché modifica gli equilibri, crea perciò anche una situazione di rischio e cioè di incertezza. Per questo io credo che fino a un certo punto i processi di cambiamento sono stati processi lenti, perché necessitavano di essere maturati e digeriti, oggi si direbbe condivisi. Con la rivoluzione industriale i processi di cambiamento si sono velocizzati, allorché scienza e tecnologia si sono tra loro avvicinate, hanno interagito l’una con l’altra, la scienza con la tecnologia. La tecnologia, prodotto e strumento della scienza, ha incominciato a contribuire direttamente allo sviluppo della scienza stessa. Pensate oggi quanto la tecnologia internet aiuti la scienza, in termini di trasmissione delle conoscenze. L’interazione tra scienza e tecnologia ha così ridotto i tempi dell’innovazione che tende sempre più ad essere continua e rapida. La capacità innovativa per questo è diventata elemento decisivo di competitività , è diventata una necessità del mercato e perciò sottoposta ai rischi e ai condizionamenti del mercato. L’ innovazione è così divenuta ancora più rischiosa, si perde spesso la chiarezza dei suoi fini: l’innovazione per chi e per che cosa? per il miglioramento della qualità della vita o per interessi di mercato? Rispetto a tali dubbi il rapporto tra innovazione ed etica diventa decisivo. A questo punto si può cercare di rispondere: etica come motore o freno? Ma è impossibile una risposta chiara ed univoca. Per l’innovazione il riferimento a elementi etici, morali, di valore è ciò che deve essere acquisito una volta per tutte. Saranno questi riferimenti a consentire di volta in volta di definire i contenuti dell’innovazione, cioè i tempi ed i modi dell’innovazione. La responsabilità sociale dell’impresa assume perciò un ruolo veramente decisivo anche rispetto a queste questioni. L’innovazione vera, come dicevo prima, è cosa rara, perché nell’attuale contesto mondiale, non soltanto nei paesi avanzati, tutto ciò che è stato fatto per il miglioramento della qualità , come Iso 9000, le Vision 2000, la certificazione di prodotto, ha di molto elevato i livelli medi di qualità . Ma l’eccellenza, l’innovazione vera, è un’altra cosa. L’eccellenza non può che essere cosa rara. Se è così, non può essere né continua né veloce. L’ etica non può che agire insieme come motore e come freno, come vi ho detto. Nella mia azienda su queste cose abbiamo molto riflettuto. C’è stato un momento in cui il proporre prodotti nuovi sembrava essere la carta decisiva. Noi stessi siamo caduti in questo gioco, quello del voler fare molti prodotti nuovi, ma abbiamo probabilmente sbagliato e in questo momento stiamo rallentando. Ci siamo convinti che sia assai più utile e “sostenibile” impegnarsi su pochi progetti che mirino effettivamente all’ innovazione vera e che l’azienda debba contare su questi come l’effettivo contributo che essa può e deve dare. Ma qual è il contesto per l’innovazione e la ricerca nel nostro paese? L’ eccellenza richiede contesti culturali che la possano favorire, ciò che oggi il nostro paese non ha. Siamo tra i più lontani dalle logiche di Lisbona, cioè dalle logiche dell’economia della conoscenza, quelle sulle quali vale la pena effettivamente riflettere. Il nostro paese ha un numero di laureati addirittura più basso di quello che hanno, ad esempio, i paesi dell’est ora entrati nella comunità europea; ha un numero di diplomati all’interno dei processi produttivi che sono la metà di quello che hanno paesi come Stati Uniti, Germania, Giappone e Inghilterra. Il problema primo che si pone per l ’innovazione è quello dell’innovazione culturale e organizzativa del contesto che può produrre la ricerca e l’innovazione. Dobbiamo cambiare tutto rispetto al nostro modo di concepire la ricerca e l’innovazione, sia dal punto di vista culturale che dell’organizzazione. Dobbiamo rivedere, uscendo dai luoghi comuni, lo stato effettivo delle risorse, dell’ organizzazione, del rapporto tra imprese, centri della ricerca e l’ università ; dobbiamo approfondire nuovi contenuti e definire nuove modalità per la formazione, capire che diventerà sempre più decisiva la formazione continua. Il tutto adeguato e in sintonia con “l’innovazione italiana”. Sono convinto che Adriano Olivetti sarebbe d’accordo su questa affermazione. E’ un’innovazione specifica l’innovazione italiana? Sì lo è ed è possibile definire che cosa essa è. Marco Revelli nel suo stupendo libretto “ La politica perduta” analizza bene il nostro Dna, riflettendo in termini sintetici su 500 anni della nostra storia. Un’Italia sempre claudicante sul piano delle istituzioni pubbliche, ma ricca di una storia, di una geografia, di una cultura sedimentata, senza possibilità di paragone. L’immenso patrimonio che è senza dubbio l’unico vero primato italiano del mondo, il nostro tratto primario per eccellenza. Da questo humus viene l’innovazione italiana, una capacità di innovazione diffusa che viene dalla molteplicità di frammenti vivi e vitali, anche se strutturalmente incapace di rispondere in modo coordinato, come sistema. Capacità continua di invenzione e di innovazione in alcuni ambiti, contando sempre sulle risorse effettivamente a disposizione. Anche se la ricerca non si faceva e gli investimenti erano bassi, nonostante questo ricerca e innovazione sono state fatte. Quali sono questi ambiti? Gli ambiti del vivere quotidiano. Il riconoscimento dell’ Italia nel mondo, oltre quello della sua storia e del suo territorio, è la sua capacità di proposta in ciò che riguarda la vita di tutti i giorni dell’ uomo: alimentarsi, vestirsi, abitare. In questi ambiti l’innovazione si è accompagnata spesso al “Molto Bello” che non deve mai essere confuso con il Lusso. Il molto bello è qualcosa di diverso dal bello. Il bello è ciò che abbiamo in natura, il molto bello è la trasformazione del bello con l’ intervento dell’uomo. E’ stata la nostra storia di secoli, che purtroppo oggi sembra non poter più continuare. Parliamo di declino. Non sono un catastrofista perché penso che abbiamo in noi tutte le risorse e le potenzialità per cambiare la tendenza e riprendere lo sviluppo. Ma il declino è uno spettro terribilmente percepibile e sovrastante. Non siamo stati in grado di evitarlo e di evitare che si installasse intorno a noi e sopra di noi, che ci avvolgesse. Anzi, abbiamo fatto molto per consentirgli di venirci vicino, malgrado la nostra storia e le nostre potenzialità . Abbiamo scelto ed attuato politiche economiche che, alla resa dei conti, ci hanno portato ad arrestare lo sviluppo. Ormai sono finalmente più chiari i meccanismi e i processi che si sono verificati. Luciano Gallino e alcuni altri ce li hanno ben spiegati. Di queste analisi bisogna tener ben conto e da lì ripartire. Siamo rimasti piccoli non per scelta, ma per logica conseguenza del modello di sviluppo prescelto: se le risorse andavano, nei modi con cui andavano, in certe direzioni, verso poteri forti e protetti che di fatto impedivano la liberalizzazione dei mercati, non potevano andare verso altre che consentissero una crescita diffusa. Non ci siamo così preparati a trasformazioni globali che pure si potevano prevedere e che erano state previste. Ora che ce ne accorgiamo siamo ancora in tempo? Forse sì, se imbocchiamo velocemente la strada giusta e cambiamo passo. C’è ancora un gap con i nuovi paesi, con i nostri veri competitors. I nostri veri competitors non sono i paesi occidentali, non sono la Germania, l’ Inghilterra o gli Stati Uniti, i nostri competitors sono Cina, Corea, India. Dietro ai nostri 25 settori in cui siamo ancora leaders mondiali si affacciano questi paesi e non altri. Il livello tecnologico tra noi e questi paesi non è ancora lo stesso. Quei paesi sono velocemente arrivati ad una situazione tecnologica medio bassa; noi non abbiamo tecnologie di avanguardia e di eccellenza, ma abbiamo tecnologie medio alte. Il tempo perché questi paesi, da tecnologie medio basse arrivino a tecnologie medio alte, è un tempo che ci può ancora consentire di cambiare il passo che abbiamo preso. E’ un tempo che può essere stimato in 5 o 10 anni in cui se abbiamo la capacità di dare nuovo contenuto alla ricerca e alla formazione e possiamo portare ad un livello più alto la nostra capacità di innovazione, possiamo trovare nuovamente uno spazio competitivo nel mondo. E poi, in questo periodo di tempo, è presumibile che l’enorme gap sui costi che esiste in questo momento possa ridursi significativamente. E’ probabile che anche all’interno di questi paesi in via di espansione, si affermino nuovi diritti e nuovi bisogni portandoli a realtà diverse. Allora a quel punto, se saremo stati capaci di questa innovazione alta, verso la quale ci abbia guidato l’etica e i nostri valori europei, potremmo ancora trovare un ruolo per il nostro paese, un ruolo competitivo e positivo per il futuro. E’ quello che possiamo fare, è quello che il mondo ci potrà riconoscere, come spesso è stato negli ultimi 2000 anni. Grazie.
Riccardo Sarfatti Imprenditore e Consigliere di Libertà e Giustizia
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