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La politica prima del programma. (di E. Macaluso)
4.01.2005

Un lettore mi ha scritto per dirmi che condivideva tutto ciò che aveva letto nel mio "colum" di martedì scorso, ma era stupito dal fatto che nel mio ragionamento critico nel confronti del centrosinistra non ricorresse mai la parola programma. Eppure, diceva il mio interlocutore, «questo è il vero handicap della GAD». Vero, non ho mai fatto ricorso alla parola programma, ma mettevo in evidenza un deficit d'iniziativa politica e l'assenza di una battaglia delle idee. L'ho fatto perché ritengo che le scelte politiche siano la sostanza di quelle programmatiche. Il vecchio Togliatti diceva che il PCI doveva essere un partito che fa politica: un partito che sa capire i problemi espressi dalla società, in grado di proporre soluzioni e battersi per realizzarle. La politica non va confusa con la propaganda e deve delineare prospettive per l'oggi e per il domani. Faccio alcuni esempi. Nel 1944 la svolta di Salerno, che diede vita al primo governo di unità nazionale, fu una grande svolta politica. Suggerita da Stalin, dicono alcuni storici per diminuirne il significato. Non contesto in quel momento una coincidenza d'intenti e di interessi tra Togliatti e Stalin. Ma quella svolta si impose grazie ad una forte lotta politica nel PCI e nell'antifascismo e si affermò perché corrispondeva agli interessi nazionali. De Gasperi, nel 1947, fece la scelta atlantica dopo un viaggio negli USA ed alcuni studiosi hanno osservato che quella svolta sarebbe stata imposta dai governanti americani. Anche in tale occasione si vuole sminuire una scelta forte, che si impose con una lotta politica dura e si affermò perché coincideva con gli interessi nazionali. Nel 1956, Pietro Nenni condannò l'invasione sovietica dell'Ungheria e ruppe con il PCI di Togliatti, che invece considerò quella crisi interna al sistema e non del sistema, come sostenne con ragione il leader socialista.

La svolta a metà

Veniamo ora a fatti più recenti. Occhetto nel 1989 fece un'operazione politica giusta, nell'interesse della sinistra e nazionale, nel momento in cui disse che non era possibile progredire con il PCI. Non trasse però tutte le conseguenze di quell'atto: anziché collocare il partito nel socialismo europeo lo parcheggiò nel Limbo dell'essere e non essere, facendo pagare un prezzo alla sinistra e al paese. Berlusconi nel 1994 con al sua "discesa in campo" diede voce a ceti sociali e gruppi politici che l'avevano perduta in seguito alla crisi del vecchio sistema e a Tangentopoli. Mise in moto un nuovo sistema bipolare ottenendo un successo perché corrispondeva agli interessi nazionali. Il fatto che la sua "rivoluzione liberale-liberista" sia approdata nel suo contrario con il conflitto di interesse e le leggi ad personam è uno dei segnali della crisi che stiamo vivendo. Crisi a cui - ecco il punto centrale del mio ragionamento - il centrosinistra non riesce a dare una soluzione, diventando esso stesso, con il suo modo d'esse e d'agire, con la sua paralisi, un elemento non secondario della crisi cui accennavo.

Sistema imballato

Insomma il "nuovo" sistema si è imballato con gravi danni per tutti e la responsabilità non è solo di chi ha governato. Ecco perché il problema di fronte a cui si trova il centrosinistra non è tanto quello di scrivere un programma, ma quello di indicare una strada per sbloccare il sistema politico imballato. E per farlo deve anzitutto ridefinire se stesso: se non è possibile dare vita ad un soggetto unitario occorre allora ridefinire le ragioni dell'Alleanza riformista e il profilo dei partiti che la compongono. Questo mi sembra soprattutto essenziale per i Ds, alla vigilia del loro congresso.

Emanuele Macaluso

da www.ilriformista.it

 

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01.9.2005 00:03
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01.9.2005 00:02
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