Una tempesta in un bicchier d'acqua? Parrebbe: Francesco Rutelli ha addolcito il senso delle sue affermazioni sulla inattualità delle parole «egualitarismo» e «socialdemocrazia», affermazioni che avevano scatenato un piccolo putiferio al convegno organizzato da Realacci a Fiesole domenica scorsa.
Nella lettera pubblicata ieri da Repubblica il segretario della Margherita precisa il suo pensiero in un modo che trovo altrettanto assennato di quanto avevo trovato inopportune le sue affermazioni di ieri l'altro. Un segretario di partito, per di più impegnato a costruire una coalizione con altri partiti che socialismo e uguaglianza hanno nella loro ragione sociale, non è uno storico o uno studioso di dottrine politiche e una reazione indignata era perfettamente prevedibile: hanno reagito persino quegli ex-socialisti che oggi sono alleati di Berlusconi! Ma lasciamo da parte la piccola bagarre all'interno della Gad - non sarà certo l'ultima - e veniamo al merito, facciamo finta che Rutelli sia uno storico o uno studioso di dottrine politiche.
Come tale ha perfettamente ragione sul punto del socialismo, anche della sua variante socialdemocratica: oggi esistono molti partiti europei che hanno nel loro nome le parole socialdemocrazia, socialismo, laburismo, e sono giustamente orgogliosi di averle, in molti casi da oltre un secolo.
Ma sotto quelle parole i loro programmi, le teorie con cui analizzano la realtà , le ideologie con cui la valutano, sono radicalmente cambiati. Tony Blair, pur non sognandosi di modificare il nome «Labour», è quello che è andato più lontano nel riconoscere il cambiamento, di cui la Terza via propagandata da Anthony Giddens costituisce una articolata giustificazione teorica e ideologica. Altri partiti socialisti e socialdemocratici sono più cauti, anche per evitare scontri con quelle minoranze interne più tradizionaliste che invece Blair ha affrontato frontalmente: ma un'analisi dei loro programmi e delle loro ideologie rivela la stessa trasformazione. Insomma, si tiene il marchio, si tiene l'avviamento, ma sotto il marchio il prodotto è molto cambiato.
Nella storia dei movimenti politici moderni la sinistra non è sempre stata socialista, né è detto che lo sarà in futuro se a questa dottrina politica si dà una connotazione storica precisa e se, come studiosi, non siamo interessati a un problema di nomi, marchi e di avviamento. Ci fu almeno un secolo, tra la Rivoluzione francese e l'inizio del '900, in cui la sinistra politica fu prevalentemente liberale e repubblicana, rappresentante di ceti borghesi, e la destra fu monarchica e spesso clericale, rappresentante di ceti ristocratici e di interessi fondiari. Questa sinistra cessò di essere maggioritaria, e i partiti socialisti prevalsero sui partiti liberali e repubblicani, con la rivoluzione industriale e la progressiva estensione del suffragio: ai diritti civili e politici si aggiunsero le richieste di diritti sociali, poiché i primi apparivano sempre più vuoti e illusori in assenza di adeguati livelli di istruzione, reddito, salari e sicurezza del lavoro. E per i socialisti alla lista dei nemici di destra venivano ora ad aggiungersi borghesi e capitalisti, che erano stati i protagonisti del precedente secolo della sinistra.
Ma anche il secolo socialista era destinato a chiudersi nei Paesi ndustrialmente avanzati: si chiude quando le elementari domande di emancipazione sono in buona misura soddisfatte, quando lo sviluppo industriale cede il passo a quello terziario, quando le condizioni lavorative degli stessi lavoratori dipendenti si differenziano e non danno più luogo a domande uniformi e soprattutto quando ci si rende conto - il crollo del socialismo sovietico lo rende evidente a (quasi) tutti - che i capitalisti non sono il nemico, non sono la destra, e che il mercato è il modo principe di organizzare l'economia.
Questa carrellata storica è caricaturale nella sua sintesi, ma forse è ufficiente a dare un'idea di perché Rutelli, come storico, abbia ragione: i socialisti e i socialdemocratici difendono il nome per ragioni di marchio e di avviamento, ma sono in realtà dei liberali di sinistra anche se spesso non vogliono riconoscere di esserlo. Mi piacerebbe poter credere che le provocazioni che Rutelli lancia, come segretario della Margherita, abbiano lo scopo di abbattere steccati tra partiti le cui differenze non hanno più ragioni storiche e ideologiche che le sostengono e dunque potrebbero confluire in una Federazione o in un unico partito. Ma non è facile crederlo.
di MICHELE SALVATI
dal Corriere della Sera - www.corriere.it