Continuando il ragionamento già fatto sul centro (non esiste un solo centro ma più centri sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista del consenso politico) si può affermare che è terribilmente sbagliato continuare a definire la sinistra rispetto a un centro che non esiste nella realtà .
Lo stesso termine "centrosinistra" non ha forse più senso (anche avendo abbandonato per sempre il trattino) ma in ogni caso è necessaria una ridefinizione della sinistra. Credo infatti che sia terribilmente errato (come sino ad ora si continua a far in modo "pecorile") definire la sinistra in rapporto ad un centro immaginario. In qualche modo si continua a misurare l'essere a sinistra, l'essere più o meno a sinistra rispetto ad un centro che non esiste: si è più o meno a sinistra a seconda della distanza da questo centro immaginario. Le conseguenze di ciò sono molto gravi e dobbiamo far i conti con questo problema prima ancora di affrontare i temi più specifici dei rapporti interni delle singole formazioni, della forma partito, delle primarie, del leader, del programma.
Esistono in realtà più linee che passano tra destra e sinistra e viceversa ed esistono sempre più uomini che percorrono queste linee, non per trasformismo ma perché non hanno più il senso di orientamento. Le stesse definizioni di "moderati" e di "radicali" vanno riconsiderate: i moderati si distribuiscono sempre di più lungo tutti gli schieramenti senza condensarsi, come un tempo accadeva, in un punto centrale; lo stesso può dirsi dei radicali che non si condensano più alle estreme: di fronte alla crisi sociale e alla decadenza dell'etica pubblica vediamo il moltiplicarsi di radicali di centro (dai girotondini ad altri), il fenomeno forse più interessante di questi ultimi anni. Alle ali estreme sopravvive certo e prospera una certa percentuale minoritaria di estremisti, ma questi non possono essere definiti radicali bensì utopisti o fanatici, lunatic fringe, come esiste in tutti i paesi del mondo.
I politologi continuano a concepire la politica come una geometria piana: il punto e la linea. In realtà il problema è un po' più complesso e occorrerebbe almeno che si passasse dalla geometria piana alla geometria dei solidi, considerando anche poliedri, sfere, cubi, cilindri. Fuor di metafora occorre essere coscienti che se si rimane sul piano, a una dimensione, della politica di schieramento non si acquista una spessore identitario e ci si ritrova sempre perdenti rispetto ad una destra che ha gli stessi problemi o più gravi (la cultura di AN, quella della lega e quella dell'UDC sono palesemente incompatibili) ma ha il suo punto di riferimento sicuro negli interessi e un padrone come garante della distribuzione dei dividendi di una politica concentrata sull'occupazione del potere. Lo spessore dell'identità per la sinistra può derivare soltanto dalla cultura e dalla storia.
Senza entrare nella infinita discussione sui caratteri della "grande sinistra" (lascerei soltanto alla sinistra nel suo insieme l'aggettivo "grande", valido se indica un'apertura, insensato se vuol prefigurare l'ampiezza di una coalizione) penso che oggi non vi sia altra possibilità di riferimento, di minimo comun denominatore per l'insieme di movimenti e di partiti che compongono la grande sinistra, se non la preminenza del valore dell'equità rispetto alla esaltazione del liberismo senza regole che caratterizza le destre. Equità che si può declinare semplicemente ed empiricamente (come ha scritto recentemente Rossana Rossanda sul Manifesto) come "un'idea pulita di democrazia, di divisione dei poteri, di primato della legge, di libertà dell'informazione, insomma di un sistema politico che pone alcuni limiti al potere illimitato della proprietà ". Si può aggiungere che in questo momento storico il minimo comun denominatore costituito dall'equità acquista un significato dirompente in rapporto al crescere delle ingiustizie, delle diseguaglianze sociali, dell'insicurezza dei lavoratori, del crescente peso dei redditi finanziari e speculativi rispetto ai redditi di lavoro e di impresa.
In questa situazione ritengo quindi che la tendenza all'egualitarismo, inteso nel senso di assicurare a ciascuno la possibilità di competere e aver diritto ad una condizione di vita umana, sia il motore programmatico della grande sinistra. Io sono molto ottimista sul fatto che sia possibile elaborare sulla base di questi princìpi un programma sostenibile, adeguato alle attuali possibilità di bilancio e alle nuove trasformazioni sociali (demografiche, tecnologiche, dovute al processo di globalizzazione). Ma questo, come ci insegnano i grandi pensatori a proposito di ogni gruppo sociale, non basta a costruire l'identità . Un programma siffatto può bastare ad escludere coloro che non condividono questi valori ma non può essere elemento di saldatura, non può portare (purtroppo), nel breve periodo, alla formazione di una forza politica coesa. La mobilitazione delle masse non può che avvenire sulla base delle idee e delle passioni.
La cultura della sinistra nelle sue dimensioni ideali e nelle sue eredità storiche non può che consistere qui ed ora, nel nostro paese, di tre componenti fondamentali tra loro diverse per idee e per storia: la componente socialista, la componente cristiana, la componente laica liberal-repubblicana (considero la cultura ambientalista ormai come un patrimonio comune). Ciò che si può osservare è che tutte e tre queste culture politiche non hanno ancora risolto, dopo il crollo delle ideologie e dei muri, il loro rapporto con la vita politica concreta: non si sono trasformate da ideologie in idee proiettandosi nel futuro. Da parte loro i partiti o schegge di partiti superstiti dal crollo dei muri e delle ideologie sono spesso rimasti lontani dalle idee e dalla loro storia privilegiando, come ho detto sopra, la occupazione di un'area di consenso rispetto al centro immaginario.
Due esempi, per farmi capire, senza voler essere esaustivo. Il primo riguarda l'esperienza dei Cristiano sociali all'interno dei D.S. Dopo aver partecipato oltre dieci anni or sono alla loro formazione a fianco di Ermanno Gorrieri (scomparso nel mese scorso, che va ricordato ancora come una presenza importante) io non ho condiviso la loro decisione di ingresso tra i D.S. della "cosa due". Mi sembrava - e mi sembra ancora, nonostante la validità di proposte e testimonianze - che quello fosse un innesto artificiale che non poteva attecchire in un organismo estraneo. D'altra parte se guardiamo alle tesi di Gorrieri sulle diseguaglianze sociali, dalla Giungla retributiva in poi, non possiamo certo misurare le differenze tra la linea qui tracciata e la linea dei D.S. sulla base della distanza rispetto al centro degli schieramenti.
L'analisi, molto bella peraltro, di Massimo L. Salvadori è fuorviante a questo proposito quando parla della solidarietà semplicemente come una versione "moderata" o attenuata del socialismo. Il problema è e rimane culturale: la componente cristiana non può rimanere semplicemente inglobata in una "cosa due", che deve ricuperare ancora la sua anima socialista. Quanto è stato scritto su queste stesse pagine da Clara Sereni e da altri ci conferma in questa tesi.
Un secondo esempio è nelle discussioni che stanno avvenendo in questi giorni.
La Margherita è stata progettata come "marca di frontiera" della sinistra verso l'ipotetico centro mescolando insieme entità tra loro diverse senza alcuna identità agglutinante. Le terribili confusioni di linguaggio che abbiamo sentito in questi giorni con affermazioni e smentite sul socialismo e l'egualitarismo sono soltanto l'eco di questa impostazione errata di fondo e portano per questo danni enormi a tutta la sinistra. Anche se la quercia è solida, le spinte contrapposte di Rutelli e di Bertinotti (le prime per spingere i DS verso sinistra, le seconde per spingerli verso il centro) rischiano di rendere la tensione insostenibile e provocare un terremoto.
Su questi problemi dovremo ragionare e discutere ancora molto ma il compito principale che abbiamo davanti nel breve periodo è quello di ricomporre la partecipazione politica intorno a queste culture come componenti essenziali e paritarie dell'identità di sinistra, qui, ora, in Italia. Naturalmente devono essere culture vive e quindi proiettate verso una continua rielaborazione in rapporto ai problemi di oggi, ma non perché una sia più a sinistra o più a destra dell'altra. Attraverso di loro, non in una camera di compensazione, va ripreso, in attesa dello sviluppo di nuove formazioni politiche unitarie, il respiro tra movimenti e partiti che è fondamentale per la vita democratica del paese nel suo insieme, senza cedere al fascino di scorciatoie leaderistiche o populistiche. Anche le primarie possono essere uno strumento utile (se giuridicamente e pattiziamente regolate in una realtà federata) ma non costituiscono una soluzione. Forse era questa partecipazione paritaria delle tre culture a rendere affascinante e attraente per il popolo italiano l'esperienza dell'ulivo nel suo primo apparire.
L'Unità , 21.01.2005
www.unita.it