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Gli elettori liberi e i partiti di A. Manzella
8.02.2005

Lo svolgimento "creativo" del congresso Ds, ancora più sorprendente perché preannunciato come un semplice congresso di ratifica, fa tornare a riflettere sui corpi intermedi: i partiti, il parlamento. Intermedi tra lo Stato e la società civile, tra il potere di governo e il popolo di elettori.

Da dieci anni sono sotto tiro, ricordiamo. I partiti della "casa comune partitocratica", prima ancora che in «mani pulite» erano incorsi nel referendum che abolì le preferenze plurime. Fu quello un colpo al cuore dei loro meccanismi di selezione, di successione, di inclusione. Poi il sistema elettorale maggioritario li obbligò a diventare tutti partiti "coalizionali". Partiti cioè a "sovranità limitata" perché costretti a condurre le loro campagne nei collegi elettorali uninominali non da soli ma all'interno di coalizioni che richiedono di volta in volta: accettazione di candidati altri, rinunce, desistenze, ricerca di punti programmatici comuni e non rivendicazione di puntigliose identità.

Il parlamento si è visto tolto dal referendum del 1993 il suo più alto compito: quello di "creare" con la sua maggioranza, il governo. Le coalizioni governative nascono da allora fuori e prima dal parlamento, al momento elettorale. Il parlamento da "decisore" sui governi ne è divenuto solo "controllore" e "garante". Ma questa sua funzione si svolge tra gli impedimenti e i vincoli di regolamenti non aggiornati alla nuova condizione istituzionale.

Si è aperta ora una fase nella quale sembra che si voglia ridurre ancor di più il peso dei partiti e del parlamento, come per una finale resa dei conti. Per i partiti, quella che dovrebbe essere una naturale evoluzione dal sistema a due coalizioni verso un sistema a due partiti è forzata in due direzioni. Vi è infatti la tentazione di usare la grande risorsa costituita dagli "elettori liberi" - che votano per la coalizione ma non si riconoscono in alcuno dei partiti che la integrano - come un'arma impropria per essiccare le componenti partitiche. E vi è la tentazione di commissariare i partiti.

Essa va dalla imposizione dall'alto di una burocrazia legata al leader-principe e da questi pagata, a liste e procedure elettorali personalizzate che  rescindono dal ruolo dei partiti. Sia con l'una sia con l'altra tentazione si dimentica che i partiti costituiscono tutti assieme la essenziale struttura portante della coalizione: quella a cui si riferiscono anche gli elettori senza partito...

Anche in Francia, la questione degli "elettori liberi" si pone per il centro e per la sinistra. Ma nessuno si sogna di utilizzarli come by-pass ai partiti.

Al contrario, i socialisti di Hollande propongono loro di diventare «aderenti al progetto»: giusto il tempo di contribuire, senza tessera, al programma per le prossime elezioni. L'UMP di Sarkozy offre lo status di aderenti-partners che, sempre senza tessera, contribuiscono al dibattito su singoli temi concreti, rispondendo a questionari. I centristi di Bayrou addirittura pensano di creare - accanto alle tradizionali federazioni territoriali - una "federazione Internet": sito di aderenti per via informatica. Le Monde li chiama "militanti virtuali", "co. co. co politici".

Questa tendenza ad incrociare "elettori liberi" e militanti dei partiti corrisponde in effetti ad una movenza di fondo del moderno costituzionalismo.

Quella di superare lo steccato tra forme di democrazia diretta e forme di democrazia rappresentativa. E quindi di legare i referendum alle procedure parlamentari; le petizioni alle Autorità indipendenti; le primarie ai partiti.

Realizzare insomma quella che la Costituzione europea chiama "democrazia partecipativa". Quando si è trattato di dare uno scossone alla  "vita  democratica dell'Unione", si è scelto appunto questo tipo di commistione: l'iniziativa di un milione di cittadini per misure di attuazione della Costituzione con metodo comunitario (art. I-47).

Certo, si tratta di procedimenti democratici nuovi, tutti da sperimentare.

Per esempio, le primarie ibridate con i partiti Nino Andreatta le chiama "primarie con le mutande". Ma è questa, forse, l'unica forma possibile di primarie quando ci sia, come nella coalizione dell'Ulivo, una candidatura unica. Primarie per eleggere i membri di una "convenzione" in cui concorrano in tre parti uguali, come sperimentato in Gran Bretagna: delegati di "elettori liberi" e di libere associazioni; delegati dei partiti della coalizione; delegati degli eletti (parlamentari, consiglieri regionali, provinciali, comunali). Un'assemblea necessaria per una legittimazione e una investitura del leader, proiettate sull'intera legislatura. Dato che per questa garanzia di durata come dice ancora Nino Andreatta: «non bastano le convenzioni dei partiti che rimangono con la loro stessa forza per tutta la legislatura e che quindi possono rimettere in discussione la scelta fatta all'inizio».

Un'assemblea che funzioni anche da "convenzione" all'europea per il programma, quella convenzione programmatica che è lo sbocco del percorso di ascolto di Romano Prodi.

Insomma, alla fine di una lunga traversata espiatoria in un gran deserto, i partiti devono trovare nuove forme di stare «dentro» la società e i suoi movimenti. Ma credere di potere fare a meno del loro spirito militante, sarebbe come disossare la democrazia: il congresso Ds lo ha appena dimostrato.

Una vicenda analoga vive il parlamento. La "presidenzializzazione" delle democrazie parlamentari, la personalizzazione del "premierato di comando" sono fenomeni che possono non piacere. Ma ci sono già, inevitabili, negli sviluppi socio-politici delle nostre comunità "liquide" e nelle stesse necessità di autonomia del governo nei processi decisionali dell'Unione europea. Un saggio di Paul Webb sull'ultimo numero della Rivista italiana di scienza politica racconta come queste cose, sotto la spinta della Thatcher prima e di Blair dopo, sono nitidissime anche nel Regno Unito, mitica culla del parlamentarismo degli ultimi due secoli.

Senonché mentre in Gran Bretagna e nelle altre democrazie maggioritarie tutto questo accade mantenendo integre le strutture formali (e quindi le sostanziali garanzie) del regime parlamentare, in Italia si è scelta la strada di smontare la Costituzione. Lo tsunami maggioritario del 1994 ha già fatto piazza pulita delle garanzie connesse al precedente regime proporzionale.

Ma invece di alzare gli argini per creare un nuovo equilibrio, l'attuale maggioranza vuole rendere permanente la spianata cercando di livellare gli ultimi ostacoli ancora in piedi: il potere di garanzia e di arbitrato del presidente della Repubblica tra governo e parlamento; l'indipendenza della Corte costituzionale, giudice delle leggi; l'autonomia del Consiglio superiore della magistratura; la credibilità delle Autorità indipendenti. Come una piramide nel deserto dovrebbe campeggiare solo il cumulo di poteri del primo ministro, signore del governo e del parlamento.

Non è questa una visione corretta della democrazia, chiunque vinca le prossime elezioni. La necessità di una forte guida di governo in un sistema di coalizioni non si risolve indebolendo i contro-poteri istituzionali. Si risolve semmai costituzionalizzando un effettivo primato della posizione istituzionale del primo ministro e del suo apparato rispetto ad ogni altro apparato o agenzia o ministero con poteri di governo. Insomma: l'esatto contrario della legge taglia-spese nelle mani del solo ministro dell'economia, o dell'emblematico abbandono di Palazzo Chigi, e della sua organizzazione, per private dimore.

Di fronte, comunque, ad un più forte potere di governo il parlamento, come i partiti, può far fronte solo innervato dalla democrazia di partecipazione.

Un parlamento "federatore" non più di interessi quanto di iniziative politiche.

Quelle che partono dalla cittadinanza - ormai transnazionale - e dalle  autonome istituzioni territoriali. Il costituzionalismo dei tempi nostri ha bisogno, per ristabilire equilibri antichi e l'armonia tra poteri separati, di raccordi nuovi con una base popolare profondamente cambiata, sia quando essa si presenta come distesa molecolare sia quando è reticolo di forme nuove di organizzazione sociale.

Ma le procedure di partecipazione hanno a loro volta bisogno di innestarsi sui corpi intermedi dei partiti e del parlamento per combattere rischi già attuali: l'assorbimento dall'alto, la personalizzazione assoluta, il bipolarismo feroce. E per recuperare nel sistema democratico i valori riflessivi della collocazione di mezzo.

di ANDREA MANZELLA

la Repubblica - 8 febbraio 2005

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