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Poca in formazione per i cittadini
16.02.2005

Poca informazione per i cittadini e servizi territoriali insufficienti
Presentata l'ottava edizione del Rapporto Pit Salute
Cittadini abbandonati a se stessi alla ricerca delle informazioni necessarie su come, dove e con quali costi curarsi. Servizi territoriali insufficienti, soprattutto per gli anziani e per chi è affetto da malattie invalidanti. Cittadini costretti a pagare di tasca propria le cure indispensabili, per aggirare il problema delle liste di attesa. Il Sud del paese che fa i conti, in sanità, con un gap infrastrutturale ed organizzativo, che obbliga i residenti a spostarsi in altre regioni per un ciclo di radioterapia o per particolari patologie pediatriche. Sono i quattro buchi neri del Servizio sanitario nazionale, che emergono dall’ottava Relazione Pit Salute, presentata oggi a Roma da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. La relazione fa riferimento alle 21.510 segnalazioni dei cittadini al servizio di consulenza, informazione e tutela del Tribunale per i diritti del malato. Dall’esame delle segnalazioni emerge un dato comune: siamo ancora ben al di sotto da una soglia di rispetto dei diritti dei cittadini, proclamati nelle leggi, ma ben poco considerati in pratica. Il diritto all’informazione, all’accesso alle cure, al rispetto del tempo, alla qualità delle prestazioni, solo per citarne alcuni, risultano spesso violati, nonostante le leggi sulla trasparenza nella Pubblica amministrazione, l’informatizzazione dei servizi, i livelli uniformi di assistenza. Ed è messa in discussione anche l’effettività del diritto al reclamo, inteso non tanto come possibilità per i cittadini di lamentare un disagio o un danno (ben il 30% delle segnalazioni fatte dai cittadini riguardano sospetti errori medici), quanto piuttosto come opportunità di ottenere in tempi certi e rapidi una risposta soddisfacente dalla giustizia. Liste di attesa ed intramoenia Il 12,3% delle segnalazioni riguardano tempi di attesa eccessivamente lunghi per accedere a prestazioni diagnostiche e specialistiche (ecografia nel primo trimestre di gravidanza, ecografie mammarie e mammografie al di fuori dei programmi di screening, ecografie addominali, esami TAC, risonanza magnetica), ed anche ad interventi chirurgici programmati. In particolare si registrano tempi lunghissimi per la chirurgia ortopedica (sino a 18 mesi per un intervento di impianto di protesi d’anca, o di artroprotesi del ginocchio o del femore) sulla quale si concentra il grosso delle segnalazioni da parte dei cittadini (34,7%) e per la chirurgia odontostomatologica (sino ad un anno di attesa). Ma si aspetta anche sino ad un anno per operare una prostata e sino a nove mesi per una tiroide. Peggiorano i dati relativi alla chirurgia oculistica (sino ad un anno per un intervento di cataratta) e alla chirurgia ginecologica (sino a 9 mesi). Ma, soprattutto, ci si può trovare ad affrontare una lista di attesa di più di tre mesi per un intervento oncologico (l’11,4% delle segnalazioni sul tema riguardano proprio questo tipo di interventi). Per la prima volta si segnalano tempi di attesa lunghi per la neurochirurgia (sino a cinque mesi) al di fuori delle emergenze. Le segnalazioni provengono prevalentemente dalle regioni del centro-sud e dalle isole, ma nessuna regione, al momento, è completamente immune dal problema delle liste di attesa. Troppo spesso i cittadini sono costretti a ricorrere all’intramoenia per aggirare le lunghe liste di attesa, sostenendo costi notevoli e spesso non alla portata di tutti (fino a 1000 euro per un’amniocentesi, a 214 euro per altri esami in caso di gravidanza con fattori di rischio, fino a 600 euro per una visita ortopedica, ed oltre i 100 euro per vari tipi di ecografia). Nel caso in cui il cittadino sia costretto a ricorrere al privato per avere gli esami e gli interventi in tempi ragionevoli, non è informato a sufficienza da parte del Ssn della possibilità di ottenere i rimborsi. Così si sente doppiamente truffato. Gli errori dei medici Oltre il 30% delle segnalazioni riguardano sospetti errori dei medici, con un incremento del 5,7% dal 2000. Gli errori si registrano soprattutto in ortopedia (18,5% delle segnalazioni), oncologia (13,3%), ostetricia e ginecologia (13,2%), chirurgia generale (12%). Si registra un boom nelle segnalazioni di presunti errori in oculistica (con l’8,2% dei contatti ed un 3,3% in più rispetto allo scorso anno). Le regioni dalle quali giungono il maggior numero di segnalazioni sono, in ordine decrescente: Lazio, Lombardia, Sicilia, Campania, Puglia, Calabria, Piemonte, Toscana, Veneto, Marche, Emilia Romagna, Trentino. Il 21,9% delle segnalazioni giunte nel corso dell’anno ha proseguito l’iter consulenziale, che ha dato esito positivo nel 46,6% dei casi. Già questi numeri parlano di un diritto al risarcimento assai meno rispettato di quanto si dica e creda comunemente. In primo luogo perché, anche se il cittadino ha subìto effettivamente un danno non sempre lo si può dimostrare, a partire dalla evidenza del nesso di causalità. In secondo luogo perché, come è noto, la giustizia ha, nel nostro paese, tempi troppo lunghi e sempre più spesso, ormai, chi può cerca di praticare strade alternative. Infine, ma non in ordine di importanza, dietro la segnalazione di un sospetto errore di diagnosi e terapia c’è, da parte del cittadino, non tanto la certezza di essere di fronte ad un caso di malpractice, quanto piuttosto quella di aver subìto una scarsa attenzione come persona e in quanto titolare di diritti. Si potrebbe concludere tante segnalazioni, poca giustizia. Il territorio, grande assente Dopo l’ospedale, c’è il nulla. O quasi. Il cittadino, dimesso, è abbandonato a se stesso, alla ricerca di un diverso percorso assistenziale che il territorio, nella maggior parte dei casi, non può garantirgli. Così il paziente oncologico o con una patologia cronica lamenta spesso (il 6% delle segnalazioni) dimissioni forzate, tempi lunghi per attivare l’assistenza domiciliare (15 giorni per un anziano, diversi mesi per i macchinari necessari per l’assistenza in caso di sclerosi laterale amiotrofica). Spesso, l’assistenza domiciliare non viene concessa per carenza di personale, o per mancanza di fondi (accade soprattutto nelle regioni del Sud), o viene concessa ad intermittenza. Lazio, Campania, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Calabria sono le regioni dalle quali provengono il maggior numero di segnalazioni. Pronto soccorso e emergenze: cresce il pericolo I cittadini lamentano, prevalentemente, lunghe attese per ottenere una visita presso il pronto soccorso (spesso tra le 3 e le 8 ore, e talvolta anche 10 ore). Superato questo scoglio, i cittadini considerano, il più delle volte, esiguo il tempo dedicato loro dagli operatori, e con una evidente tendenza al “risparmio di prestazioni”. Non è infrequente il rifiuto di effettuare indagini diagnostiche più approfondite (raggi, tac, risonanza magnetica, elettrocardiogramma). Nel corso dell’ultimo anno sono cresciute le segnalazioni relative a sospetti errori di diagnosi e terapia commessi all’interno dei reparti di pronto soccorso, collegati quasi sempre a sottovalutazione della sintomatologia, mancata diagnosi, dimissioni inappropriate seguite, spesso, da riospedalizzazioni successive, talvolta con danni irreparabili, compresa la morte, come testimoniato anche da recenti fatti di cronaca. Ad esempio, si è dimessi con una diagnosi di distorsione, ed invece si trattava di frattura, sindrome influenzale, congestione o broncopolmonite quando si trattava di sintomatologia precedente l’infarto, aborto spontaneo scambiato per cistite. Per quanto riguarda più estesamente l’area della emergenza-urgenza, i cittadini segnalano prevalentemente le difficoltà ad ottenere in tempi ragionevoli l’intervento dell’autoambulanza e talvolta il suo arrivo senza medico o attrezzature indispensabili a bordo. Reparti di pronto soccorso e sistema della emergenza-urgenza non sono in grado di garantire, sempre, al cittadino le prestazioni per le quali esistono e svolgono le loro funzioni e si stanno trasformando, progressivamente, in strutture meno affidabili e un po’ più pericolose. Le segnalazioni da parte dei cittadini su questo tema provengono per lo più da Lazio, Lombardia, Sicilia, Puglia, Campania e Calabria. Farmaci I cittadini hanno segnalato problemi legati alla attuazione di alcune delle nuove note del prontuario farmaceutico, in particolare di quella relativa alla prescrizione dei colliri anti-glaucoma e alla prescrizione delle statine. Le difficoltà legate alla attuazione della prima sono ormai in via di superamento, assai meno quelle legate alla prescrizione delle statine. Il maggior numero di segnalazioni riguarda il costo elevato di farmaci non rimborsati dal Ssn, di classe C, (il 2,8% delle segnalazioni) o prescritti per uso diverso da quello per il quale il Ssn ne rimborsa il costo. Ciò vale particolarmente per i farmaci di ultima generazione, a volte non ancora in commercio nel nostro paese o non rimborsati dal Ssn. A questo quadro i cittadini aggiungono la lievitazione del prezzo dei farmaci di classe C nel corso degli ultimi diciotto mesi, che ha messo a dura prova le loro tasche e incrementato, sicuramente, la spesa sanitaria privata. Radioterapia Aumentano le segnalazioni relative ai tempi di attesa, che in media oscillano tra i 30 e i 90 giorni ma possono arrivare anche a sei mesi. I ritardi più consistenti interessano prevalentemente le regioni meridionali e dalle isole: Lazio, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia. Quasi la metà dei pazienti delle regioni meridionali ed insulari non trova strutture in grado di accoglierlo. Ma anche nel Nord non sono infrequenti attese di 30-60 giorni. I centri per la radioterapia in rapporto alla popolazione sono di 1/397.000 al Nord, 1/334.000 al Centro e di 1/550.000 al Sud. Anche in questo caso il diritto dei cittadini all’accesso, inteso soprattutto come diritto a usufruire dei trattamenti sanitari senza discriminazioni sulla base del luogo di residenza, appare violato.

fonte: http://www.cittadinanzattiva.it/

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