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La "riforma" Moratti al via.........
25.05.2003

Al via la «riforma Moratti»
di Giovanna Benini,
Assessore Pubblica Istruzione Comune di Nave (Brescia)
Stefano Retali,
Assessore Pubblica Istruzione Comune di Concesio (Brescia)
Con la definitiva approvazione alla Camera, nel marzo 2003, della Legge Moratti che ha delegato al Governo la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali di prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, la riforma del sistema scolastico è ormai un fatto compiuto. Il nuovo disegno riformatore si inserisce in un quadro normativo denso di novità in materia di istruzione: la modifica del titolo V della Costituzione e la definitiva applicazione del D.L. 112/98 trasferiscono alle Regioni e agli Enti Locali molte competenze in materia di istruzione, tradizionalmente attribuite allo Stato. È evidente, allora, che l'attuazione della riforma richiede un forte coinvolgimento di Regioni, Province e Comuni e che il buon esito del cambiamento in atto non potrà prescindere da concrete azioni di coordinamento, confronto e mediazione tra tutti i soggetti coinvolti. È chiaro, ormai, che gli Enti locali hanno perso la tradizionale funzione ancillare, per acquisire un ruolo attivo e decisionale anche e soprattutto riguardo alla programmazione dell'offerta formativa. Del resto questo è testimoniato dal crescente livello di collaborazione tra Comuni e scuole autonome, nel rispetto delle proprie competenze e del ruolo centrale in campo formativo di quest'ultime. Comunque, se è vero che le riforme istituzionali attribuiscono nuovi ruoli e ampie autonomie ai Comuni, non si può dimenticare che lo Stato è e deve restare il più alto ed unificante riferimento dei profondi cambiamenti in atto. Con una devolution che prevedesse la rinuncia dello Stato al ruolo di ente coordinatore, si potrebbe correre il rischio di spezzare l'unità culturale del Paese, assoggettare l'istruzione alle diverse maggioranze regionali, rendere l'esercizio di diritti fondamentali una variabile territoriale; occorre invece ribadire che la dimensione unitaria e nazionale della scuola deve intrecciarsi positivamente con le peculiarità del territorio. Non solo si tratta di confermare il ruolo centrale dello Stato nella costruzione del modello di scuola pubblica, ma è necessario anche che il Governo nazionale dia la garanzia di copertura finanziaria degli interventi previsti dalla legge di riforma, anche se con la gradualità imposta da interventi di così ampia portata.
Da non dimenticare che il problema dei trasferimenti statali insufficienti è uno dei principali ostacoli ad un compiuto esercizio delle nuove competenze nel campo dell'istruzione attribuite agli Enti locali, tra l'altro fortemente condizionati, al di là della loro effettiva capacità economica, dai numerosi vincoli imposti al loro bilancio dal necessario rispetto del patto di stabilità. Come si può facilmente capire i problemi non mancano, per cui noi crediamo sia di vitale importanza individuare da subito spazi di consultazione, confronto e mediazione con i Comuni, le Province, le Regioni e tutte le componenti coinvolte nel cambiamento, nella fase di stesura dei Decreti legislativi attuativi della Legge Moratti, in modo che i contenuti della Riforma possano trovare ampi margini di condivisione e, in particolare, non abbia a ricadere solo sui Comuni gran parte del peso dell'avvio dei nuovi assetti della Pubblica Istruzione. Entriamo nel merito di alcuni aspetti del testo di legge:

Anticipo scolastico. La legge prevede che sarà ad esclusivo carico dei Comuni la possibilità di accettare o meno le iscrizioni anticipate sia nella scuola dell'infanzia che in quella elementare attribuendo ad essi onerose responsabilità.
Ciò implica, infatti, come inevitabile conseguenza, che ogni ente locale debba assumersi integralmente le maggiori spese derivanti dalla Riforma predisponendo i necessari adeguamenti strutturali, di spazi didattici e di servizi senza alcun sostegno finanziario da parte dello Stato o delle Regioni. In particolare, è evidente che l'ingresso anticipato (che per l'anno scolastico 2003/4 riguarderà i nati entro il 28 febbraio 2001 per la scuola dell'infanzia ed il 28 febbraio 1998 per la scuola elementare, ma a regime interesserà anche i nati entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento) non solo amplierà l'utenza potenziale della scuola dell'infanzia, ma cambierà anche la natura di questo ramo dell'istruzione, richiedendo nuovi servizi e nuove professionalità.
C'è da chiedersi allora quanti siano i Comuni oggi in Italia pronti a soddisfare le eventuali richieste delle famiglie in merito all'anticipo e quale può essere l'impatto su un'utenza che si appella ad una legge che sostiene il legittimo interesse delle famiglie all'iscrizione anticipata su un ente che, in non pochi casi, si trova nell'impossibilità materiale di dar corso a quanto previsto dalla Legge di Riforma. Inoltre si corre il rischio di mettere Scuole e Comuni in concorrenza: ci saranno certamente Scuole e Comuni che potranno accogliere l'anticipo, ma ve ne saranno anche altri che si troveranno nell'impossibilità di poter fare altrettanto! Infine, ma non ultimo per importanza, vale la pena ripensare al senso di tale operazione. È stato dimostrato da ricerche di diverso orientamento pedagogico che la crescita dei bambini e delle bambine ha dei tempi non comprimibili, per cui l'anticipo a due anni e mezzo può relegare la scuola dell'infanzia alla funzione assistenziale perché troppo diverse sono le esigenze didattiche. Allo stesso modo la possibilità di accedere alla prima elementare per bambini di età compresa tra cinque anni e mezzo e quasi sette, rischia di creare disomogeneità nelle aule e una maggiore difficoltà per gli insegnanti nel rispettare i tempi evolutivi di ciascuno; occorre poi tenere presente che tutto ciò si inserisce in una logica che prevede tagli agli organici, che sottrarranno alle scuole preziose risorse professionali che, nel caso specifico, sarebbero invece funzionali all'attuazione di progetti didattici adeguati alle necessità di classi così eterogenee. Infine crediamo sia importante considerare il problema dell'eventuale riduzione del tempo scuola. Nei nostri comuni assistiamo ad una sempre più crescente domanda da parte delle famiglie di scuola a tempo pieno articolata su cinque giorni, correlata soprattutto alle esigenze lavorative di entrambi i genitori. Eliminare o depotenziare questo modello scolastico sarebbe davvero un errore, che andrebbe in direzione opposta rispetto al diffuso bisogno sociale di una scuola pubblica di qualità, che possa offrire opzioni di tempo scuola diversificate, con risorse umane e strutturali adeguate.
Molti sono, dunque, i punti interrogativi e le perplessità, ma a questo punto ciò che più conta è la capacità e la volontà da parte del Governo di avviare un franco dibattito ad ogni livello. Gli Enti locali sono pronti a mettersi in gioco e ad affrontare i problemi nell'interesse esclusivo delle famiglie, ma non possono essere lasciati soli.

La precocità della scelta. Un altro aspetto che merita attenzione e riflessione è la decisione di anticipare la scelta del futuro percorso scolastico già a 13 anni che, in qualche modo, costringe studenti e famiglie a scegliere dopo la terza media tra un canale scolastico statale (il sistema dei licei) e il canale della formazione professionale. Nonostante le assicurazioni del ministro Moratti sulla flessibilità dei percorsi e sulla possibilità di passaggi da un canale all'altro, l'esperienza insegna che questo non sarà né facile né probabile. Il rischio, quindi, di imporre in età precoce una scelta di fondamentale importanza tra due sistemi tanto diversi e di incerta pari dignità (da non dimenticare, infatti, che il canale professionale non dà di per sé accesso al livello universitario) è molto forte. È evidente che servirà, in fase di elaborazione dei decreti attuativi, una riflessione profonda sul senso di questa operazione, che salvaguardi e valorizzi tutte le esperienze più avanzate compiute dall'istruzione tecnica e professionale (che devono poter mantenere la loro forte valenza formativa ed educativa, senza perdersi all'interno di una formazione professionale intesa in senso tradizionale), che potenzi ed anzi renda sistematiche le azioni di orientamento scolastico e professionale, che introduca un sistema di certificazioni che permetta effettivamente i passaggi e l'alternanza tra scuola e lavoro, che garantisca un reale e non effimero successo formativo per tutti i giovani, in particolare per quelli più svantaggiati sul piano socio-culturale. Le sfide che attendono il settore dell'istruzione e della formazione sono tante e tali, dunque, che solo l'adozione di un metodo di concertazione e di ricerca di un ampio consenso sociale ed istituzionale potrà portare a risultati effettivi e positivi per tutti, famiglie, realtà produttive, istituzioni scolastiche autonome, enti locali e Stato.

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