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I tre poteri dello Stato di P.Stagno
21.02.2005


I tre poteri dello Stato e le critiche ai provvedimenti giudiziari
di Piero Stagno

Vorrei trarre spunto dai fatti giudiziari di queste ultime settimane per fare un passo indietro e riflettere sulla forma del nostro vivere civile, quale, attraverso lotte sanguinose, si è affermata a partire dal secolo XVIII.

Diceva Montesquieu circa 250 anni fa "Tutto sarebbe perduto, se l'istesso uomo, o il medesimo corpo de' principali, o de' nobili, o del popolo, esercitassero queste tre potestà: quella di far leggi, quella di eseguire le pubbliche risoluzioni, e quella di giudicare i delitti, o le vertenze de' privati" (Dello Spirito Delle Leggi - Libro XI).

Da ciò consegue la separazione dei poteri dello Stato che è la più salda garanzia della democrazia liberale: il parlamento fa le leggi, il Governo le applica e la magistratura ne sanziona le violazioni (giustizia penale) e dirime le controversie fra i cittadini sulla loro interpretazione (giustizia civile).

In Italia l'attuale maggioranza sta già sottoponendo al Governo il parlamento (non altrimenti si può interpretare la norma per cui se il parlamento non obbedisce al Primo Ministro (non più presidente del Consiglio) può essere sciolto.

Con la riforma dell'ordinamento Giudiziario si sta mirando ad ottenere anche la sottoposizione della Magistratura al Governo (il Consiglio Superiore della Magistratura spogliato delle sue funzioni sulla carriera dei magistrati, l'azione disciplinare con funzione di intimidazione dei magistrati, le carriere che alla fine dipendono dal ministero della giustizia: anche di questo ho già parlato all'inizio di dicembre).

A latere di questa azione si sta ora facendo una poderosa campagna mediatica, che trae spunto da alcuni provvedimenti giurisdizionali (Milano, Lecco, Palermo, per esempio), per sostanzialmente dire che i magistrati hanno sbagliato, non perché hanno male applicato la legge, ma perché si sono allontanati dal "sentire comune".

La cosa è già successa in passato, come si legge a pag. 68 del Manuale di diritto Penale di Ferrando Mantovani, seconda Edizione, 1988: "Ma il più radicale sovvertimento del metodo logico-razionale della scienza penale tradizionale si ebbe con l'irrompere dell'irrazionalismo o intuizionismo della Scuola di Kiel, che caratterizzò il pensiero giuridico tedesco nel fosco periodo mitico-razziale tra il '33 ed il '45, investendo globalmente la teoria delle fonti e la teoria dell'interpretazione.
Viene respinta la conoscenza razionale per concetti e ad essa va sostituita la conoscenza emozionale-sentimentale, fondata sull'intuizione. Questa intuizione deve essere raggiunta dal giudice mettendo in contatto la legge penale col sentimento proprio e con quello del Popolo, con la coscienza giuridico-popolare, fonte prima del Diritto Penale del Sentimento (Gefühlsstrafrecht).
Sicchè, ad esempio, le qualifiche di ladro, truffatore, omicida, vengono attinte non in base ad una analisi logica degli elementi delle fattispecie legali che ipotizzano i delitti di furto, truffa, omicidio, bensì scrutando nel profondo della coscienza individuale e collettiva per vedere come essa 'sente' il ladro, il truffatore l'omicida".

Tradotto in buon italiano vuol dire che già i nazisti avevano sostituito alla legge il sentire comune ed aggiungo che lo stesso facevano i comunisti (tribunali popolari etc).

C'è un unico filo conduttore a tutte le critiche che ho letto ed ascoltato: nessuno ha criticato il ragionamento seguito dal giudice e le leggi che ha applicato (quelli di Milano erano terroristi, le rumene erano zingare e si sa che le zingare rapiscono i bambini, Mori è un devoto servitore dello Stato e non può essere criticato).

Quindi non sono i provvedimenti ad essere criticati (cosa invece auspicabile), in quanto nessuno ha criticato i contenuti e gli aspetti tecnici (per criticare una sentenza bisogna leggerne le motivazioni e comunque porsi nello schema logico-giuridico in base alla quale è scritta e non mi pare che qualcuno dei critici lo abbia fatto), ma è qualcosa di più profondo e preoccupante: è puramente e semplicemente il rifiuto del processo, come strumento di composizione dei conflitti.

Infatti il modo seguito da tutti i critici rinvia nella sostanza all'idea che ci sia un modo diverso dai processi per dire cosa è giusto. Ma l'unica alternativa logicamente possibile al processo è quella di affidare a qualcuno fuori dal processo di dire infallibilmente cosa è vero: l'opinione pubblica, il ministro della Giustizia, chi grida di più, chi ha la forza, il popolo in piazza, il Gefühlsstrafrecht come ai tempi dei nazisti. Comunque è chiaro che questa campagna mediatica sta ottenendo un risultato, l'intimidazione della magistratura.

Nel comunicato delle BR per l'uccisione di Bachelet (l'anniversario è stato pochi giorni fa e fu ucciso per la sua funzione di Presidente del Consiglio Suoperiore della Magistratura) si leggeva: "in certi uffici e procure va individuato e colpito il settore cosiddetto operativo della magistratura...".

Mi pare che ci stiamo avviando a periodi duri che richiedono un forte richiamo dell'opinione pubblica, perchè la civiltà occidentale si regge sulla tripartizione dei poteri, che ora in Italia è in pericolo.
by www.osservatoriosullalegalita.org


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