14.03.2005
(Editoriale di Pierluigi Sullo su Carta)
La Coca Cola non mi va proprio giù. Sto parlando della campagna militante condotta dal Corriere della Sera: cinque articoli in cinque giorni, fino a lunedì, per costringere l'università Roma Tre a fare marcia indietro, a rinunciare al bando della Coca Cola dai distributori automatici. Un tale impegno risulta sorprendente, tanto è vero che a nessun giornale di sinistra è sembrato necessario condurre una contro-campagna.
La questione, giudicata di prima grandezza dal più diffuso quotidiano italiano, non lo è, evidentemente, per i nostri media. Chi ha ragione? Secondo me, ha ragione Paolo Mieli, il direttore del Corsera, che sa benissimo - avendo un consistente passato di sinistra radicale, come usa dire oggi - dove e come un'azione può far male alle multinazionali e al conformismo culturale neoliberista. E quindi reagisce. Con una operazione giornalistica ammirevole, per costanza e per efficacia. Tanto è vero - pare - che il rettore si appresta, nella seduta di martedì, a cancellare quel che in una riunione del senato accademico di una settimana fa aveva, "per distrazione", approvato.
È accaduto questo: che un gruppo di studenti tutt'altro che "estremista", ma pacatamente determinato, aveva proposto a presidi e professori di abolire, appunto, la Coca Cola da distributori automatici, sostituendola con bibite del commercio equo e solidale [vi consigliamo il Guaranito, è buono, rinfrescante e non fa male a nessuno]. Il Municipio XI di Roma, nel cui territorio la terza università si trova, aveva esultato: la stessa decisione aveva procurato, al presidente Massimiliano Smeriglio, la malevola attenzione della stampa e la solidarietà di altri due municipi romani e di diversi altri comuni in giro per l'Italia.
Il giorno successivo, il cronista del Corriere della Sera addenta i polpacci dei docenti di Roma Tre, che si mostrano sorpresi e scandalizzati. Uno di loro, il filosofo Giacomo Marramao, dice: ma quale boicottaggio, stiamo differenziando l'offerta. Splendido. Ci piacerebbe che il filosofo critico Marramao analizzasse le dichiarazioni del docente Marramao dal punto di vista di quel che è noto con la formula "pensiero unico". La mia ipotesi è che, imbarazzato e ignaro delle ragioni del boicottaggio, il docente Marramao abbia deciso di buttarla in corner, dicendo qualcosa di "politically correct" dal punto di vista neoliberista: il mercato ha sempre ragione, e noi ci adeguiamo offrendo concorrenza, invece che monopolio. Il filosofo Marramao dovrebbe inorridire.
Ma l'argomento non placa il Corriere, che quelle lattine le rivuole al loro posto. Ma il fatto è che mai, fino a lunedì, il bravo cronista sente il bisogno di soddifare una delle cinque domande cui un giornalista deve sempre rispondere: chi, come, dove, quando e - ovviamente - perché. Mai si spiega come mai quel gruppo di studenti, o i tre municipi romani, ecc., abbiano deciso di boicottare la Coca Cola. Mai si spiega, ad esempio, che esiste più che il forte sospetto che la Coca Cola abbia perseguitato, licenziato e - dice il sindacato locale - fatto uccidere lavoratori e sindacalisti dei suoi impianti in Colombia.
Oppure: mai viene citato l'autentico scoop, per usare il linguaggio del Corriere, che abbiamo fatto noi di Carta, raccontando che la Coca Cola compra tonnellate di foglie di quelle foglie di coca, in America latina, per distruggere le quali il governo statunitense, e i governi asserviti di laggiù hanno avvelenato intere campagne e sparato addosso ai piccoli coltivatori. Per farci che? La Coca Cola dice che il principio psicoattivo viene estratto da quelle foglie: ma che senso ha "insaporire" una bevanda con foglie qualunque?
L'elenco delle ragioni per boicottare la Coca Cola è lunghissimo. Ma questo, al bravo cronista non interessa. Al punto da raggiungere vette di comicità surreale, quando viene intervistato Franco Ferrarotti, sociologo e docente a Roma La Sapienza, il quale ammonisce severamente gli studenti: dovete studiare, non occuparvi di gastronomia, perché la lotta all'obesità la devono fare gli istituti pubblici, come, negli Usa, la Food and drug administration. A parte il fatto che la "gastronomia", cioè il cibo, il modo di coltivarlo, distribuirlo e consumarlo, è uno degli abissi liberisti attorno a cui movimenti mondiali di milioni di persone si agitano da anni, delle due l'una: o Ferrarotti è completamente intronato, e non sa di cosa parla; oppure è in malafede, e considera l'assassinio di sindacalisti in Colombia una legittima attività imprenditoriale.
Così stanno le cose. L'università Roma Tre si è, alla fine, arresa alla pressione del Corriere della Sera. E gli studenti replicano serenamente: vabbè, vorrà dire che convinceremo la gente a evitarle comunque, quelle lattine. Nel frattempo, risulta che un altro municipio romano, il primo, abbia bandidto dal suo sito il logo di McDonald's e abolito l'accordo con lo spaccio di hamburger in Piazza di Spagna, per cui sulle tovagliette compariva anche il suo nome: un altro deplorevole esempio di conflitto gastronomico, direbbe Ferrarotti. Mentre la Provincia di Roma sta preparando un suo codice etico, sulle sponsorizzazioni, simile a quello del Comune, grazie al quale Nike e Coca Cola sono state espulse da varie iniziative. Il bravo cronista e il direttore del Corriere sono invitati a meditarci sopra, mentre masticano un cheeseburger e inghiottono Coca Cola per riuscire a mandarlo giù.
Fonte: http://www.carta.org
mt
|