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I problemi della gente di M. di Schiena
14.03.2005

I PROBLEMI DELLA GENTE E IL PALAZZO di Michele di Schiena
In un intervento del Sindaco di Brindisi Domenico Mennitti, pubblicato sul “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 6 marzo sotto il titolo «Ecco i risultati del Governo Fitto», si legge la seguente conclusione: «La Puglia di Fitto ha fatto meglio di quella di Bassolino perché si prepara al futuro aggredendo oggi i problemi, perché governare è scegliere soluzioni nella sfera del possibile. Chi sfida Fitto abbia l’onestà intellettuale di riconoscergli meriti obiettivi e spieghi ai pugliesi come pensa di fare di più». Si tratta di espressioni rivelatrici di una passione elettorale, coglibile a piene mani anche dalle argomentazioni dell’intero scritto, che in questi giorni peraltro accomuna Presidenti delle Amministrazioni provinciali e Sindaci pugliesi dell’uno e dell’altro schieramento.

Una chiusa, quella dell'on.le Mennitti, che si articola in una indimostrata quanto sorprendente affermazione ed in una moraleggiante quanto ingenerosa esortazione. Dice infatti il Sindaco di Brindisi che Fitto ha fatto meglio di Bassolino fondando tale assunto sulla citazione di pochi e discutibili dati ed interventi riferiti peraltro a due realtà regionali, quella della Puglia e quella della Campania, difficilmente comparabili per la marcata diversità delle loro storie, del loro vissuto sociale e dei loro gravi problemi. Un’affermazione anche sorprendente dal momento che non si riesce a capire perché mai i cittadini pugliesi dovrebbero avere in cima alle loro preoccupazioni quella di stabilire se ha «fatto meglio» (o fatto peggio) Fitto in Puglia o Bassolino in Campania in una singolare se non impossibile competizione. A questi cittadini interessa invero valutare se, per effetto della politica regionale di questi anni, le loro condizioni di vita e di lavoro sono in qualche modo migliorate o hanno subito peggioramenti e se per il futuro della Puglia siano più convincenti ed accendano maggiori speranze i programmi di Fitto o quelli di Vendola. C'è poi, nelle parole dell'on.le Mennitti, una sorta di intimazione a chi «sfida Fitto» di avere «l'onestà intellettuale» di riconoscere i meriti del Presidente regionale. Una sollecitazione troppo pervasa da zelo difensivo a vantaggio del presidente uscente perchè priva di qualsiasi sia pur minimo riferimento a suoi errori ed alquanto ingenerosa nei confronti dell'on.le Vendola, implicitamente tacciato di essere stato finora privo di tale onestà o, quantomeno, di poterne in futuro difettare.

Venendo poi alle argomentazioni che dovrebbero supportare il ricordato giudizio conclusivo, va detto che il Sindaco Mennitti, dopo avere in sostanza riconosciuto che non sussiste una correlazione diretta tra politiche regionali e produzione di reddito tale da poter affermare che l'efficacia dell'ente regione sia perfettamente corrispondente agli andamenti dell'economia, passa a menzionare alcuni interventi di Fitto da lui ritenuti positivi e tratteggia in negativo la situazione della Campania manifestando questo suo giudizio da lontano, senza convincenti motivazioni ed anche, praticamente, in assenza di qualsiasi possibilità di interlocuzione da parte del destinatario dei suoi rilievi. Diverso dovrebbe essere invero l'approccio ai problemi regionali ed il metro di valutazione delle politiche necessarie per risolverli. E' necessario infatti partire dalle esigenze e dalle attese della gente in carne e ossa: dalle condizioni di insicurezza e di precarietà e dalle domande di un nuovo modello di sviluppo economico, di lavoro, di salute e di salubrità ambientale, di legalità e di trasparenza il tutto animato ed attraversato dalle grandi tensioni ideali e politiche di solidarietà e di pace.

Occorre quindi un’ottica diversa e cioè guardare le cose dalla parte della gente e non da quella del Palazzo. Un'ottica che ci presenta in Puglia scenari per niente consolanti. Sul versante dell'economia la situazione è davvero disastrosa: crisi delle strutture portanti del nostro sistema produttivo, perduranti difficoltà nel turismo, rallentamenti nel settore delle costruzioni, problemi crescenti nella filiera agroalimentare, crollo dei consumi e pesanti flessioni in quasi tutte le articolazioni del commercio. Particolarmente colpiti risultano i settori meccanico, chimico, tessile, calzaturiero e del mobile imbottito. In un quadro generale caratterizzato da stagnazione e perdita del valore delle pensioni e dei salari, è tornata a crescere la disoccupazione specialmente giovanile; si sono accentuati i fenomeni della precarizzazione e del lavoro nero; ampie fasce di lavoratori dipendenti, di pensionati e persino di ceto medio subiscono un progressivo impoverimento; il graduale svuotamento del welfare (in particolare nella sanità) apre la strada alla privatizzazione dei servizi e lascia tante famiglie sempre più sole. Per il lavoro, i dati (riferiti al primo semestre del 2004) di uno studio della Banca d'Italia fanno significativamente registrare un tasso di occupazione del 44,5% con una riduzione dello 0,7% rispetto al 2003, un tasso di disoccupazione del 16,2% con un aumento del 2% rispetto alla precedente indagine ed una riduzione complessiva delle forze lavoro di 12 mila unità sempre rispetto al dato del 2003: sono dati che indicano un declino davvero preoccupante. Occorre una nuova politica industriale e sono quindi necessarie azioni organiche di intervento finalizzate alla crescita, allo sviluppo ed al riposizionamento produttivo attraverso la ricerca, l'innovazione e la formazione di figure lavorative sempre più professionalizzate.

Quanto alla sanità, va rilevato che la riorganizzazione del servizio sanitario in Puglia ha fatto registrare pesanti errori di valutazione e ha messo in evidenza l’inadeguatezza della cultura politica che muove le scelte in tale settore. E' stato bloccato per ben quattro anni l'acquisto di beni e l'assunzione di personale con la ovvia conseguenza di far arretrare in modernità e conoscenza il sistema complessivo; è stato disposto un piano di riordino ospedaliero senza alcuna previa consultazione degli enti locali e delle organizzazioni sociali e professionali; il deficit della sanità è stato costosamente ripianato dai cittadini con un aumento del 50% dell’addizionale IRPEF (aumento - e non addizionale - abolito solo nel 2005) e con il permanere della vergognosa tassa sulla salute costituita dai ticktes. Ed ancora: i posti di lavoro persi in questi anni nel Servizio Sanitario Pubblico si aggirano sull’ordine di alcune migliaia; la prevenzione assorbe a stento il 2% dei bilanci AUSL contro il 5% raccomandato a livello nazionale; l’assistenza domiciliare sanitaria è quasi esclusivamente affidata ad associazioni di volontariato; alla chiusura dei reparti non ha fatto riscontro il potenziamento dei servizi territoriali; la migrazione sanitaria per gravi malattie non accenna a diminuire; si è sbandierata la chiusura dei reparti “doppioni” come il toccasana per avere ospedali di eccellenza col risultato che negli ospedali rimasti è quasi impossibile oggi trovare un posto letto e che gli interventi sanitari più comuni intasano le strutture che dovevano operare l’eccellenza. Le lunghe liste di attesa testimoniano poi all’evidenza il fallimento del modello programmatorio prescelto mentre si diffonde l'opinione che il depotenziamento del sistema sanitario pubblico vada ad esclusivo vantaggio del privato.

Ed allora, la strada da imboccare per un'appropriata valutazione delle proposte elettorali in campo è quella che va dai problemi agli atti politici (di governo e di opposizione) perché l'altra, quella in senso inverso, la sceglie il potere quando diventa fine a se stesso.

Brindisi marzo 2005

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