15.03.2005
Finestra sudamericana: José Menino Non esisteva nulla di meglio che saper di aver fatto un gol fantastico. José Menino é un quartiere di Santos, la cittá di Pelé e Robinho, dove un tempo la spiaggia era pulita, ci si bagnava, si incontravano gli amici, si giocava a calcio e si aspettava l’occhiata di una fanciulla per dare un senso ai fine settimana. Oggi è solo un bar, a São Paulo, con un sacco di foto appese alle pareti, foto che ai piú non dicono nulla e a chi dovrebbero far venire almeno malinconia non lo fanno perché questi, i malinconici, sono rimasti senza soldi e nel bar, un poco caro, non ci vanno. Credo che giocare al pallone sia stato il sogno di quasi tutti i fanciulli del mondo, fatta eccezione per i gli asiatici (che stanno avendo il loro momento di risveglio solo adesso) e per qualcun altro che preferiva altri sport (ma sono pochi, onestamente); non esisteva nulla di meglio che saper di aver fatto un gol fantastico, dribblando il difensore, superando il portiere con un pallonetto. O una rovesciata, o un tiro ad effetto, quando il pallone era ancora un pezzo di cuoio duro e aspro e non una palla perfettamente rotonda e morbida come oggi.
Ma non c’e’nulla da fare, il calcio rimane un gioco per chi ha davvero talento e intelligenza. Per questo servono, in una squadra, operai tosti e rozzi che possano, al piú, interrompere la fantasia dei geni e riportare sulla terra chi pensava di essere giá oltre. In Brasile a me piace il Santos perché ha Robinho e il Corinthias perché è la squadra per cui tifa (per quanto possa non riconoscere un palo da una traversa) mia moglie. Il Santos sta vivendo, assieme al suo leader Robinho, un momento delicato, indeciso se vendere l’astro a qualche club europeo disposto a pagare una fortuna, o se tenersi il fuoriclasse e farlo diventare un secondo Pelé. Ma che gioco, che visione, che altruismo. Il Corinthias è entrato in una fase pericolosa. Sull’orlo del fallimento, come quasi tutto il calcio brasiliano (in veritá giá fallito ma tenuto in piedi da un sistema ipocrita e accondiscendente che non ne puó fare a meno proprio perché fonte di denari facili) è stato acquistato dall’MSI (la stessa di Abramovich, quello del Chelsea) che ne vuole fare un punto di riferimento per il calcio sudamericano e una miniera per le contrattazioni dei suoi dipendenti (pagati a valuta minore e venduti, si spera, a suon di Euro) ; sono arrivati una serie di presunti fuoriclasse argentini (Mascherano non male, Tevez una sola, Passerella un extraterrestre), hanno cominciato a dire come si fa e come non si fa (l’argentino non riesce a togliersi di dosso quel fare arrogante, anche quando non lo è) e hanno preso tre pappine sonanti da una squadretta di seconda categoria in una partita decisiva per il campionato Paulista (dominato dal duo San Paolo e Santos).
Quello che manca, piú di ogni altra cosa, sono quelle persone che riescono a vedere un poco oltre e a dare un senso alle prospettive. Persone che sappiano pensare, che sappiano intendere, che sappiano vedere e ascoltare. Nel calcio, ce n’era ancora qualcuna ma stanno facendo di tutto per renderlo simile a tutto il resto. Una quartiere che non c’e’piú.
Federico Di Franco federicodifranco@gmail.com
fonte www.fondazionedivittorio.it
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