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Basta tollerare la mafia!
22.03.2005
Compie dieci anni Libera, l'associazione che riunisce e coordina le associazioni impegnate sui fronti pericolosi della lotta alla mafia e all'usura, i gruppi di contrasto al traffico di droga, prostituzione, commercio di esseri umani. L'ha inventata, creata, aiutata a crescere, un prete da marciapiede che lavora in aiuto ai tossici, per strappare bambini alla mafia, per recuperare donne messe in commercio.
È don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele, e sostiene che questi dieci anni sono stati «difficili ed entusiasmanti». «Difficili perché abbiamo toccato con mano che la malattia mortale della rassegnazione e dell'indifferenza è purtroppo viva nel paese. Alle grandi stragi, quando ci furono mobilitazione, grandi promesse e speranze, è seguito l'inabissamento anche di segmenti della politica, della società civile, delle istituzioni. Insomma, si sono fatti dei passi sostanzialmente indietro. Lo si vede perché le mafie sono oggi, pur con strategie diverse, forti».
Lei ha detto difficili ed entusiasmanti. Non esagera don Ciotti sulle difficoltà?
«Purtroppo no. Basta leggere i 1700 fascicoli dei ragazzi di mafia, per scovare i minorenni, quelli che chiamiamo i figli della mafia che è una madre attenta, premurosa, capace di garantire tutto. E c'è l'usura che ritroviamo forte, l'estorsione, il caporalato nel Nord d'Italia, nel settore dell'edilizia fino a punte del 50%. E potrei aggiungere: lavoro nero, mercato della droga, traffico di armi e persone, la prostituzione... »
E la parte entusiasmante di questi dieci anni?
«Provo stima e riconoscenza per il lavoro di molti magistrati, forze dell'ordine che hanno continuato a lavorare con degli strumenti e in un quadro certo non facile. Penso al grande lavoro che noi abbiamo fatto coi prefetti sui beni confiscati alla mafia restituendoli ad attività sociali e produttive. Prefetti chiari, determinati a interpretare le leggi».
«Libera» rispetto a tutto questo che ruolo ha giuocato?
«Sta qui l'aspetto di gioia ed entusiasmante: che c'è Libera. Lo dico con la coscienza dei confini e dei limiti che bisogna avere insieme ai dubbi e alla gioia. Gioia perché sono oltre 1200 le realtà piccole e grandi, come Legambiente o Agesci, impegnate. E poi c'è una marea di scuole che fanno parte di Libera-scuola lavorando sui progetti per rieducarci alla legalità e alla responsabilità. Vanno aggiunti i progetti di sport e legalità promossi dalle associazioni sportive. La confisca dei beni dei mafiosi».
Don Ciotti, quante persone coinvolge tutto questo?
«Siamo presenti in tutte le regioni. Adesso ci stiamo organizzando per province. Non è tutto luce. Ci sono ombre e contraddizione ma si è creata questa grande rete a Nord al Sud e al Centro. Una rete per dire che il problema della legalità e del contrasto è un problema di tutti. Questo è il valore di questi anni: avere stabilito che è un problema di tutti. Sono coinvolte migliaia di persone perché le associazioni al loro interno si fanno moltiplicatrici di questa sensibilità e di questa coscienza. Per esempio: io sono del gruppo Abele che esiste da 40 anni e fa parte di Libera. Il gruppo Abele ha 58 realtà e che fanno parte di Libera. Legambiente porta la sua zampata con migliaia di persone. L'Arci organizza le carovane antimafia che costruiamo insieme. I sindacati che sono entrati con forza in Libera in questi due ultimi anni. Vogliamo fare che in ogni persona ci sia questo operare insieme. Questo è il segno dell'entusiasmo».
A un certo punto hanno tentato di farvi fuori. Il governo Berlusconi aveva deciso di tagliarvi tutti i contributi.
«Noi ci inventiamo di tutto per andare avanti. Abbiamo uno sponsor che è qualcosa di più di uno sponsor: la Tim. La Tim ha fatto una cosa importante, ha portato tutti i suoi dirigenti per due giorni nei campi a Corleone, nell'agritursimo creato vicino a Portella delle Ginestre. Sono entrati dentro per capire, toccare con mano. Siamo molto disarmati perché al di là di alcune collaborazioni che ci sono, ci si arrampica sui vetri per portare avanti queste iniziative. Si è cercato di sminuire la nostra attività. Ma ci sono i fatti che parlano, la concretezza».
È anche vero che c'è stata una reazione molto forte a vostro sostegno.
«Verissimo. Hanno detto: signori Libera non si tocca. È stato molto bello. Io sono il primo ad essere cosciente di molti limiti e molti errori nostri, ma è stato un bel segno».
Qual è il cuore delle difficoltà che impediscono di affrontare la mafia come sarebbe necessario?
«Non sono un tecnico, non voglio essere presuntuoso. Penso ai ragazzi, quelli che chiamiamo i figli della mafia, quelli arruolati nei clan. Ragazzini ma anche killer, spacciatori. Una realtà di 1700 fascicoli. Ecco tutto questo mi fa anche dire con forza che non esistono bambini cattivi. I bambini sono bambini. Ho toccato personalmente con mano, girando l'Italia in quelle realtà e in quei contesti, che i ragazzi immersi nei recinti mafiosi sono condannati alla loro diversità. Li segna il mondo al quale appartengono. I ragazzi sono il prodotto dei loro contesti di vita. Allora se non si interviene su quei contesti non se ne esce».
Quindi, serve andare molto al di là della repressione?
«Esatto. Non usiamo i ragazzi a copertura di una società che arranca e fa fatica. Mi sembra non ci sia, al di là delle parole, la volontà nella radicalità per affrontare fino in fondo questo problema che ha bisogno di una forte risposto sociale. Cosa voglio dire? Conosco il lavoro immane di magistrati e forze dell'ordine. Questa positività deve essere messa in evidenza. Ho visto prefetti fare cose forti, chiare, determinate. Ma poi non arriva la radicalità della politica. Leggi di compromesso, si comincia a giustificare, il tempo fa calare l'attenzione, si sente dire: basta con questa mafia... e così la mafia si rifà forte, si rigenera, cambia. È tutto paradossale ma è così. La politica ha una grande responsabilità. Anzi, le politiche al plurale: politiche sociali, del lavoro per i giovani, per la casa, una politica per una confisca veloce dei patrimoni mafiosi e un loro utilizzo sociale vero».
L'altro grande fronte di lotta di «Libera» è contro l'usura che, contrariamente a molti pregiudizi diffusi, non coincide con quello della mafia.
In Libera ci sono le associazioni antiusura e quelle dell'antiracket che vedono in Tano Grasso come un punto alto di speranze. Noi parliamo di mafie al plurale: intendiamo corruzione, usura, pizzo, traffico di stupefacenti, ecomafie, caporalato, prostituzione, traffico degli esseri umani. La nostra è una lettura ampia. Posso aggiungere una cosa?».
Prego, don Luigi.
«Non aiuta certamente la crisi di legalità nel nostro paese. Perché il fattore che mette a rischio la giustizia e la legalità nel nostro paese è la caduta del senso della moralità».
Berlusconi, governo, maggioranza parlamentare condonano, giustificano e attenuano sull'illegalità e le vostre difficoltà nella lotta contro crescono?
«Si provoca la caduta del senso della legalità e della moralità nei comportamenti di molti italiani. Questo rischia di inquinare profondamente il nostro tessuto sociale. La legalità, il rispetto e la pratica delle leggi, è la condizione fondamentale perché ci siano libertà e giustizia. Oggi nel nostro paese la crisi di legalità certamente non aiuta a costruire un senso positivo».
Quali progetti per i prossimi dieci anni?
«Che la rete si allarghi, che il lavoro nelle scuole cresca e cresca la coscienza critica. Spero in un affinamento della nostra capacità di denuncia ma anche di proposta verso il mondo della politica per essere stimolo. Una politica che non sa trasformare non costruisce speranza. La politica faccia fino in fondo la propria parte mentre noi facciamo, nelle piccole cose che possiamo, la nostra. I mafiosi devono sapere, lo sanno già, che ci sono tanti cittadini, gruppi, associazioni, che non hanno mollato e che non fanno sconti».

Fonte: http://www.unita.it/index.asp?sezione_cod=HP

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