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Due lettere di Michele Di Schiena
29.03.2005

IL CENTRO DI SAN FOCA FRA ESIGENZE DI GIUSTIZIA
E COERENZA EVANGELICA

L’arresto di don Cesare Lodeserto con l’accusa di reati connessi all’attività svolta nel centro di permanenza temporanea (CPT) “Regina Pacis” di San Foca di Lecce ha provocato amarezza e sconcerto: amarezza perché al dolore che suscita la notizia di un qualsiasi arresto si aggiunge quello che cagionano sempre i provvedimenti restrittivi della libertà personale quando colpiscono persone con ruoli che impongono comportamenti particolarmente esemplari; sconcerto, specialmente tra i cattolici, perché i reati contestati al sacerdote leccese sono agli antipodi degli atti di rispetto e di carità scaturenti dal dovere di una coerente testimonianza evangelica.

E’ interesse della verità, del rilievo pubblico dell’attività sociale e religiosa di don Cesare nonché della sua stessa professione di innocenza che ai magistrati inquirenti siano assicurate la libertà e la serenità necessarie per l’approfondimento dei fatti, l’appropriata valutazione dei medesimi e le conseguenti decisioni. La giustizia faccia quindi il suo corso rapidamente e col doveroso senso di responsabilità a riparo da ogni suggestione colpevolista o innocentista, ferma restando, ovviamente, la presunzione di non colpevolezza sancita dalla Costituzione per ogni imputato fino alla eventuale condanna definitiva.

Ma l’arresto di don Cesare Lodeserto ripropone comunque, al di là della specifica vicenda giudiziaria, il problema morale e civile dei centri di permanenza temporanea. Tali centri sono delle “quasi” prigioni dove vengono ammassati, spesso in situazioni di sovraffollamento ed in precarie condizioni igienico-sanitarie, gli immigrati clandestini, quasi sempre rei soltanto d’essere fuggiti dall’indigenza o dalla persecuzione e sbrigativamente puniti con una pena detentiva “impropria” inflitta per via amministrativa senza processo e quindi praticamente sottratta, durante la sua esecuzione, a qualsiasi sorveglianza dell’autorità giudiziaria.

Qualcuno di noi ha avuto tempo addietro l’opportunità di entrare nel CPT di San Foca su richiesta di un’organizzazione umanitaria per effettuare alcune visite mediche in favore di immigrati curdi sfuggiti alla repressione del governo turco. I risultati di quei controlli sanitari, con la documentazione dei segni delle torture subite nei loro paesi, servirono a far ottenere ai profughi dai giudici amministrativi l’asilo politico che la competente commissione ministeriale aveva negato a seguito di accertamenti non adeguatamente approfonditi. L’esperienza di quelle visite mediche fornì sul campo la conferma della inaccettabilità morale e civile dei CPT nella loro concreta sperimentazione e delle logiche anticostituzionali che di fatto presiedono alla gestione di tali strutture. I centri di permanenza sono, quindi, luoghi dove stranieri che non hanno alcuna colpa, se non quella di disturbare la “quiete” dei “benpensanti” di casa nostra, vengono privati della loro libertà e da lì riportati mediante la forza nelle terre di origine con tutti i conseguenti rischi spesso gravissimi. Un’opinione critica questa che prescinde dalla fondatezza o meno dei fatti contestati dalla magistratura al direttore del Centro di San Foca ma che in relazione a quella struttura si fonda, per i credenti, anche su motivazioni religiose che la rendono più radicale e sofferta. Il Centro di San Foca è stata infatti una struttura gestita per conto e con finanziamento dello Stato dalla Curia della Diocesi di Lecce, una realtà ecclesiale che dovrebbe tenere a cuore la “liberazione dei prigionieri”, soprattutto di quelli ingiustamente detenuti, così come proposta dal messaggio evangelico che proclama tale scelta come segno della suprema e totale liberazione.

«Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l’avete fatto a me»: questa sublime esortazione alla solidarietà è stata ripresa dal Concilio Vaticano II che ha ricordato il dovere di condividere la condizione degli ultimi come l’affamato, l’escluso ed «il lavoratore straniero ingiustamente disprezzato o l’emigrante». Ed ha raccomandato che, nell’esercizio della carità, «si abbia riguardo, con estrema delicatezza, alla libertà ed alla dignità della persona che riceve l’aiuto», che il servizio non sia macchiato “dalla ricerca della propria utilità o dal desiderio di dominio» e che siano «innanzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia». Il Concilio ha anche ricordato che la missione della Chiesa non è di ordine sociale o politico ma di ordine religioso e che essa si deve servire «delle cose temporali nella misura che la propria missione lo richiede».

Vi è quindi un aperto contrasto tra la gestione da parte di realtà religiose di simili centri di permanenza e la missione evangelica della chiesa. Contrasto che non viene certo attenuato da quanti credono di difendere il sacerdote parlando di atti correttivi rivolti ad ottenere il bene degli “ospiti” del Centro. Ma che “bene” è quello che si impone contro la volontà del destinatario? Non annuncia forse il Vangelo la gratuità dell’amore? Ma a parte la coerenza evangelica, se si accettasse il principio che un “bene” possa essere lecitamente imposto con la forza, non si aprirebbe la strada alla mostruosità culturale e giuridica per la quale ogni sopruso e ogni violenza sarebbero giustificati se considerati dall’autore necessari nell’interesse delle vittime?

Brindisi, 18 marzo 2005



Michele Di Schiena

Maurizio Portaluri





CHIESA E POTERE NELLA REGIONE PUGLIA

In piena campagna elettorale la Regione Puglia stanzia 102 milioni di euro in favore degli oratori cattolici in applicazione di una legge regionale del 2001 e per questo atto il presidente Fitto e l'assessore competente ricevono sentiti ringraziamenti (perché mai per un atto di governo per sua natura finalizzato ad interessi generali?) dal presidente dei vescovi pugliesi mons. Ruppi e dall'arcivescovo di Brindisi in un incontro ampiamente pubblicizzato che diviene oggettivamente, al di là delle intenzioni dei due uomini di chiesa, un rilevante strumento di propaganda elettorale.

Giorni addietro mons. Talucci si reca nella sede di Brindisi dell'Associazione degli Industriali per esprimere ai dirigenti di tale sodalizio, notoriamente favorevoli alla realizzazione del rigasificatore, vivo apprezzamento per il loro operato. E ciò senza che da parte del presule ci sia stata finora analoga propensione al dialogo nei confronti delle rappresentanze sociali delle migliaia di cittadini che hanno un'idea dello sviluppo diversa da quella del dott. Ferrarese e che anche per questo si oppongono alla costruzione del pericoloso e devastante impianto in sintonia peraltro con le decisioni dell'Amministrazione Provinciale e del Comune di Brindisi.

Ed ancora: qualche mese addietro si è avuta la notizia di un accordo fra il governo nazionale, quello regionale ed i vescovi pugliesi per un finanziamento una tantum di 16 milioni di euro in favore dell'ospedale religioso di San Giovanni Rotondo, una somma che rappresenta circa un decimo di quanto destinato per l'ammodernamento strutturale a tutti gli ospedali pugliesi in questi anni. Facendo qualche passo indietro nel tempo ricordiamo che all'indomani del varo del piano regionale di riordino ospedaliero e nel pieno svolgimento delle grandi manifestazioni popolari di protesta per la conseguente chiusura di ospedali e reparti, fu registrato l'esplicito apprezzamento del presidente dei vescovi pugliesi per l'operato del "governatore" Fitto. Un apprezzamento che poteva essere collegato, sia pure con discutibili processi alle intenzioni, al potenziamento (previsto dal piano) dei posti letto di tre ospedali religiosi. Mentre poi rimanevano totalmente bloccate (dalla fine del 2000 fino a qualche mese addietro) le assunzioni di medici ed infermieri in tutto il sistema sanitario pugliese, con gravi conseguenze assistenziali in danno dei cittadini, la dirigenza dell'episcopato pugliese concludeva un accordo per l'assunzione negli ospedali regionali di un centinaio di cappellani che venivano inquadrati come dirigenti con i relativi oneri a carico del servizio sanitario pubblico.

Ed infine, tornando ai nostri giorni, in un quadro di rapporti come quello in qualche modo tratteggiato fra il potere politico dominante e la gerarchia ecclesiale pugliese, il vescovo di Lecce ha sorprendentemente parlato, con riferimento all'arresto del direttore del CPT "Regina Pacis", di "chiesa perseguitata". Una reazione questa incontrollata, estremizzante e smentita dai fatti che provano esattamente il contrario, un contrario che richiederebbe forse una responsabile riflessione sia in sede politico-istituzionale che in ambito ecclesiale.

Dicendo cose di attualissima validità, scriveva nel IV secolo d.C. Ilario di Poitiers, vescovo e santo che aveva conosciuto personalmente la persecuzione e l'esilio: «Dobbiamo combattere contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga. non ci flagella la schiena, ma ci accarezza la pancia, non ci confisca i beni dandoci così la vita ma ci arricchisce per darci la morte, non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nei palazzi; non ci colpisce il corpo ma prende possesso del nostro cuore; non ci taglia la testa con la spada ma ci uccide l'anima con il denaro e con il potere».

Non dispiace certo - specialmente a chi si sente parte della comunità ecclesiale ed ha a cuore la sua missione evangelizzatrice - che gli oratori, gli ospedali ed altre opere cattoliche ricevano, in un quadro di attenta giustizia distributiva, aiuti finanziari in rapporto all'utilità sociale delle attività e dei servizi svolti. Ma sono motivo di amarezza, per certe inclinazioni partigiane e per certi utilizzi, le attenzioni, i contatti e gli apprezzamenti che spesso caratterizzano i rapporti dei vertici (non tutti) della chiesa pugliese con i massimi esponenti del potere politico ed economico dominante. Situazione questa che mette in malinconico risalto i tanti inspiegabili silenzi su piaghe sociali di enorme gravità. C'è infatti da chiedersi come mai la chiesa pugliese non ha nulla (o quasi) da dire sulla paurosa crisi economica ed occupazionale, sulle crescenti condizioni di precarietà e di marginalità, sull'inquinamento e le sue vittime (da Manfredonia a Taranto passando per Brindisi), sui ritardi nelle bonifiche e nella gestione dei rifiuti, sui tagli alla sanità, alla scuola pubblica, alla ricerca ed all'assistenza sociale.

Brindisi, 21 marzo 2005

Maurizio Portaluri
Michele Di Schiena

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