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La classe agiata americana ed il lusso
10.04.2005

Nella storia del pensiero economico ci sono epoche nelle quali sembra che tutto quello che c’era da scrivere sia già stato scritto, dove sono stabilite una volta per tutte le linee di confine, dove le “domande” sono fissate e non resta che affinare le “risposte”; insomma in queste epoche sembra che l’economia politica abbia finalmente risolto il suo “complesso d’inferiorità” verso la matematica e le altre scienze della natura, e possa finalmente prescrivere “ricette” univoche per risolvere i complicati problemi della natura umana. Queste epoche d’ottimismo sono spesso accompagnate da un impetuoso sviluppo economico che sembra cancellare tutte le contraddizioni e i problemi della società, un periodo di così gran benessere che riduce la scienza economica ad un’apologia del sistema capitalista. L’arco di tempo che va dalla seconda metà del 1890 all’inizio della prima guerra mondiale fu senz’altro del tipo sopra descritto, fu l’epoca in cui si affermò definitivamente l’ortodossia neoclassica con Marshall, Edgeworth, Pigou, Wicksell, (mettere link su Marshall ed i neoclassici?) ecc., e si ebbe uno sviluppo economico e scientifico tale da avere un nome a parte nella storia: Belle Epoque.
In un tale momento d’ottimismo ci si dimenticò della “grande depressione” da poco superata, e delle contraddizioni ancora vive che porteranno alla prima guerra mondiale e alla crisi del ‘29, ci si dimenticò delle varie “cassandre” del capitalismo come i marxisti e di quei pochi che, ereticamente, parlavano dei cicli economici e rifiutavano la legge di Say (appunto per Alb., inserire riferimento alla legge di Say?).
In un clima come questo, un economista (o per meglio dire uno studioso di scienze sociali, visto che le sue opere sono un miscuglio d’antropologia culturale, sociologia ed economia, e che molti economisti non lo considerano uno di loro) di nome Thorstein Veblen, figlio d’immigrati norvegesi, cresciuto negli ambienti rurali del Wisconsin e del Minnesota, ebbe il coraggio di mettere in discussione le fondamenta della scuola marginalista, e di criticare, con un’irriverenza che sicuramente non è comune agli economisti, la società dell’epoca partendo da coloro che si credeva fossero i protagonisti del sistema economico, quelli che lui chiamerà “la classe agiata”.
Il pensiero di Veblen è tanto rivoluzionario quanto, purtroppo, poco conosciuto dai “non addetti ai lavori”, ovvero quelli che s’interessano della storia del pensiero economico. Eppure, dopo più di un secolo dalla pubblicazione della sua opera più famosa, “La teoria della classe Agiata”, le sue tesi esibiscono un’attualità disarmante. Vorrei quindi tentare, per chi avesse la pazienza di leggere quest’articolo fino in fondo, di fare un breve riassunto dei punti salienti del suo pensiero.
Verso la fine del primo capitolo de “La teoria della classe agiata si legge: “Per necessità selettiva l’uomo è un agente. Egli è, nella sua propria concezione, un centro di attività dispiegatesi e impulsiva: attività “teleologica”. Egli è un agente che cerca in ogni atto il compimento di qualche fine concreto, oggettivo, impersonale. In forza del suo esser tale, egli sente gusto per il lavoro efficiente e disgusto per quello futile. Egli ha un senso del merito dell’utilità o efficienza e demerito della futilità, dello sciupio o incapacità. Tale attitudine o inclinazione si può chiamare l’istinto dell’efficienza. Là dove le circostanze o le tradizioni di vita portano al confronto abituale di una persona con un’altra in fatto di capacità, l’istinto dell’efficienza opera attraverso un confronto antagonistico tra persone. L’estensione a cui giunge questo risultato dipende in grado considerevole dal temperamento della popolazione. In ogni comunità dove un tale confronto antagonistico sia fatto abitualmente, il successo pubblico diventa un fine ricercato per se stesso come base di estimazione. Si guadagna la stima e si evita il disprezzo mettendo in mostra la propria efficienza. Il risultato è che l’istinto dell’efficienza si esprime attraverso una dimostrazione di forza emulatrice.”. A mio giudizio questo è uno dei passi più belli dell’opera di Veblen.
Nel paragrafo sopra citato, l’uomo, per un sottile intreccio di spirito antagonista e istinto d’efficienza, è impegnato in un continuo confronto con i suoi simili per conquistare la stima delle persone e di conseguenza la stima di sé. Come Veblen stesso ammette, una tale situazione dovrebbe portare ad una continua tendenza al miglioramento delle capacità umane. Ma la stima, per la forza emulatrice, si acquista comportandosi in un modo ritenuto onorifico dal resto della comunità. Ora, se in una società fossero ritenuti onorifici i lavori industriali non ci sarebbe nessun impedimento ad una “tendenza al miglioramento”, ma Veblen basa la sua analisi proprio sul fatto che questi lavori sono considerati non onorifici. Questo perché viviamo in un mondo dove le uniche attività degne di stima diventano quelle della classe agiata, grazie appunto all’influenza dello spirito antagonistico e d’emulazione. La classe agiata è dunque la classe cui tutti vorremmo tendere e di cui tutti imitiamo i comportamenti, questa per dimostrare la propria superiorità ha bisogno di compiere gesta. Per Veblen ciò deriva dalla storia stessa della classe agiata nata nel momento in cui gli uomini dopo aver discriminato i lavori femminili, antenati dell’agricoltura e di conseguenza della civiltà, favorendo quei lavori prettamente maschili come la caccia e la difesa del territorio, continuarono seguendo questi istinti barbarici, discriminando in generale tutti i lavori che hanno un’effettiva utilità pratica, considerati non degni d’onore per le persone notabili della società. Infatti, nella società moderna l’unico modo che le classi superiori hanno per estrinsecare la propria superiorità è mantenere una totale distanza dai lavori propriamente detti. Questo però non basta a questa classe, gli è necessario qualche segno tangibile della propria supremazia, qualcosa che sia simile al trofeo delle gesta nello stato barbarico e che possa rendere manifesta la propria supremazia finanziaria sugli altri uomini.
Veblen parlerà di tre aspetti della demarcazione tra classe lavoratrice e agiata:
1) L’agiatezza vistosa.
2) II consumo ostentativo.
3) La sua degenerazione: lo sciupio vistoso.
Ho detto che le eredità barbariche presenti nella società industriale portano la classe agiata a considerare con un certo disprezzo il lavoro utile, per aumentare il suo prestigio, dunque, l’uomo agiato deve dimostrare questa sua avversione ai lavori, e il modo più elementare per farlo è ostentare una vita agiata. Per vita agiata, Veblen non intende una vita dedita all’ozio, e questo perché l’istinto dell’efficienza impedisce di considerare onorevole una simile attività. Una vita agiata è uno stile di vita dedito per lo più ad occupazioni non industriose, uno stile di vita dove la maggior parte del tempo è dedicata ad attività non produttive.
Occuparsi di attività improduttive, però, non basta per ottenere la stima altrui, si ha bisogno che questa, chiamiamola così, “certa disponibilità di tempo” sia evidente a terze persone, ed è sotto questa “legge” che si sono sviluppate tutte le attività e le istituzioni della classe agiata. Nella disperata ricerca della stima degli altri, l’uomo agiato è perennemente impegnato a dimostrare di essere impegnato per la minima parte in lavori produttivi.
Veblen porta un’infinita serie di esempi per avvalorare la sua tesi, quali lo sport, il galateo, gli studi umanistici, e molti altri che per mancanza di spazio non verranno qui menzionati. Tutte queste attività hanno due caratteristiche in comune: richiedono un notevole impiego di tempo non finalizzato ad un lavoro produttivo, sono evidenti agli altri membri della classe e in special modo a quelli delle classi inferiori. L’esempio delle buone maniere è forse quello più ironico, ma anche più incisivo. Veblen, ricordando le sue radici rurali, si chiede a cosa possa mai servire tutta quella serie d’inchini, saluti, convenevoli e atti di riverenza vari messi in atto nei salotti della sua epoca (e che ci sono anche oggi, forse in un modo più ipocrita) e ne vede la chiave di lettura nell’agiatezza vistosa.
Anche l’abbigliamento deve sottostare alla legge dell’agiatezza, e per questo Veblen ci aiuta ad osservare come l’abbigliamento degli agiati sia utile a tutto tranne che al lavoro, certo, sono passati parecchi decenni dal cilindro e bastone da lui descritto, ma, sostanzialmente, l’abbigliamento degli “agiati” moderni presenta ancora questa curiosa caratteristica.
L’agiatezza vistosa è solo la prima fase della ricerca del prestigio, il nostro aspirante uomo degno di stima, dopo aver dimostrato che nella vita non si è mai occupato di qualcosa di produttivo, ha bisogno di un segno tangibile della sua superiorità finanziaria, e qui entra in gioco il consumo ostentativo.
Come il barbaro, così vengono indicati ne “La teoria della classe agiata” gli uomini delle società primitive, aveva bisogno di un trofeo a memoria delle sue gesta, così l’uomo agiato deve dimostrare la sua superiorità economica attraverso oggetti. Il consumo diventa così un mezzo per pesare le persone, chi più consuma merita più stima degli altri. Naturalmente, quest’ostentazione di superiorità deve essere focalizzata su merci che non lasciano intravedere niente di produttivo, oggetti che servono solo ad aumentare la stima di chi li esibisce, come può essere una casa particolarmente lussuosa o i vari soprammobili usati per abbellirla.
Con il continuo aumento del benessere, però, neanche il consumo ostentativo basta da solo a liberare dalla paura di essere un mediocre, si sente la necessità di compiere un ulteriore passo, in modo da distinguersi definitivamente dagli altri: lo sciupio vistoso. Sciupare quello che si ha è l’ultima fase di una corsa alla stima umana, le feste, quando più sfarzose sono, servono proprio a questo. Sotto questo punto di vista hanno senso, per Veblen, le varie feste nel corso dell’anno, i banchetti, i ricevimenti ecc.
L’unica cosa che ci salva da uno sciupio degenerato è quello che egli chiama istinto per l’efficienza. Se si ricorda l’inizio di questo paragrafo si è parlato d’uomini che hanno “un senso del merito dell’utilità e dell’efficienza e del demerito della futilità, dello sciupio o incapacità”, ebbene proprio quest’avversione per la futilità salva quel poco che c’è di salvabile. Anche se Veblen non si stancherà per tutto il libro di portare alla luce casi in cui l’istinto dell’efficienza sia servo del consumo ostentativo e della agiatezza vistosa.
Le classi finanziariamente superiori prese dall’istinto dell’efficienza, e quindi dal dimostrare l’utilità del loro consumo ostentativo e della loro agiatezza, usano le più complesse ideologie, al punto che è difficile anche ad un occhio “disincantato” cogliere l’utilità o meno delle loro azioni e dei loro consumi. Prendiamo un esempio tra i tanti leggibili all’interno de “La teoria della classe agiata”: le gemme preziose.
Le gemme preziose sono rinomate per la loro bellezza, ma ad un’osservazione più accurata, sostiene Veblen, ci sono moltissime finte gemme di pari bellezza e che non sono considerate segno di stima per il semplice fatto che non rispettano il canone del consumo ostentativo.
In una tale situazione, lo stile di vita della classe superiore, con il canone dell’emulazione, si riflette su quello delle classi inferiori. La corsa all’agiatezza e al consumo della classe superiore si ripercuote, con i dovuti limiti di carattere finanziario, nella classe inferiore; lo stile di vita, i consumi, le idee e la concezione stessa di ciò che è degno di stima e ciò che non lo è sono stabiliti dalla classe agiata e assunti acriticamente dalla classe lavoratrice.
L’emulazione diventa emulazione finanziaria, e il denaro diventa in definitiva l’unica bilancia della stima degli altri e della stima di sé stessi. Vediamo la ricchezza degli altri e cerchiamo di superarla, per poi superare quella di chi è sopra di loro e così via. Si arriva ad un tale punto che, neanche gli uomini appartenenti alle classi finanziariamente più basse, rinunciano alla loro parte di consumo ostentativo destinando a svolgere l’incombenza le loro mogli.
Veblen non vede una fine a questa corsa perché più aumenta la produzione più abbiamo bisogno di un ulteriore incremento, non c’è un limite all’emulazione finanziaria quanto piuttosto un limite alle risorse che il sistema può offrire. Inoltre, quello che si deve produrre viene irrimediabilmente influenzato dal canone del consumo ostentativo, con grave danno per l’effettiva utilità delle merci prodotte. Così, si preferisce produrre ancora maglioni fatti a mano preferendoli a maglioni, più robusti e più adatti alla loro funzione, fatti in serie (per citare uno dei suoi esempi più famosi).
La dicotomia fondamentale tra capitale e affari, e capitani di industria e ingegneri, che appare in altri scritti di Veblen qui si presenta già allo stadio iniziale del sistema produttivo.
In una società come la nostra, caratterizzata da consumi di massa, termini come consumo ostentativo e agiatezza vistosa dimostrano tutta la loro attualità., ma, è anche vero che Veblen, nella sua irriverenza, e nel suo tentativo di mostrare l’irrazionalità e le contraddizioni della società americana dell’epoca, tende ad esagerare nelle sue ipotesi. Per discutere di ciò che è morto è ciò che è vivo nella sua opera, si dovrebbe, per onestà intellettuale, dedicare uno spazio maggiore alle sue “dicotomie fondamentali” ed al suo pensiero in generale, tuttavia in questa sede non se ne dispone. Invito il lettore curioso ad approfondire quanto scritto qui leggendo “La teoria della classe agiata” , credo che non avrà di che pentirsene.
Vorrei concludere sottolineando la forza di quello che egli chiama spirito antagonistico e d’emulazione nelle società umane. Nel paragrafo sopra citato de “La teoria della classe agiata”, si descrive in una maniera molto suggestiva come il confronto tra le persone porti all’imitazione, alla competizione e, in definitiva, alla ricerca della fiducia in sé stessi tramite il proprio prestigio sociale. Il mondo descritto in questo libro è un mondo dove le nostre azioni sono dominate dal confronto e dall’invidia verso il prossimo al punto da mettere in discussione l’efficacia stessa del sistema economico. Quest’ultimo dovrebbe essere basato sui canoni della razionalità e dell’efficienza e, invece, questi canoni debbono fare i conti con quelli dell’agiatezza vistosa, del consumo ostentativo e dello sciupio vistoso. Le parole di Veblen e le sue categorie concettuali ci sono molto utili per capire quanto gli uomini cerchino il confronto con i propri simili e quanto questo sia una condizione fortemente pesante del sistema economico e sociale. La società in cui viviamo, dunque, non è così razionale come crediamo, anzi (e questa è forse la più grande “scoperta” di Veblen), si sorregge molto su degli istinti barbarici, eredità della storia remota delle società umane. In tempi di neoclassicismo ortodosso un’eresia come questa gli costò anni di “ostinato silenzio” (così scriverà l’editore italiano nella prefazione alla prima edizione italiana de “la teoria della classe agiata” , eppure, aveva ragione lui, la razionalità è presente nello spirito umano unita ad un forte componente d’assurdità. Gli economisti (ma non solo) nella maggior parte delle volte sembrano dimenticarlo e costruiscono universi di teorie centrati su una persona che non esiste: il razionalissimo omo oeconomicus. La lettura di Veblen potrebbe essere un ottimo antidoto a quest’amnesia.

 

Luigi Granitto (Sobborghi.org)

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