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La scommessa al buio dell'Inail
15.04.2005

Collegare il costo assicurativo alla performance in prevenzione?
La scommessa al buio dell'Inail
di Diego Alhaique
Salute e sicurezza: continuano a piovere “proposte indecenti”. Dopo l’iniziativa governativa relativa al Testo unico, viene ora dal direttore generale dell’Inail l’idea di collegare la riduzione del costo assicurativo alla performance in prevenzione da parte delle imprese. La formulazione non è originale: va ricordato che esiste già oggi per legge un sistema d’oscillazione del tasso di premio dovuto dall’azienda – in riduzione o in aumento rispetto a quello medio nazionale, nella misura complessiva massima del 35 per cento – a seconda di specifiche situazioni (rispetto delle norme di prevenzione e andamento infortunistico), indicative di un minore o maggiore rischio a livello aziendale. Ma l’istituto assicuratore non ha mai pubblicato dati in proposito, per cui non è dato sapere se e quanto tale regola sia efficace ai fini della prevenzione. Ora l’Inail propone un accordo tra governo, imprese e sindacati per ridurre il peso medio del premio assicurativo sul costo del lavoro, dall’attuale 2,46 all’1,5-1 per cento. In cambio, le imprese dovrebbero impegnarsi ad adottare piani di prevenzione per abbassare del 20 per cento in tre anni il numero degli incidenti.

Tentando di leggere attraverso il denso fumo negli occhi (“costruire eccellenze che possano essere replicate”, iniziative pilota già partite, piano nazionale per la sicurezza ecc.) sollevato ad arte nell’intervista apparsa il 29 marzo scorso sul Sole-24 Ore, vale la pena cercare d’individuare la sostanza politica e quella di merito della proposta. Sotto il profilo politico, l’idea si presenta essenzialmente come complementare ai contenuti del Testo unico in materia di salute sicurezza sul lavoro: da una parte, una normativa che alleggerisce gli obblighi di tutela, dall’altra il costo assicurativo che si abbassa. Da un lato, misure di prevenzione “compatibili con le caratteristiche gestionali e organizzative delle imprese” (articolo 3 della legge di delega del Tu, la n. 229/2003), dall’altro una concessione al buio, senza la certezza dei risultati. Una scommessa sulla buona volontà delle imprese di realizzare sicurezza, finora non dimostrata, e che è sempre un azzardo fare nel campo delle politiche sociali. Non solo. Così com’è formulata, la proposta è nel merito tecnicamente inadeguata, ponendosi lontano dai criteri-guida messi a punto a livello europeo per costruire sistemi d’incentivazione economica alla prevenzione. Ci riferiamo alle indicazioni di uno studio della Fondazione di Dublino del ’95 (An innovative economic incentive model for improvement of the working environment in Europe), che sono state peraltro alla base della posizione espressa da Cgil, Cisl e Uil in occasione del “tavolo tecnico” del ’99 tra governo, Inail e parti sociali, da cui scaturì la riforma del sistema assicurativo contenuta nella legge 38 del 2000 e che lanciò in via sperimentale un piano di finanziamento a sostegno della prevenzione, realizzato purtroppo in modo non pienamente corrispondente agli obiettivi prefissati e di cui ancora si attende un bilancio ufficiale dei risultati qualitativi.

Ne ricordiamo solo alcuni dei criteri individuati dalla Fondazione di Dublino, i più significativi. In linea di principio, i sistemi d’incentivazione economica alla prevenzione devono essere indirizzati al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza del lavoro, al di là di quanto prescritto dalla legislazione in materia, per promuovere la realizzazione di standard più elevati. Occorre notare in proposito che un intervento pubblico a sostegno finanziario delle imprese per l’adeguamento a requisiti previsti dalle Direttive europee potrebbe incorrere nella scure della Commissione Ue sotto il profilo del mancato rispetto delle regole della concorrenza. Il sistema, inoltre, deve promuovere sforzi anziché risultati. Quella che va perseguita è una riduzione del rischio, non la diminuzione del numero degli infortuni registrati. Quest’ultimo elemento dev’essere incluso nel sistema, ma non è il primo segnale possibile sul quale basare gli indirizzi di prevenzione. Basti dire che nella singola piccola o media impresa il numero degli infortuni registrato è troppo limitato per poter costituire una base statisticamente affidabile per definire sostegni economici alla prevenzione.

Il modello d’incentivazione economica dev’essere quindi concepito in modo multivariato e non su un sistema unico. Secondo i presupposti sopra elencati, la Fondazione di Dublino, nelle conclusioni della ricerca citata, individua tre linee d’intervento: a) sul versante assicurativo, articolazione del premio con sistema di abbuoni basato sul calcolo dei rischi esistenti e futuri, assumendo quindi carattere anticipativo; b) forme d’aiuto all’investimento in prevenzione e sicurezza, certificate da società specializzate; c) riconoscimento di marchi commerciali di “eccellenza” per i prodotti realizzati in ambiente di lavoro sicuro.

Perché dunque ricominciare sempre da zero e pretendere di affrontare il problema generale da un punto di vista parziale? La questione salute e sicurezza richiede invece un approccio sistemico e già sono disponibili i presupposti d’analisi e di merito da cui partire per farlo. Ci riferiamo ai risultati dell’indagine parlamentare del 1997-2000 (commissione Smuraglia), che aveva individuato i punti critici del sistema e suggerito le strade da percorrere per superarli. Ci riferiamo a “Carta 2000”, il tentativo più organico compiuto da un governo della Repubblica per unire le parti sociali e le istituzioni pubbliche (Regioni, Ispesl, Inail ecc.) in un grande progetto strategico di miglioramento delle condizioni di lavoro, a cui l’attuale governo non ha voluto dare seguito, dedicandosi a un disegno di riordino della normativa (Testo unico) che guarda solo agli interessi di una parte, con una visione così retriva, che si è attirato addosso non solo la bocciatura da parte del sindacato, ma anche solenni pareri negativi del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata delle Regioni (disponibili in http://www.cgil.it/saluteesicurezza).

Ma a che punto è la proposta governativa di Tu? L’interrogativo si pone, perché i tempi ormai stringono rispetto alla scadenza fissata al 30 giugno prossimo dalla più recente proroga ottenuta. Basti pensare che alle commissioni parlamentari devono essere concessi 60 giorni per poter esprimere i loro parere e quindi entro la fine di questo mese il governo deve trasmettere il testo definitivo alle Camere. Le consultazioni con le parti sociali sono iniziate dai primi di febbraio, ma ancora non sono stati esauriti tutti gli argomenti all’ordine del giorno. E da un mese gli incontri sono stati interrotti. Il Tu sembra quindi in alto mare. Ancora nulla si sa circa i risultati tangibili delle consultazioni. Alla disponibilità dichiarata a rivedere diversi punti nodali, in particolare quelli sollevati da Cgil, Cisl e Uil, su cui si è registrata un’ampia convergenza da parte delle Regioni e delle associazioni scientifiche e professionali (principio della massima sicurezza tecnicamente fattibile, valore delle norme di buona tecnica e di buone prassi, sistema sanzionatorio, documento di valutazione dei rischi, computo lavoratori, attribuzioni degli Rls, ruolo degli organismi paritetici ecc.), non ha ancora fatto seguito una nuova versione del testo. Dati i tempi ormai ristrettissimi, urge una verifica delle modifiche apportate, “nero su bianco”.


(www.rassegna.it, 12 aprile 2005)

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