19.04.2005
Il 25 aprile - Una festa della libertà . Di Massimo Lomonaco
Guerra della memoria e uso politico: la Resistenza continua a essere tema di divisione. E non può essere altrimenti, visto che dalla lotta di liberazione è nata la Repubblica così come la conosciamo, ovvero 'antifascista'. Resta dunque ancora oggi memoria non condivisa: da una parte difesa a spada tratta, dall'altra continuamente ridimensionata. Filippo Focaroli nel libro «La guerra della memoria» (Laterza, pp.363, 20 euro) analizza l'uso che ne è stato fatto nel dibattito politico dal 1945 ad oggi e individua negli anni Ottanta, quando Craxi lanciò la sua sfida al Partito comunista per l'egemonia della sinistra, la «crisi della memoria della Resistenza e del 'paradigma antifascista'». Accanto ad un indubbio effetto benefico, la sfida «produsse però come effetto più o meno intenzionale, lo scatenarsi di tutte quelle forme di critica alla Resistenza da sempre circolate in ampi settori dell'opinione pubblica del paese...». Il crollo del comunismo, la crisi del sistema della Prima Repubblica hanno accelerato poi la crisi della «narrazione e del paradigma antifascista»: si è fatta così pressante «la richiesta di una nuova memoria pacificata corrispondente al nuovo assetto bipolare del sistema politico italiano». E questo è l'attuale tavolo sul quale si sta giocando la partita. In molti si sono opposti ai numerosi tentativi di mettere a repentaglio i fondamenti stessi di quella memoria: basti ad esempio ricordare la proposta di fare del 25 aprile semplicemente «una festa della libertà ». Per Focaroli, la proposta «più incisiva di riattivazione delle memoria della Resistenza» è arrivata dal presidente Ciampi con il suo forte richiamo «ai valori nazionali». Tuttavia, a giudizio dello storico, nel «patriottismo costituzionale di Ciampi» c'è una falla: all'enfasi data alla dimensione patriottica della guerra di liberazione, non è corrisposta una forza uguale nella condanna delle colpe del fascismo. Per Roberto Chiarini, autore del libro «'25 aprile. La competizione politica sulla memoria» (Marsilio, pp.119, 9 euro) invece la Resistenza ha da subito oscillato tra una memoria «impolitica» (quella «grigia», propria delle forze di centro) e una «iper-politica» (la «rossa», propria della sinistra). «La prima - scrive Chiarini - per così dire anoressica di storia e di politica, ossia carente nell'adempiere il dovere civico di chiarire a sé e al paese intero il senso (cause, responsabilità , conseguenze) di quel passaggio cruciale». La seconda, invece, «bulimica, ossia portata a nutrirsi, continuamente e solo, di antifascismo fino ad elevarlo addirittura a dimensione esistenziale di democrazia». E questo ha comportato che l'antifascismo si sia caricato agli occhi dei suoi avversari del «significato di espediente ideologico utile a disarmare l'anticomunismo e si è connotato perciò come attributo proprio del comunismo». Anche per Chiarini è fondamentale il crollo del comunismo, alla fine degli anni '80, e il cessato allarme per una possibile involuzione autoritaria del paese, almeno sotto la specie del fascismo storico. E da quel momento che si è auspicata «una memoria condivisa» come «unico retroterra ideale e orale, capace di rendere operante una «democrazia compiuta, ossia la cosiddetta democrazia dell'alternanza». E qui Chiarini offre la sua indicazione: la condivisione della memoria non può ovviamente significare la condivisione della stessa memoria da parte dei combattenti delle opposte trincee, né la parificazione delle ragioni.
L'articolo intero su: http://www.lasicilia.it/giornale/1804/terza_pagina/cs01/a04.htm
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