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Il lavoro che cambia. Le proposte dei DS e dell'Ulivo.
31.05.2003
PER IL LAVORO
IL PROGRAMMA DEI DS E DELL'ULIVO

Nel corso dell’ultimo anno, in materia di diritti del lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, come garantisce la nostra Carta Costituzionale, è stato elaborato un organico progetto di riforme da parte di tutte le forze dell’Ulivo. Esso completa quelle approvate dal governo di centro sinistra nella scorsa legislatura, spesso utilizzando risultati di commissioni di studio che non sono arrivati a completare il percorso istituzionale, e si contrappone alle iniziative dell’attuale maggioranza che noi riteniamo inadeguate, sbagliate e peggiorative per la condizione dei lavoratori. La battaglia di opposizione continua ad essere incisiva, propositiva, alternativa sui grandi temi economici, sociali e del lavoro.
Le nostre riforme degli anni passati sono state costruite con la concertazione sociale e non con la rottura dell’unità sindacale come è avvenuto con le iniziative di questo governo. Nella nostra concezione le riforme che interessano milioni di persone devono essere costruite col consenso. Per questo vogliamo continuare col metodo della concertazione, aprendo la discussione a partire dal pacchetto di proposte già presentate in Parlamento.
Le nostre riforme hanno contribuito a regolare il mercato del lavoro per rendere sostenibile la flessibilità e hanno favorito la creazione di occupazione ‘buona’. Gli effetti sono stati positivi perché si sono creati in 5 anni oltre 1.500.000 nuovi posti di lavoro, in larghissima misura a tempo indeterminato.

L’attuale governo non fa niente per sostenere lo sviluppo economico e contrastare il declino e al contrario propone una riforma del lavoro all’insegna della prevalenza delle ragioni dell’impresa; della precarizzazione del lavoro, utilizzato come merce al momento in cui serve, senza alcun riguardo alla persona che lavora; della destrutturazione del lavoro, cercando di annullare le conquiste degli ultimi cinquanta anni.
Negli atti di questo governo, l’idea centrale è che la competitività del sistema si ottenga riducendo i costi e limitando i diritti.
Noi contrapponiamo una visione diversa, proposte diverse che puntano sulla ‘qualità’ come questione centrale per lo sviluppo: qualità della vita e qualità del lavoro; conciliazione tra vita professionale e vita familiare e personale; maggiore competitività ottenuta con aumento della capacità produttiva, investimenti, ricerca e innovazione.
E diritti. Sì, perché i diritti sono il nucleo fondamentale, il fattore positivo per la competitività del Paese.

La legge appena approvata (la legge 30/2003), che delega il Governo a intervenire per riformare la legislazione del lavoro, accrescerà le flessibilità in modo squilibrato, senza fornire nessuna sicurezza alle lavoratrici e ai lavoratori.
Il peggioramento si realizza utilizzando una varietà caotica e confusa di tecniche, che hanno come obiettivo comune quello dello stravolgimento delle regole. Questo avviene in alcuni casi indirettamente, smontando alcuni dei tasselli della disciplina vigente, con il risultato di cercare di far franare l’intera costruzione; in altri abrogando completamente quelle leggi ritenute di maggior valore simbolico, come nel caso del divieto di mascherare dietro un datore di lavoro fittizio l’effettivo utilizzatore della prestazione, arrivando a rendere impossibile la stessa individuazione dei confini dell’impresa; in altri ancora manipolando e intorbidendo le relazioni sindacali, sia tra il singolo e suoi rappresentanti, sia tra organizzazioni sindacali; in altri, infine, modificando da subito la disciplina vigente, come nel caso dei rapporti di lavoro dei soci di cooperative (ultima legge in materia di lavoro della scorsa legislatura), ripristinando la prevalenza del rapporto associativo sul rapporto di lavoro.

Ancora oggi, con il disegno di legge 848 bis, il governo insiste nella battaglia ideologica contro l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, mentre fa promesse inconsistenti in tema di ammortizzatori e di sicurezza sociale. La sperimentazione della riduzione del campo di applicazione della tutela reale nei licenziamenti introdurrebbe un’ulteriore e inaccettabile frammentazione nel campo dei diritti del lavoro, potenzialmente foriera di una complessiva destrutturazione del sistema delle garanzie.

Noi contrastiamo queste politiche ma NON CI LIMITIAMO A DIRE NO. Al governo contrapponiamo proposte organiche come quelle qui presentate, che proseguono nell’impegno a modernizzare il mercato del lavoro, con regole e garanzie di tutela per tutte le lavoratrici e i lavoratori, soprattutto per quelli più esposti ai rischi della precarietà.
Le nostre proposte rispondono a un’idea di sviluppo diversa da quella del governo, basata non sulla esasperata flessibilizzazione e sulla compressione dei costi del lavoro, ma sulla qualità del lavoro e dell’impresa, che vuole coniugare modernità con tutele per tutte le persone che lavorano.
Noi riteniamo importante promuovere tutti i lavori anche nelle forme nuove, flessibili e autonome; ma vogliamo che la flessibilità non sia pagata con precarietà e con insicurezza intollerabili. Consideriamo centrale per la nostra azione politica l’impegno per il lavoro, per una piena e buona occupazione.
Abbiamo espresso questo impegno avanzando proposte concrete per promuovere il lavoro, tutti i lavori, e per estendere i diritti. La scelta è quella di intervenire con un sistema di diritti e di tutele attive dell’occupazione e del reddito, mediante strumenti che garantiscano sicurezze ai bisogni di protezione di tutte le lavoratrici e i lavoratori, non solo di quelli subordinati. Il riferimento costante alle donne e agli uomini che svolgono un’attività di lavoro non è solo simbolica, ma riguarda i contenuti e rende palese l’attenzione ai temi su cui maggiormente si sono impegnate le donne: dai divieti di discriminazione alla lotta contro le molestie sessuali e al mobbing.
Vogliamo mantenere i diritti e le tutele esistenti per le lavoratrici e i lavoratori subordinati, a cominciare da quelle sancite dallo Statuto dei lavoratori del 1970, e vogliamo offrire diritti e tutele adeguati anche a coloro che ne sono privi: agli atipici, ai temporanei, ai milioni di lavoratori giuridicamente autonomi, che però sono economicamente dipendenti: i c.d. parasubordinati, i collaboratori di varia natura (co.co.co.).
Su circa 21 milioni di occupati in Italia, meno della metà sono coloro che godono delle garanzie dello Statuto dei lavoratori. Oggi il lavoro è cambiato. Esistono molti nuovi lavori che danno vita a situazioni particolari, diverse le une dalle altre. Alcuni sono stabili, altri sono temporanei. C’è chi lavora a tempo pieno e chi a tempo parziale, chi lavora a tempo indeterminato e chi a termine o con impiego temporaneo tramite un’agenzia di lavoro interinale, chi lavora con contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
Con le nostre proposte offriamo diritti e strumenti normativi a tutte le lavoratrici e i lavoratori: non solo ai subordinati, ma anche agli economicamente dipendenti, cioè ai collaboratori di varia natura. Non intendiamo però coprire abusi e tollerare il lavoro subordinato mascherato sotto altre forme (ad esempio, con forme improprie di collaborazione coordinata e continuativa). E pensiamo che il lavoro a tempo indeterminato resti, in Italia e in Europa, il modello da privilegiare e incentivare. La stabilità nel lavoro deve rimanere un obiettivo centrale.

L’Europa chiede che la flessibilità nel lavoro sia strettamente connessa alla sicurezza. Non è vero che si deve passare da un sistema che protegge la lavoratrice e il lavoratore nel posto di lavoro ad un sistema che li protegge nel mercato del lavoro. Non si tratta di alternativa o di contrapposizione, ma di integrazione tra le due finalità fondamentali del diritto del lavoro. I diritti non seguono regole matematiche, non devono essere abbassati se diffusi a una base più ampia di persone.

Il progetto organico in materia di lavoro non è il Libro dei sogni. L’aver voluto presentare articolati di legge e non solo affermare principi ha consentito di misurarsi sulle soluzioni concrete, dimostrando che la riforma è possibile, una riforma che continui nel solco di quelle attuate dal governo di centro sinistra e consenta di realizzare l’obiettivo europeo dell’espansione dell’occupazione di qualità.
Il progetto è composto da una quattro proposte legislative, che sono da considerare tasselli equilibrati e coerenti di un unico disegno riformatore, tra loro strettamente collegati e che parlano il medesimo linguaggio, dedicando attenzione all’inclusione di tutte le persone che lavorano, tenendo conto delle specificità delle diverse forme di lavoro:
Ø la “Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori” (A. S. n. 1872 del 4 dicembre 2002, A.C. n. 3133 del 5 settembre 2002),
Ø i “Diritti di sicurezza sociale in materia di lavoro e del reddito” (A. S. n. 1674 del 2 agosto 2002, A.C. n. 3134 del 5 settembre 2002);
Ø la “Riforma del processo del lavoro” (A. S. n. 2144 del 28 marzo 2003, A.C n. 3777 del 13 marzo 2003);
Ø - gli “Interventi urgenti per il riconoscimento a tutti i lavoratori di una ‘rete comune di diritti di cittadinanza’ e misure urgenti di politiche attive del lavoro orientate alle piccole e medie imprese” (A. S. n. 2225 del 29 aprile 2003);
- Disposizioni in materia di estensione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori (A.C. n. 3902 del 15 aprile 2003).
Su ciascuno di questi temi abbiamo idee chiare e diverse da quelle del governo. Loro vogliono colpire i diritti, noi vogliamo far crescere l’occupazione e migliorare la qualità della vita delle persone, rispettando la loro libertà di scelta.


SENZA LAVORO, SENZA PENSIONE, SENZA FUTURO?
LA RETE COMUNE DI DIRITTI DI CITTADINANZA NEI PRIMI INTERVENTI URGENTI
Il progetto di INTERVENTI URGENTI SULLA RETE COMUNE DI DIRITTI DI CITTADINANZA, presentato alla stampa il 16 aprile 2003, raccoglie le disposizioni di più urgente e immediata applicazione, individuate come misure di primo intervento, particolarmente necessarie per fronteggiare l’attuale difficile situazione economica, specie delle piccole imprese, e per fornire immediata estensione a tutte le lavoratrici e i lavoratori di una rete comune di ‘diritti di cittadinanza’, che comprenda la vasta platea di soggetti che oggi, a vario titolo, sono privi di tutela, sia nel rapporto di lavoro sia nel mercato.
L’obiettivo è quello di raccogliere in un unico testo, su cui chiedere l’immediata discussione in Parlamento, l’elaborazione dell’Ulivo destinata a introdurre diritti e garanzie per coloro che lavorano e non hanno un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; ad aumentare la protezione in caso di licenziamento, innalzando la tutela obbligatoria nei territori a più alto tasso di disoccupazione, introducendo l’obbligo del piano sociale d’impresa, anche con riferimento ai collegamenti societari nei gruppi di imprese, e nel contempo attribuendo agevolazioni contributive e finanziarie alle piccole e medie imprese che intendono incrementare l’occupazione; a migliorare gli strumenti di politica attiva del lavoro; a rendere più veloce la soluzione delle controversie qualora sia in gioco la salvaguardia del posto di lavoro.

Anche queste proposte si contrappongono a quelle del governo, che si limitano a proporre un aumento dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori che già ne godono, ma non estendono la tutela né ai lavoratori precari e parasubordinati, né ai dipendenti delle piccole imprese, con proposte inadeguate nei contenuti, nell’estensione e nelle risorse finanziarie stanziate.
Questo invece costituisce un punto fondamentale della proposta dell’Ulivo. Noi proponiamo una vera riforma di queste tutele, estendendo cassa integrazione e indennità di disoccupazione a tutti i lavoratori, soprattutto a quelli più esposti a rischio di precarietà (atipici, co.co.co., dipendenti di piccole imprese). In questo modo vogliamo creare una rete di sicurezze per ottenere un mercato del lavoro che sia flessibile ma governato. Tale rete di sicurezza deve essere non assistenziale ma attiva. Deve cioè accompagnarsi con servizi efficienti di impiego, con misure di sostegno al lavoro e con forti investimenti in formazione, per migliorare la professionalità, facilitare l’inserimento e il reinserimento dei lavoratori in difficoltà. E’ inoltre necessario dare sicurezza a questi lavoratori anche per la carriera pensionistica. Soprattutto per i lavoratori precari e intermittenti proponiamo di sostenere con contributi figurativi la continuità del loro percorso pensionistico. Altrimenti non raggiungerebbero livelli di pensione accettabili.
Si intende saldare questo nuovo e più esteso sistema di diritti per le lavoratrici e i lavoratori con la necessità di un efficace sistema di politiche attive del lavoro che riconosca le peculiari esigenze di tutela e le corrispondenti potenzialità di crescita delle piccole e medie imprese, individuate come i soggetti economici più dinamici e reattivi ai mutamenti congiunturali, ma anche più fragili e vulnerabili soprattutto in termini di tutela dei livelli occupazionali nelle fasi di crisi e di riconoscimento di adeguati sostegni del reddito per coloro che lavorano.

Sono introdotti nuovi diritti e garanzie per coloro che lavorano al di fuori dello schema tipico del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, in particolare, per i titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, di contratti di formazione e lavoro e per gli apprendisti.
In attesa di un intervento organico, che riconduca ad unità gli attuali contratti formativi esistenti, quello di apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, si intende dettare una disciplina di tutela dello svolgimento del rapporto di lavoro, con particolare riferimento ai casi di sospensione legittima della prestazione, di tutela previdenziale, di garanzie in caso di licenziamento. E’ opportuno ricordare, a questo proposito, come attualmente l’apprendista non goda nemmeno dell’indennità di malattia.
Si mira inoltre a disegnare una disciplina della collaborazione coordinata e continuativa, costruita sull’attribuzione di diritti, senza puntare alla pura e semplice omologazione coi lavoratori subordinati, non attuabile data la tipologia del rapporto quando questo è autenticamente diverso dal lavoro subordinato. Questo comporta l’esigenza di ribadire la volontà di contrasto dell’uso improprio della collaborazione quale lavoro subordinato mascherato.
Sono posti i pilastri fondamentali della disciplina, a partire dagli elementi essenziali del contratto di collaborazione, per arrivare all’estensione della tutela previdenziale e alla disciplina del recesso.

Queste tutele nuove sul mercato del lavoro si devono accompagnare con quelle che riguardano il rapporto di lavoro subordinato, che noi continuiamo a ritenere essenziali. Per questo abbiamo detto e continuiamo a sostenere che l’art. 18 dello Statuto non si tocca.
Abbiamo proposto un miglioramento del risarcimento per i lavoratori nelle piccole imprese ingiustificatamente licenziati. Prevediamo, infatti, l’aumento della protezione in caso di licenziamento, innalzando il livello economico della tutela a seconda dell’anzianità e del tasso di disoccupazione del territorio.
Abbiamo anche previsto il rafforzamento delle tutele in caso di licenziamenti collettivi: migliori procedure di informazione ai sindacati, obbligo dell’impresa di prevedere un piano sociale per evitare la riduzione di personale, anche con l’introduzione di regimi flessibili dell’orario, e per curare la ricollocazione e la riqualificazione professionale dei lavoratori, secondo anche le indicazioni comunitarie sulla responsabilità sociale dell’impresa.
Ancora nel campo del licenziamento abbiamo previsto che sia posta a carico del datore di lavoro la erogazione di somme in ogni caso di interruzione del rapporto per sua scelta (come nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per riduzione di personale) o per motivi a suo carico (come le dimissioni del lavoratore per giusta causa).

Nel rispetto delle competenze regionali, sono poi previste agevolazioni contributive e incentivi all’espansione occupazionale, nonché i principi fondamentali delle politiche attive in materia di formazione e riqualificazione professionale, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese, considerate non solo in relazione al numero di lavoratori occupati ma anche alla potenzialità economica e ai collegamenti tra imprese.
Prevedere un ponderato rafforzamento della protezione contro i licenziamenti, accompagnato da corrispondenti agevolazioni contributive e finanziarie per le piccole e medie imprese, significa accogliere le istanze di adeguamento alla realtà che provengono dai diversi territori del Paese e dai vari settori economici e produttivi. In questo senso, il provvedimento proposto recepisce anche un ulteriore dato suggerito dalla concreta configurazione del sistema economico: la progressiva diffusione dei collegamenti societari, per i quali occorrono strumenti e procedure peculiari, anche per evitare una diluizione o elusione delle garanzie per i lavoratori.

Questo quadro è completato da un insieme di misure che si candidano a costituire un primo intervento di riforma del processo del lavoro, orientato a garantire certezza e celerità nella soluzione delle controversie. L’obiettivo è di dare effettività a un sistema di tutele oggi di fatto compresso da un’eccessiva durata del giudizio.
Si prevede di introdurre una procedura d’urgenza, più snella e idonea a garantire la certezza delle situazioni giuridiche, per la soluzione delle controversie in materia di licenziamenti, di trasferimenti e di recesso anticipato del committente nei rapporti di lavoro economicamente dipendente. Per la stessa finalità, con esclusivo riguardo ai licenziamenti disciplinari, si regola con maggior dettaglio la procedura di conciliazione ed arbitrato, già prevista nello Statuto dei lavoratori, garantendo la sospensione del licenziamento.

LA RIFORMA DEGLI \"AMMORTIZZATORI\"
MI HANNO LICENZIATO, MA CE LA POSSO FARE
La Carta dei diritti individua i principi ispiratori della riforma degli ammortizzatori sociali. Questi poi sono specificati e arricchiti nel progetto di legge dedicato ai DIRITTI DI SICUREZZA SOCIALE IN MATERIA DI TUTELA ATTIVA DEL LAVORO E DEL REDDITO, che supera la stessa nozione, ormai inadeguata, di ammortizzatori sociali.
La necessità di affrontare questi temi si lega alla centralità che essi rivestono nell’attuale momento politico e sindacale e all’esigenza di contrapporre una organica riforma alle proposte del governo che sono del tutto inadeguate nei contenuti, nell’estensione e nelle risorse finanziarie stanziate.
Un sistema efficiente e universale di sicurezza sociale è una priorità della nostra politica e un presupposto fondamentale perché le flessibilità del mercato del lavoro siano sostenibili.
L’obiettivo è quello di disegnare un sistema di tutele attive dell’occupazione e del reddito, mediante strumenti che soddisfino i bisogni di protezione di tutte le lavoratrici e i lavoratori, non solo di quelli subordinati, rispondente alle migliori politiche sperimentare nei paesi europei.
La proposta contiene una riforma organica degli ammortizzatori sociali e dei contratti con finalità formativa. Le politiche occupazionali risultano così integrate con le politiche formative finalizzate all’occupazione, con le politiche di sostegno e di integrazione del reddito da lavoro e con le politiche di inclusione sociale, consentendo di evitare che risulti più conveniente ricorrere all’assistenza e alla previdenza che non lavorare e garantendo l’estensione dei diritti alla tutela contro la disoccupazione a tutti i lavori e in tutte le imprese, anche nelle più piccole.

Viene proposta l’istituzione del nuovo contratto formativo, che sostituisce sia il contratto di formazione e lavoro, sia l’apprendistato, potenziando i contenuti della formazione, sia essa interna o esterna all’azienda, e disciplinando il rapporto di lavoro in tutte la fasi del suo svolgimento. Occorrono nuove regole che garantiscano certezza di diritti, in caso di malattia, di infortunio, di maternità, di paternità, …
A fianco del nuovo contratto formativo destinato solo ai giovani, è previsto un contratto di inserimento lavorativo, connesso all’attuazione di un progetto formativo ma destinato alle cosiddette ‘fasce deboli’ del lavoro.

L’assicurazione contro la disoccupazione è estesa a tutte le persone con contratto di lavoro subordinato, anche in forma discontinua, o che svolgono attività di lavoro caratterizzate da una situazione di dipendenza economica. L’estensione avviene introducendo forme che evitino il verificarsi di comportamenti opportunistici.
Ci si orienta verso un modello universalistico, che risponde alle esigenze del lavoratore sia nel caso di disoccupazione (indennità di disoccupazione), sia nel caso di sospensione del rapporto di lavoro (trattamento di integrazione salariale). I trattamenti non si differenziano più in base al settore e nemmeno in base al tipo di licenziamento. In particolare, viene a cadere la macroscopica differenza di trattamento attualmente esistente tra i lavoratori licenziati per riduzione di personale, da parte di imprese con più di 15 dipendenti, che rientrano nel campo di applicazione del trattamento di integrazione salariale, e i lavoratori licenziati individualmente.
E’ previsto il superamento dell’attuale frammentazione fra indennità ordinarie e speciali di disoccupazione e indennità di mobilità, con una razionalizzazione che porta a due sole indennità: una di base uguale per tutti i lavoratori e una a requisiti ridotti, per tutti coloro che hanno un’occupazione limitata nel tempo. Rispetto alla situazione attuale, il trattamento è elevato nella durata e nell’importo e quello a requisiti ridotti non è più distinto tra i diversi settori produttivi e l’erogazione è subordinata a test di mezzi. Il miglioramento del trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti fa leva anche sul coordinamento fra questo intervento di integrazione del reddito e una ulteriore forma di sostegno finalizzata a incentivare successive giornate di svolgimento di attività lavorativa.

Il trattamento di cassa integrazione guadagni è esteso a tutti i dipendenti, anche nelle piccole imprese e nei settori finora scoperti. E questo senza oneri a carico dei datori di lavoro, ma con un meccanismo che dà attuazione alla fiscalizzazione dei contribuiti per gli assegni familiari, prevista dal Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 1998 (ultimo patto della concertazione unitaria).
Il trattamento di cassa integrazione è equivalente all’indennità di disoccupazione.
Ai Fondi bilaterali di origine contrattuale è affidata la possibilità di introdurre migliori condizioni di trattamento.

Per le lavoratrici e i lavoratori discontinui e per quelli economicamente dipendenti è prevista una integrazione dei redditi da lavoro, anche al fine di incentivare la convenienza a proseguire nello svolgimento di attività lavorativa.
A favore delle lavoratrici e dei lavoratori economicamente dipendenti è introdotta una integrazione contributiva a fini pensionistici, per garantire una migliore pensione, nonché la totalizzazione e la ricongiunzione dei periodi contributivi.

Ai giovani è riconosciuto l’accesso a una dotazione finanziaria di capitale da utilizzare in progettualità per il futuro, in particolare in formazione. Tale dotazione prende la forma di un prestito di 15.000 euro, solo in parte da restituire, con tempi e modalità differenziati a seconda delle condizioni di reddito.

E’ previsto un conto sicurezza individuale per i soggetti che svolgono attività temporanee, diretto a soddisfare rilevanti esigenze di vita come il pagamento di mutui per la casa o le tasse scolastiche.

Gli oneri per l’attuazione del sistema sono stimati, a regime, nell’ordine di 4,5 miliardi di euro.


UNA \"CARTA\" PER METTERE INSIEME UN BUON LAVORO E UNA BUONA VITA
LA CARTA DEI DIRITTI DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI costituisce il quadro generale della nostra proposta, che viene poi specificato dagli altri disegni di legge. Con questo testo ci si vuole collegare alla nostra Costituzione e dare attuazione alla Carta europea di Nizza del dicembre del 2000. La Carta dei diritti non sostituisce, ma integra lo Statuto dei lavoratori del 1970. Essa mette al centro il riconoscimento dei diritti fondamentali e universali di cittadinanza sociale a tutte le donne e tutti gli uomini che lavorano.
La Carta stabilisce un sistema di tutele per tutte le forme di lavoro, graduato e modulato secondo le modalità, i vincoli della prestazione e i bisogni effettivi di riconoscimento di diritti e di protezione.
Il sistema modulare di diritti tiene conto delle differenze e intende fornire risposta alle specifiche esigenze dei vari lavori che caratterizzano il mondo attuale. La modulazione non deve tradursi né in un abbassamento del livello garantito a chi svolge lavoro subordinato, né in una sorta di protezione minore o ‘di serie B’ per chi svolge un lavoro economicamente dipendente o un lavoro autonomo. Modulare i diritti significa offrire le stesse tutele a tutti, tenendo conto delle differenze esistenti nei lavori.
Si può fare?
Certo che si può!

La Carta porta alla ridefinizione lungo una scala continua delle diversificate forme di lavoro oggi esistenti, partendo da una protezione di base comune a tutti i tipi di lavoro, per procedere poi gradualmente verso normative e tutele differenziate e ulteriori.
La rete di diritti e di tutele di base è comune a tutti e ha carattere generale: dal momento in cui ci si forma e si entra nel mondo del lavoro, al momento in cui si svolge una prestazione di lavoro subordinato, economicamente dipendente o autonomo.
Per la prima volta si riconoscono e si regolano insieme, sia pure tenendo conto dei diversi destinatari, diritti fondamentali:
- alla dignità e alla libera manifestazione del pensiero
- alla intangibilità della sfera personale e sessuale (molestie)
- alla tutela contro i comportamenti persecutori (mobbing)
- alla non discriminazione
- alla salute e sicurezza sul lavoro
- al sostegno della maternità e della paternità e alla conciliazione tra tempo di vita e tempo di lavoro
E si riconoscono i diritti legati a:
- politiche attive del lavoro
- incentivi all’occupazione
- formazione continua e permanente
- sostegno alla continuità del reddito, alla previdenza e alla sicurezza sociale.
Il tutto nella prospettiva di dare effettività alla promozione della piena e buona occupazione.

Dopo la rete comune di diritti per tutti i tipi di lavoro, la Carta entra nel dettaglio per quanto riguarda le lavoratrici e i lavoratori economicamente dipendenti, in particolare per coloro che prestano collaborazioni coordinate e continuative. In questa parte, si mira a disegnare una disciplina ‘leggera’ del lavoro economicamente dipendente senza puntare alla pura e semplice omologazione coi lavoratori subordinati. Nel contempo si sottolinea la volontà di contrasto al lavoro subordinato mascherato.
In particolare sono previsti: la comunicazione dei contenuti del contratto, il diritto al compenso equo e a condizioni di lavoro eque e giuste, il diritto all’astensione dalla prestazione e a percepire compensi o indennità in caso di infortunio, malattia, gravidanza, maternità, paternità, congedo parentale, cura e assistenza di familiari. Tra i diritti, sono inoltre riconosciuti quelli alla salute e alla sicurezza, all’informazione, ai diritti sindacali, alla sicurezza sociale e, in particolare, alla tutela previdenziale pensionistica adeguata e alla salvaguardia delle esigenze socialmente rilevanti durante i periodi di discontinuità del lavoro. Dettagliata disciplina è dedicata al recesso ingiustificato dal rapporto.

La Carta si occupa anche di alcuni aspetti finora trascurati che riguardano le lavoratrici e i lavoratori subordinati, tra cui quello alla formazione.

Le tutele non sono più solo quelle nel rapporto di lavoro, che riguardano il ‘posto’ di lavoro ma anche quelle che proteggono le lavoratrici e i lavoratori nel mercato del lavoro, nelle attività diversificate e mobili che sono sempre più comuni.
Per questo nella Carta dei diritti hanno importanza centrale sia la formazione lungo l’intero arco della vita lavorativa, sia le forme di tutele attive di sostegno del reddito adatte alle caratteristiche delle attuali modalità di svolgimento dei lavori.

La formazione deve diventare un diritto fondamentale per tutti coloro che lavorano, da esercitare anche individualmente.
Comporta:
- il diritto di accesso gratuito alle informazioni riguardanti le offerte di lavoro e formative a livello territoriale, nazionale ed europeo, ai servizi per l’impiego generali e/o specifici nei primi sei mesi di inoccupazione e, nei dodici mesi successivi alla perdita di un impiego, il diritto di ricevere una proposta formativa, di riqualificazione o di lavoro e di usufruire di servizi per l’analisi individuale dei fabbisogni professionali e di bilanci delle competenze, al fine di valutare e di riorientare i propri percorsi professionali, comprese quelle competenze trasversali che possono essere acquisite durante lavori di assistenza e di cura, ancorché non rivolti al mercato del lavoro e non retribuiti;
- il diritto di accesso, anche tramite appositi assegni individuali formativi, ai finanziamenti pubblici e privati e ai benefici economici destinati a promuovere la formazione come investimento sociale;
- più in generale il diritto a sospendere la prestazione di lavoro economicamente dipendente o subordinato per poter completare la propria formazione.

Il mercato del lavoro attuale non richiede maggiore flessibilità, ma richiede incentivi mirati alla buona occupazione e migliori servizi per favorire l’incontro fra domanda e offerta, per sostenere nell’accesso al lavoro tutte le lavoratrici e i lavoratori, specie quelli più bisognosi di aiuto. Ma nel percorso lavorativo di ciascuno, anche del lavoratore più forte e professionalizzato, viene sempre il momento in cui si ha bisogno di una rete di garanzie, se non altro per migliorare la propria formazione o per avere tempo da dedicare alla vita familiare o personale.
La Carta dei diritti stabilisce che questi incentivi e servizi siano potenziati e amministrati sul territorio, ad opera delle regioni e degli enti locali che hanno competenza in materia.





GIUSTIZIA NELLE CAUSE DEL LAVORO
LA RISPOSTA DEVE ARRIVARE IN POCHI MESI

La questione della tutela reale e non solo economica contro i licenziamenti illegittimi, sancita dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, riguarda il profilo dei diritti di libertà e dignità delle persone nei luoghi di lavoro. Non può essere affrontata, come propone il governo, frammentando la disciplina legislativa, destrutturando il lavoro e destabilizzando il sistema. Insomma, introducendo ulteriori e sempre più intollerabili divisioni tra gruppi, tra gli occupati attuali e quelli futuri, tra i lavoratori regolari e quelli in nero, tra i territori del Paese.
Esiste una prospettiva di intervento su cui tutti possiamo concordare, perché è un nodo di fondo e perché parla il linguaggio dei diritti della persona: il diritto a ottenere giustizia in tempi rapidi e giusti. Mai come nella verifica di legittimità del licenziamento questo è vero.
Nell’attuazione della disciplina di tutela contro i licenziamenti ci si scontra con tempi di giudizio troppo lunghi.
Il posto di lavoro è un bene protetto ‘deteriorabile’ e la reintegrazione è sempre più difficile quanto più tempo passa dal licenziamento.
Questo avviene non per colpa di una magistratura inefficiente, come di nuovo sostiene il governo anche nel Libro bianco sulla riforma del mercato del lavoro, ma per le carenze strutturali e strumentali della giustizia.
Senza toccare la disciplina vigente, riteniamo opportuno intervenire sul piano del giudizio, per risolvere in pochi mesi un contenzioso che adesso può trascinarsi per molti anni.

La nostra proposta prevede una RIFORMA DEL PROCESSO DEL LAVORO con l’intenzione di garantire celerità e certezza alla soluzione delle controversie riguardanti i licenziamenti, i trasferimenti e l’apposizione del termine. Abbiamo previsto forme di definizione accelerata del giudizio su queste controversie e di valorizzazione delle procedure di conciliazione ed arbitrato, per renderle più efficienti.
Questa velocizzazione della giustizia del lavoro è decisiva perché gli attuali ritardi sono costosissimi sia per i lavoratori che per le imprese.
La stessa reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro è più difficile quanto più tempo passa dal licenziamento.
Il bilanciamento degli opposti interessi – della lavoratrice e del lavoratore alla conservazione del posto, del datore di lavoro all’organizzazione del lavoro – porta a intervenire non tanto sul merito della disciplina di tutela contro i licenziamenti, quanto sul procedimento in giudizio, costruendo una corsia privilegiata per tutte le controversie che abbiano ad oggetto il posto di lavoro.
Per imprimere velocità alla soluzione giudiziale, si escludono queste controversie dall’obbligo di conciliazione preventiva. Se però si tratta di licenziamento disciplinare, si promuove il ricorso alla procedura già prevista nello Statuto dei diritti dei lavoratori, rendendo più chiaro che il licenziamento va sospeso fino alla conclusione del procedimento.
E ancora, si cerca di rendere chiara la disciplina in materia di risarcimento del danno. Elemento fondamentale è quello della previsione del destino delle somme in caso di riforma della decisione nei vari gradi del giudizio.

La procedura d’urgenza si applica sia nell’ambito della tutela reale sia in quello della tutela obbligatoria; sia ai datori di lavoro privati sia alle pubbliche amministrazioni. E si uniforma la sua applicazione anche a tutti i casi di dichiarazione della nullità del licenziamento.
La procedura d’urgenza si applica anche al recesso del committente nel campo del lavoro economicamente dipendente e delle collaborazioni; alla verifica della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro; alle controversie in materia di trasferimenti da un posto di lavoro all’altro, da un datore di lavoro all’altro.
Il termine per l’impugnazione è di 120 giorni. La competenza è del Tribunale. L’ordinanza diventa irrevocabile in mancanza di reclamo in Appello. Successivamente si passa al giudizio di legittimità in Cassazione.
Altro elemento decisivo è la previsione che il giudice tratti con priorità queste cause. E’ evidente però che si deve contemporaneamente passare a individuare strumenti di deflazione del carico lavorativo dei giudici, completando la riforma con quella della conciliazione e dell’arbitrato.

E’ predisposta una riforma complessiva delle tecniche normative di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo sulla conciliazione, sull’arbitrato, sulla necessaria formazione di conciliatori e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie e sull’incremento dell’organico.
Il meccanismo disegnato intende valorizzare la conciliazione e l’arbitrato, con alcune significative varianti rispetto alla situazione esistente. La nostra proposta è che la conciliazione e l’arbitrato tornino ad essere la via alternativa alla giustizia ordinaria. Per ottenere questo risultato si deve trattare di una scelta facoltativa, rimessa alla contrattazione collettiva.
Nella nostra proposta rimane anche la conciliazione obbligatoria, ma questa viene incorporata nel procedimento giudiziario: la conciliazione è tentata dal giudice o da questi affidata a un conciliatore esperto, diventando una fase del ricorso.
Si evita così che l’aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell’apparato giudiziario, ostacolandone il funzionamento e si favorisce la conciliazione preventiva della lite, assicurando alle posizioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile attraverso il processo.
E’ espressamente prevista l’esclusione dell’obbligo di conciliazione per le controversie previdenziali, per i procedimenti sommari o d’urgenza, per le cause relative ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni privatizzate.

Con riferimento all’arbitrato, si propone di connotare l’istituto in modo tale da filtrare, in termini selettivi, il ricorso alla giustizia del lavoro al fine di consentire, a quest’ultima, di intervenire nelle controversie di maggiore rango con la dovuta professionalità e tempestività, e da costituire una reale attrattiva per la celerità e affidabilità del ricorso all’arbitrato.
Ma soprattutto si ritiene necessaria una formazione completa e specialistica della figura dell’arbitro – oltre che dei conciliatori – evitando di limitarsi a un semplice trasferimento di sede della soluzione della controversia. L’arbitro non può essere una figura analoga o derivata da quella del giudice e, in ogni caso, anche le figure professionalmente più complete sotto il profilo della conoscenza del dato giuridico vanno formate per i profili tipici che devono essere posseduti da un arbitro.
L’intervento si chiude con una opzione promozionale di favore nei confronti della risoluzione della controversia in sede conciliativa ed arbitrale, mediante il riconoscimento di benefici sugli importi monetari riconosciuti in favore della lavoratrice o del lavoratore.

Sono previsti anche interventi destinati a risolvere alcune questioni che riguardano il processo previdenziale, in particolare con riferimento agli accertamenti sanitari e alle controversie in serie.

L’obiettivo della riforma proposta è quello di mantenere fermo il processo del lavoro, così come disegnato nel 1973: processo speciale distinto dal rito ordinario, e di mantenere ferme le esigenze di mantenimento di garanzie, quali il vincolo del rispetto delle norme inderogabili di legge e di contratto collettivo, con conseguente impugnabilità del lodo per qualsiasi vizio, e di intervenire per migliorare la celerità del giudizio.


IL BENE DI TUTTI, L\'UNITA\' DEL PAESE
SI PUO\' FARE? CERTO CHE SI PUO\'!
Noi riteniamo che queste proposte nel loro complesso costituiscano una risposta organica e credibile alle iniziative del governo.
Sono anche una risposta alle esigenze di tutela dei dipendenti delle piccole imprese nell’attuale difficile contesto economico: ben più significativa di quella che vorrebbe dare il referendum di estensione dell’art. 18 alle imprese sotto i 16 dipendenti.

L’estensione dell’art. 18 contrasterebbe con la natura fiduciaria dei rapporti di lavoro nelle piccole imprese, come ha riconosciuto anche la Corte Costituzionale. Noi riteniamo che il referendum sia sbagliato anche perché crea divisioni nel mondo del lavoro invece che unirlo su obiettivi comuni. L’esigenza per i dipendenti delle piccole imprese non può risolversi con questo strumento referendario; è invece di essere protetti dal rischio che il loro posto di lavoro sia pregiudicato dalle crisi economiche in corso. Ed è questa protezione che noi vogliamo assicurare loro con le nostre proposte.

La battaglia per estendere i diritti e tutele nel mondo del lavoro, per unificare le diverse figure che operano nel mercato, è un’opera di lunga lena. Ha bisogno di una sapiente combinazione tra lotte sindacali ed iniziativa legislativa. Richiede che prevalga sempre la tensione unitaria, l’arma vincente che ha permesso ai lavoratori di compiere progressi importanti nelle condizioni di vita e di lavoro.

Chi governa un grande Paese come il nostro deve farlo curandosi dell’interesse generale e del benessere di tutti, non solo della parte che lo ha votato. Per questo occorrono coraggio, equilibrio e capacità d’ascolto. Requisiti che l’Ulivo ha dimostrato di possedere, se è riuscito nello scorso decennio a risanare il bilancio pubblico e a portare l’Italia nell’Euro senza gli scioperi che hanno caratterizzato il governo di Berlusconi-Bossi.
Noi pensiamo che sia meglio far camminare il Paese unito, insieme. Non il Nord contro il Sud, i ricchi contro i poveri, gli imprenditori contro gli operai. La democrazia ha bisogno del libero confronto delle idee e dei programmi e ha bisogno di un ‘progetto di società’ intorno al quale costruire il consenso di molti. Le nostre proposte vogliono andare in questa direzione.
Si può fare?
Certo che si può!
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