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BenedettoXVI, auguri ed interrogativi di M.Di Schiena
22.04.2005

BENEDETTO XVI: GLI INTERROGATIVI E L’AUGURIO

Calcoli del tutto approssimativi ci dicono che i cattolici sono circa un miliardo e quindi un sesto dell’intera popolazione mondiale. Ma di questo presunto miliardo quanti sono i credenti e quanti coloro che senza credere nelle «verità essenziali» della loro religione si riconoscono genericamente nella tradizione e nella cultura del cattolicesimo spesso peraltro interpretando l’una e l’altra in maniera del tutto soggettiva? E quanti poi di quelli che possono definirsi credenti sono dei veri e propri praticanti non solo per la loro partecipazione ai riti religiosi ma anche e soprattutto per scelte di vita fondamentalmente in linea con la dottrina e la morale cattolica? Sono domande che mettono la Chiesa di fronte ad una indiscutibile realtà: il popolo dei fedeli veramente tali costituisce sullo scenario mondiale una limitata minoranza che in occasione di significativi eventi o raduni riempie le piazze mentre le chiese rimangono vuote e si affollano più per tradizione che per fede solo nel corso di solennità particolarmente sentite.

Di fronte a questo scenario la Chiesa cattolica, «universale» nel senso che è chiamata ad annunciare il Vangelo a tutte le genti, può pensare di essere la sola depositaria di tutti i valori o deve ritenere che ve ne siano anche fuori da essa nelle sterminate moltitudini dei non cattolici? Deve vivere la sua missione ed il suo servizio considerando la comprensione delle verità rivelate come un fatto compiuto o invece come un cammino da continuare a percorrere in umiltà e in riflessione per cogliere tutta la ricchezza e tutte le implicanze del messaggio evangelico? Deve questa Chiesa chiudersi nel fortino delle sue certezze per difendersi dal mondo (e dalla modernità) o deve aprirsi di più ad esso per fare proprie le sue ansie e le sue speranze e per scrutare attentamente i «segni dei tempi»? Deve rafforzare in modo più rigido e centralizzato la sua struttura gerarchica o deve favorire una maggiore collegialità valorizzando anche il ruolo del laicato cattolico?

Ed ancora: non c’è il rischio per la Chiesa che la condanna generalizzata del relativismo e delle dottrine laiche finisca per comportare nei fatti il rifiuto del pluralismo culturale mentre è necessaria una positiva attenzione ai contributi di intuizioni e di idee del pensiero non cristiano che in passato ha prodotto frutti ampiamente utilizzati dalla riflessione teologica e che in tempi recenti ha fatto maturare grandi valori di promozione umana, dalla Chiesa condivisi, come quelli del rispetto dei diritti fondamentali, della democrazia partecipativa, del rifiuto totale della guerra e del riscatto sociale dei poveri? Il rilancio dei valori evangelici deve riguardare solo il livello della morale individuale con particolare riferimento alla bioetica, alla famiglia ed alla sessualità o deve investire anche la morale sociale e comportare la denuncia delle politiche che oggi affamano la maggior parte dell’umanità teorizzando e praticando il dominio dei più forti e la guerra preventiva ed infinita? Ed infine, per riassumere il senso unitario di questi interrogativi, la primavera di aperture e di speranze annunciata dal Concilio Vaticano II deve essere, dopo una stagione di incertezze, portata a far maturare i suoi frutti o deve lasciare il posto ad un inverno malinconicamente segnato da esaltazioni di identità, da ripulse e da chiusure? A questi interrogativi presenti sia nel «popolo di Dio» che fuori di esso la Chiesa cattolica, tutta la Chiesa e non solo il suo vertice, è chiamata oggi a dare meditate ed illuminate risposte.

Un giorno lontano nella Galilea un uomo privo di qualsiasi potere si portò sopra un altura e, rivolgendosi agli amici e ai curiosi che l’avevano fin lì seguito, chiamò beati i poveri, i costruttori di giustizia ed i fautori di pace. Passando poi da un luogo all’altro della Palestina esortò i suoi seguaci ad amare tutti, persino i nemici, ed a praticare una giustizia diversa da quella dei potenti del tempo per dare cibo agli affamati (singoli e popoli), acqua agli assetati, alloggio ai senzatetto e condizioni di vita dignitosa per ogni uomo. Fu mite con tutti tranne che con gli ipocriti e con quanti volevano fare mercato nella sua «casa». Le parole di fraternità e di liberazione da lui pronunciate spaventarono il potere più delle minacce dei guerriglieri dell’epoca ed in una notte di tradimenti, mentre veniva arrestato per il più sublime “reato di opinione”, intimò ad un suo amico che voleva difenderlo di rimettere la spada nel fodero ricordandogli che il ricorso alle armi provoca morte e rovine anche in danno di chi lo pratica. Morendo, chiese infine perdono per coloro che lo stavano uccidendo in esecuzione della più iniqua delle condanne inflittagli su incitamento di una folla abilmente manipolata dal ceto dominante con i mezzi di persuasione collettiva allora disponibili. L’augurio da fare al nuovo Pontefice è che egli, Vicario fra noi di quest’Uomo, possa, con l’aiuto dello Spirito, somigliargli nella massima misura possibile.

Brindisi, 22 aprile 2005
Michele DI SCHIENA

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