Le popolazioni autoctone stanziate nei territori ora diventati Oregon, Washington, Idaho e Montana, vennero accorpate sotto il nome generico e approssimativo di "indiani del Pacifico nordoccidentale". Poco note ai più, esse vennero in contatto con i conquistatori relativamente tardi rispetto agli abitanti della costa atlantica ma, quando apparve chiaro che quell’enorme ghetto chiamato Territorio Indiano (l’attuale Oklahoma) non bastava più a confinare tutti gli "indiani" del continente, anche a quella compagine culturale e linguistica di genti americane toccò in sorte la sottrazione fraudolenta della terra, la riserva, la parcellizzazione della terra rimasta, la quasi estinzione e l’oblio. In particolare, i nativo-americani dell’area di Puget Sound, nello stato di Washington, vennero quasi dimenticati dal governo americano fino a circa trent’anni fa, quando pescare in modo tradizionale, un atto di sopravvivenza, divenne una violazione della legge. Fu allora che iniziarono le "guerre indiane" del Novecento. E fu allora che la memoria prese la forma di una canoa e di una nassa per salmoni.
Puget Sound, il vasto bacino formato dall’Oceano Pacifico che penetra all’interno della costa attraverso il canale di San Juan de Fuca è un intrico di vie d’acqua che accoglie molti fiumi che lì si scaricano in mare. Nella parte meridionale è alimentato da due grandi fiumi: lo Skokomish e il Nisqually; entrambi portano il nome delle tribù che per secoli hanno vissuto in prossimità della loro foce. I primi europei a giungervi nel Settecento furono gli inglesi e, a seguire, la Hudson Bay Company, che costruì un forte in territorio nisqually per il commercio di pelli e pellicce con gli indiani. Nell’Ottocento, quando masse di coloni arrivarono in cerca di terra coltivabile, gli americani procedettero ad acquisire anche questi territori con il collaudato sistema dei trattati. Il trattato di Medicine Creek (oggi noto come McAllister Creek), voluto dal governatore Isaac Stevens, non solo fu redatto in inglese e tradotto in un lingua indiana non comprensibile a tutte le 9 tribù coinvolte, ma assegnava a popolazioni tradizionalmente riparie dei luoghi boscosi. I nativo americani, con a capo il leader nisqually Leschi, si rifiutarono di sottoscriverlo, ma una croce venne posta accanto al loro nome e il documento venne considerato valido. A seguito delle schermaglie tra "indiani" ed esercito, Leschi venne incolpato della morte di un soldato, condannato a morte dopo un processo sommario, e impiccato. Il 4 marzo 2004 il Senato americano ha riconosciuto il grave atto di ingiustizia compiuto ai danni di Leschi e ne ha sottolineato il coraggio e lo spirito sacrificio. Un atto simbolico dal grande peso politico con cui lo stato di Washington dovrà fare i conti.
Lo sradicamento dalle proprie terre, l’impossibilità di provvedere al proprio sostentamento nei modi tradizionali, la dipendenza dal governo federale per le razioni di cibo e di salmone (500 salmoni annui per famiglia) e, nel 1917, la riduzione di 2/3 della terra della riserva improvvisamente confiscata dall’esercito per costruirvi la base militare di Fort Lewis, acuirono la povertà dei nisqually. I risarcimenti tardivi che il Congresso elargì nel 1924 per compensarli dei diritti di pesca perduti con l’allontanamento dal fiume non migliorarono le condizioni di vita dei residenti. Per decenni i nisqually e i loro vicini puyallup si ritrovarono a dover pescare di frodo rischiando l’arresto e la galera pur di provvedere alle proprie famiglie. Questa situazione si aggravò negli anni sessanta e culminò nel 1970 con un grave episodio: un campo di attivisti puyallup che rivendicavano i propri diritti di pesca venne assaltato dalla polizia. Lo scontro fu duro: lacrimogeni, manganelli, botte, il campo distrutto dai bulldozer e 60 persone arrestate. Il comportamento dello stato di Washington era insostenibile agli occhi dell’opinione pubblica, e il governo demandò ad un gruppo di avvocati federali la controversa questione.
Il 12 febbraio 1974 il giudice del distretto di Tacoma (Washington) George Boldt, dopo aver ammesso come testimoni membri tribali che non parlavano inglese, e nonostante le pressioni e gli insulti pubblici orchestrati dalle industrie ittiche, stabilì che i nativo americani hanno diritto a metà del pescato di tutto lo stato di Washington anche se questo significa dover pescare al di fuori dei confini della riserva. La sua decisione venne confermata dalla Corte Suprema cinque anni dopo, e la sorte dei nisqually, dei puyallup e degli altri gruppi tribali cambiò radicalmente. Ora lo stato, ogni qual volta legifera in materia fluviale, deve necessariamente interloquire con le tribù, pena costosi procedimenti penali. Nel 2001 le tribù di Washington hanno fatto causa allo stato per aver costruito (e avere ancora in progetto di costruire) numerose barriere che impediscono la risalita dei salmoni, depauperando di fatto le zone di pesca degli "indiani". Non solo, le tribù sono parti in causa anche quando si tratta di tutela ambientale e di potabilità dell’acqua, tutto ciò in virtù dell’articolo 3 del Trattato di Medicine Creek. Chi lo redasse non pensava certo che l’insignificante concessione a pescare "in tutte le zone di pesca usuali" avrebbe scardinato i presupposti coloniali su cui poggiava l’intero documento, ma questo è ciò che è accaduto. La memoria si era finalmente fatta legge.
Da quel giorno del 1974, con azioni legali e operazioni economiche sempre più importanti, i nisqually hanno deciso di percorrere una strada ben precisa in cui lo sviluppo ha sempre coinciso con il rispetto dell’ambiente. Nel 1996 hanno sottoscritto un patto con l’US Fish and Wildlife Service che ha permesso loro di avere sufficiente denaro per comprare un appezzamento di terra nel delta del fiume omonimo e ripristinarne lo stato originario acquitrinoso rimuovendo le dighe presenti. Per i prossimi 25 anni, la tribù gestirà quest’oasi in collaborazione con il Wildlife Service, attirando i numerosi turisti che già si recano nel limitrofo Nisqually National Wildlife Refuge, istituito proprio nel 1974.
Prima che termini come "sostenibilità " o "tutela ambientale" diventassero di moda, i nisqually, come la gran parte delle popolazioni autoctone di ogni angolo del pianeta, ne concretizzavano i contenuti già da secoli. Quando altre tribù, come i puyallup, negli anni ottanta optarono per l’apertura di casinò come mezzo per risollevare le proprie sorti, i nisqually procedettero nella loro ostinata tutela del paesaggio. Stringendo rapporti con organizzazioni e privati, acro dopo acro i nisqually si stanno riappropriando della loro terra preservando aree che altrimenti oggi sarebbero un porto fluviale, magari un campo da golf o la sede di un’industria per la conservazione del pesce.
La miseria, il decadimento culturale, spirituale e demografico che hanno sofferto per decenni non hanno prevalso. Per sopravvivere i nisqually hanno dovuto scegliere tra uno stile di vita che ricordasse il più possibile i costumi antichi scommettendo su un turismo eco-sostenibile, e i milioni di dollari di proventi delle case da gioco. Optando per il primo, hanno scelto di portare il loro passato nel presente e di proiettarlo nel futuro.
Optando per il primo, la memoria è diventata futuro prendendo la forma di un sentiero per il bird-watching all’interno della riserva nisqually.