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«Italia, paese parzialmente libero»
3.05.2005
Libertà di stampa: «Italia, paese parzialmente libero»

di Stefano Marcelli (Segretario generale di Informazione Senza Frontiere)

Firenze, 03 Maggio 2005. La notizia: la Casa delle Libertà è riuscita a far collocare l’Italia fra i Paesi “parzialmente liberi“ per quanto riguarda la libertà di stampa. L’associazione statunitense Freedom House, una delle più autorevoli al mondo nella difesa dei diritti umani, fondata nel 1945 da Eleanor Roosvelt, ha appena pubblicato il suo rapporto sulla libertà di stampa nel mondo. Il rapporto punta il dito sulla Russia e su gran parte degli ex paesi socialisti collocandoli nella categoria dei paesi non liberi. Ma se si cerca l’Italia, nella classifica della libertà di stampa, bisogna scorrere un terzo del rapporto e arrivare fino alla tabella 77.

Quella dove, finiti i Paesi “free“, inizia l’elenco di quelli “partly free”. Dopo Bolivia e Bulgaria, si trova finalmente il nostro paese, seguito a ruota dalla Mongolia.

Dopo aver appena ascoltato il presidente del Consiglio che alla Camera e al Senato ha appena spiegato di aver eletto il presidente della Commissione Europea, aver dispensato consigli ai grandi della terra, indirizzato la politica economica comunitaria e aver portato il benessere al nostro grande paese, come dimostrano le vendite di telefonini, automobili e l’aumento delle rendite immobiliari oltre allo strapotere delle opposizioni nel controllo dei media, questo stato di classifica in compagnia dei derelitti della terra e dei principi liberali, ci arriva come uno schiaffo.

In particolare a chi, come noi di Informazione senza frontiere, dedica il proprio impegno a mobilitare colleghi dei paesi arabi o dell’est europeo sul fronte della libertà di informazione e pubblica alert internazionali e rapporti che denunciano le violazioni in atto in tutto il mondo. Potremo avere ancora credibilità sul fronte internazionale dopo la pubblicazione di questa vergognosa classifica? Per questo non possiamo farla passare inosservata ed è anzi nostro precipuo dovere denunciarla prima di tutto di fronte agli italiani.

Potremmo chiedere a un collega iracheno, algerino, iraniano o russo di rischiare la vita in difesa del sacrosanto principio della libertà d’espressione se non potessimo dimostrare di fare lo stesso in uno stato democratico?

Il rapporto di Freedom House riprende l’allarme lanciato lo scorso anno dai giornalisti del Corriere della Sera per interferenze politiche sulla linea editoriale del giornale. Si racconta che il “media magnate” Silvio Berlusconi, che dal 2001 è Primo ministro, controlla otto giornali nazionali e sei dei sette network televisivi italiani, i tre di Mediaset e i tre canali di Stato della Rai. Si cita anche il rapporto dell’Osservatorio di Pavia secondo il quale, nel mese di febbraio, le presenze televisive di Berlusconi ammontano al 42 per cento del totale di quelle dei politici. Si giudica anche che la norma che doveva risolvere il conflitto di interessi fra il businnes privato e il ruolo di primo ministro, si sia risolta in un “little impact on Berlusconi’s media empire”.

Per quanto riguarda la legge Gasparri, il giudizio di Freedom House è che “renforces Berlusconi ‘s power over the media”. Si conclude ricordando la sentenza della Corte Costituzionale del 2002 che imponeva il trasferimento su satellite di Retequattro nel febbraio del 2004, trasferimento, osserva il rapporto, che avrebbe comportato una considerevole perdita di valore per il canale.

Nel rapporto si parla anche della cacciata di Lucia Annunziata e Lilli Gruber dalla Rai. Si può dunque dire che, Oltreoceano, è giunta l’essenza della “questione italiana”, impasto greve di impero mediatico, conflitto di interessi politico- istituzionale, e praticata con clamorosi colpi di mano legislativi e banali epurazioni di professionisti non graditi. Che fare, ora, per reagire a quel pesante senso di vergogna che il rapporto di Freedom House ci produce? L’elenco delle proteste formali, delle denunce, delle iniziative persino di piazza su questi temi è ormai completo. Certo è che in una democrazia compiuta l’apparato istituzionale prevede un bilanciamento di poteri che funziona da antidoto a certe derive di predominio individuale sull’interesse collettivo.

Il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, le varie Autorità interessate sia al mondo della comunicazione che a quello della libera concorrenza hanno strumenti e indipendenza tali da poter intervenire. Ma possiamo dire che, oggettivamente, finora non lo hanno fatto e il “Berlusconi’s media empire” si allarga e si rafforza incontrollato. Anzi, la lettera con la quale il coordinatore di Forza Italia Bondi ha replicato all’editoriale del Corriere della Sera sull’indipendenza della magistratura ha un tono talmente minaccioso da far temere una prossima recrudescenza della pressione politica delle forze di governo sui media, già denunciata da Freedom House.

Sul processo di rinnovo del consiglio di amministrazione della Rai, peraltro dettato dalla legge Gasparri, quello che si tenda a congelarlo di fatto, impedendo la convergenza su vertici bipartisan, appare più di un sospetto. C’è un ultimo strumento democratico a cui spetterebbe l’ultima parola per invertire questo Stato di “partly freedom” in cui viene ormai classificato il nostro paese: il Parlamento.

Non c’è dubbio che è all’organismo rappresentativo su cui si fonda la legittimità della nostra Repubblica che spetta il compito di garantire l’effettivo rispetto dei diritti costituzionali e la correttezza democratica della nostra società. Abbiamo sentito dire in questa crisi di governo che non c’è nessuna monarchia tra i soggetti che lo compongono. Eppure nessuno, nemmeno fra i più critici della Casa delle Libertà, ha mai fatto accenno a questi temi che minano la credibilità stessa della nostra Repubblica ormai a livello internazionale.

In un capitolo introduttivo del Rapporto sulla Libertà nel Mondo di Freedom House si citano le riflessioni del sociologo Fareed Zakaria sulla democrazia senza libertà. Si riflette, tra l’altro, sulla contraddizione che si determina in alcuni Paesi tra l’esercizio formalmente libero di elezioni democratiche e il sostanziale controllo dei mezzi di informazione da parte di chi detiene il potere, che di fatto ne limitano molto gli effetti. “La democrazia è in pieno rigoglio, il liberalismo no”, osserva Zakaria guardando agli ex paesi socialisti.

Forse qualcuno dovrebbe cominciare a preoccuparsi anche qui.

Stefano Marcelli
Il rapporto è consultabile (in inglese) al sito web:

www.freedomhouse.org/research/pressurvey.htm  

Fonte: http://www.reporterassociati.org/index.php?option=news&task=viewarticle&sid=7104

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