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Doppio Spirito (di Paola Carini)
1.06.2005

Il consiglio tribale dei navajo (diné) si prepara a votare contro il veto posto dal presidente Joe Shirley Jr. al cosiddetto Diné Marriage Act, una legge che vorrebbe, tra le altre proposte, proibire i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

In Europa, il premier Zapatero ha fortemente voluto legalizzare la situazione di molte coppie spagnole, mentre in Arizona il presidente Shirley ha solamente potuto sospendere il provvedimento proibitivo in via temporanea. Com’è facilmente intuibile, le critiche maggiori al disegno di legge sono partite dai navajo che fanno parte di organizzazioni gay, mentre il Navajo National Council – il Consiglio con poteri legislativi formato da 88 membri eletti – lo difende dicendo che è stata avviata una vasta consultazione per assicurarsi che la legge rispetti appieno le tradizioni navajo.

Se il principio della laicità dello stato ha prevalso nella cattolicissima Spagna, in terra diné la discussione si snoda sia sui terreni accidentati della giurisprudenza che su quelli della cultura. Il primo firmatario della legge, il consigliere Larry Anderson, accusa il presidente Shirley di aver abusato del diritto di veto. Shirley, dal canto suo, articola la propria decisione dichiarando che tale legge interferirebbe nella sfera privata del singolo diventando di fatto discriminatoria, e aggiunge che le leggi esistenti, la struttura sociale e i valori inerenti alla cultura diné forniscono già risposte in materia di unioni.

In un comunicato stampa, Anderson risponde in tono piccato che il Marriage Act serve a promuovere famiglie stabili e a rafforzare i valori della famiglia stessa, in modo che gravi problemi come l’aumento del crimine, la tossicodipendenza, gli abusi sui minori, il diabete e molte altre questioni sociali e ambientali possano essere affrontate e risolte a partire dal nucleo principale: la famiglia (così come i legislatori la immaginano).

Vi sembrano parole familiari?

Andiamo avanti.

L’addetto stampa del Consiglio diné Karen Francis condisce l’affermazione precedente con una dichiarazione di grande effetto: la santità del matrimonio scaturisce proprio dal binomio maschile-femminile, madre terra-padre cielo che è uno dei fondamenti della cultura navajo.

Corretto, ma fazioso.

I promotori della legge si appellano ad uno solo dei principi cardine su cui si regge la tradizione. Per secoli, filo dopo filo, i navajo hanno intessuto ciò che l’antropologo Clifford Geertz definisce un insieme di significati trasmessi storicamente ed espressi in simboli, ovvero il modo in cui il mondo è stato percepito e compreso. Trasferiti nei miti, nei rituali, nella lingua e nell’arte, questi simboli hanno dato origine alle categorie concettuali che distinguono i navajo dagli altri, ossia alla loro cultura. Una di queste categorie è proprio la dualità maschile-femminile, che si esplica nel mito della creazione dei diné. Questa genesi è un ciclo complesso e sofisticato di storie di esseri umani e divinità, di animali e di spiriti. Il tema conduttore è hozhó, termine difficile da tradurre che indica l’armonia che faticosamente si stabilisce tra il maschile e il femminile. L’integrazione di elementi diversi che, se isolati, rimarrebbero dissonanti creando caos e disordine, è condizione indispensabile per raggiungere hozhó, ma non si tratta di armonizzare solo le differenze tra uomo e donna; la vita offre una quantità enorme di sfumature che stanno nel mezzo dei due poli. E sono proprio queste sfumature, codificate nella ricchissima oralità diné, che vengono ridotte a corollari da chi è favorevole alla proposta di legge.

Agli oppositori del Marriage Act, giovani e anziani, gay e non-gay, questo spirito partigiano non è sfuggito. Nella petizione che hanno fatto circolare hanno sottolineato come sia la Carta dei Diritti della Nazione Navajo che la stessa consuetudine navajo assicurino la vita, la libertà, la felicità di tutti gli esseri umani e di tutto ciò che vive sulla terra e nel cielo, e come ogni diné abbia l’obbligo di rispettare, preservare e proteggere questi principi. Non si tratta di moralità quanto dell’esigenza di raggiungere e conservare l’equilibrio di sé e l’armonia con gli altri e con ciò che sta intorno. Ogni atto, ogni pensiero devono tendere a hozhó, condizione antitetica al disordine e al caos e, se necessario, armonizzare ciò che è disarmonico attraverso lunghi e complicati rituali.

La materia del contendere tra coloro che appoggiano il Marriage Act e coloro che vi si oppongono si trova dunque nel testo che racchiude questi fondamenti di vita: diné bahané, la storia della creazione dei navajo.

Il ciclo della creazione diné è, riduttivamente, l’epopea dei diné e dei loro antenati. In esso nulla viene celato né censurato: il potenziale negativo dell’essere umano viene stigmatizzato e controbilanciato da successive azioni positive. Poiché il fine è l’hozhó del mondo e di ogni essere vivente, la genesi integra anche ciò che sta nel mezzo di maschile e femminile, ovvero nádleeh. Variamente tradotto, nádleeh è ben più che una persona "gay", come si dice oggi, e certamente non è, né è mai stato "berdache", nome coniato dagli antropologi per indicare uomini e donne che in molte tradizioni tribali dell’America del Nord svolgevano compiti particolari. "Berdache" deriva da bardassa, letteralmente giovane omosessuale che si prostituisce, e questo, oltre che estremamente offensivo, è ben lontano dalla verità. L’orientamento sessuale era secondario alla qualità ben più importante di possedere uno spirito che inglobava in sé l’essenza sia del maschile che del femminile.

Riassumendo per sommi capi la prima parte della creazione diné, si nota come essa inanelli i racconti della fuga degli antenati degli esseri umani da quattro mondi stratificati uno sopra l’altro a causa di comportamenti impropri (principalmente l’infedeltà) che hanno provocato caos e distruzione e la conseguente emersione in un mondo superiore. Ed è proprio nel quarto mondo che vengono creati Primo Uomo e Prima Donna: non una conseguentemente all’altro ma contemporaneamente, da due pannocchie di granturco identiche, una gialla e l’altra bianca. Ingenerati dal soffio della divinità del vento, dalle pannocchie nascono i capostipiti degli esseri umani. Quattro giorni dopo, da questa unione nasce una prima coppia di gemelli ognuno dei quali non è né "completamente maschio né completamente femmina"; sono i nádleeh, appunto. Poi, di quattro giorni in quattro giorni, nascono altre quattro coppie di gemelli che genereranno a loro volta altri esseri umani.

Nel quarto mondo i gemelli nádleeh inventano l’arte ceramica, si occupano di sorvegliare i campi, inventano attrezzi agricoli e contenitori di vimini per l’acqua e, soprattutto, creano maschere che somigliano al muso del cervo seguendo le indicazioni delle divinità, che mostreranno loro come imitare i movimenti dell’animale affinché lo possano cacciare più efficacemente. Grazie a quelle maschere il villaggio avrà carne in abbondanza, pelli da conciare e pellicce con cui scaldarsi, ma non solo. L’intervento delle divinità ha contestualizzato il gesto – la creazione della maschera – in un rituale specifico che, acquisito dalla tribù, definirà da quel momento in poi il ruolo spirituale, oltre che sociale, dei nádleeh. Ancora oggi, che ad un neonato venga dato il nome da una persona nádleeh è auspicio di felicità per quel bambino.

Le persone con questi particolari ruoli tradizionali, variamente identificate dalle tribù, vengono chiamate "persone con un doppio spirito", un termine pantribale di recente conio. Sminuirne il significato assimilandolo alla mera omosessualità significa disconoscere il ruolo dei nádleeh così come è tracciato nelle storie della creazione, nei cerimoniali e nella vita quotidiana, soprattutto se si considera che la stessa Changing Woman, la cui unione con il Sole genererà la stirpe dei moderni navajo, in lingua diné è emblematicamente chiamata Asdzáá nádleehé. Il Marriage Act si regge proprio su questo meccanismo: riconoscendo l’autorità solo di certi elementi della tradizione svilisce di fatto tutti gli altri. La verità della condizione umana, incapsulata in tutte le sue manifestazioni in un patrimonio culturale millenario, viene così sforbiciata in convenienti brandelli. Si tiene quel che interessa, che diventa inattaccabile perché derivato dal testo sacro, ed il resto lo si butta via.

Ma decretando che la cultura diné è basata sulla ricerca dell’equilibrio tra uomo e donna, o che un ovocita fecondato in laboratorio è già vita umana, si dimentica, volutamente, che queste non sono che premesse. È solo andando oltre che si ha la visione d’insieme, poiché è dall’equilibrio tra uomo e donna che nacquero i gemelli nádleeh. E la vita umana è innanzitutto la vita della donna, con il suo diritto alla salute e il suo desiderio di mettere al mondo dei bambini con un eguale diritto a nascere sani.

Paola Carini

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