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Il “dovere civico” del voto.
8.06.2005
Il “dovere civico” del voto. Tutti furbissimi a fare giochetti con l’astensione. (di Maurizio Viroli).
Sono rimasto sinceramente sorpreso dall'eco che hanno avuto le mie prese di posizione, attraverso articoli e interviste, in merito al referendum del 12-13 giugno, in cui ho espresso il mio sdegno per il fatto che autorità della Repubblica e leader politici abbiano apertamente invitato gli elettori a non votare. A me sembra di aver affermato idee del tutto ovvie, ovvero che la nostra Costituzione, all'articolo 48, definisce l'esercizio di voto un «dovere civico», e dunque incoraggiare all'astensione significa esortare i cittadini a venir meno a un loro preciso dovere.
Nella nostra Costituzione il concetto di dovere ha un ruolo di rilievo. Appare già nell'art. 2: «La Repubblica \ richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», e ha solenne formulazione nell'art. 52: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».
So bene che quando definisce l'esercizio del voto «dovere civico», la Costituzione non prescrive un obbligo in senso proprio. Non ci sono sanzioni per il cittadino che sceglie di non votare. Il D. Lgs. 534/1993 ha addirittura abrogato la blanda sanzione costituita dalla menzione «non ha votato» nel certificato di buona condotta. Ma proprio perché è dovere e non obbligo, l'esercizio del voto è a mio giudizio ancora più importante. Definisce uno degli aspetti essenziali del corretto modo di essere cittadini di una repubblica democratica. L'argomento «è soltanto un dovere civico e dunque ignorarlo è piccola mancanza», non ha, secondo me, alcun valore e rivela una completa ignoranza di che cosa vuol dire essere cittadini. Ad avere soltanto obblighi, è bene rammentarlo, sono gli schiavi e i servi.
Se è un dovere sancito dalla Costituzione, i leader politici che invitano a disertare le urne operano in aperto spregio alla nostra legge fondamentale, e recano un danno grave alla coscienza civile del Paese. Non c'è calcolo politico, non c'è giustificazione che tenga: invitare all'astensionismo è un atto grave. Ancora più grave, ovviamente, se i banditori dell'astensione sono ministri che hanno giurato nelle mani del Presidente della Repubblica di «osservare lealmente la Costituzione e le leggi». In questo caso l'invito all'astensione è spergiuro.
Anche senza entrare nel merito del problema legale, non riesco a capire come l'opinione pubblica di un paese democratico possa accettare di essere governata da persone che violano alla leggera un solenne giuramento.
Evidentemente vivo da troppi anni negli Stati Uniti e ho accettato come cosa ovvia che il rapporto fra governanti e governati, in democrazia, deve essere un rapporto di fiducia («trust»). Come possiamo fidarci di chi non rispetta il giuramento? Sarà un modo di pensare ingenuo, ma sono convinto che sia quello giusto, e che una democrazia che tollera di essere governata da spergiuri non ha futuro.
Per le medesime ragioni trovo inaccettabile l'invito a non votare formulato dalle più alte personalità della Chiesa cattolica. Esse hanno tutto il diritto a esortare i cattolici a votare sì o no secondo quello che, a loro giudizio, è il retto modo di pensare e di giudicare. Ma dire di non votare vuol dire invitare i cittadini italiani a calpestare un dovere civico in base a un calcolo di interesse. Davvero un mirabile esempio di alto magistero morale.
Quello che più preoccupa è l'ampiezza e l'eterogeneità del fronte dell'astensione: alte cariche dello Stato, leader della maggioranza e dell'opposizione, prelati: tutti uniti da una raffinata abilità di calcolare i vantaggi dell'astensione, tutti furbissimi, tutti capaci di offrire sofisticate giustificazioni alla violazione del dovere. Pare di ascoltare tanti Frati Timoteo, quello che nella Mandragola convinse Lucrezia, moglie di Nicia, che non era peccato andare a letto con un altro.
Con la differenza che la Mandragola è una commedia scritta per far ridere e tratta, come spiega Machiavelli, di cose leggere. Quanto sta avvenendo in questa campagna referendaria è invece cosa assai grave che corrode il nostro costume democratico. Mi auguro davvero che il 12 e il 13 giugno siano in molti ad andare a votare: per dire a voce alta che prendono sul serio il dovere civile.

Ricordiamo ai residenti all’estero che oggi è l’ultima giornata a disposizione per spedire le schede ai Consolati
(devono arrivare entro le 16,00 di domani giovedì 9 giugno, a meno di recapitarle personalmente entro detto orario. ndr)

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