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Referendum: hanno vinto loro (e Ponzio Pilato)
14.06.2005
Davanti a una disfatta di queste proporzioni dei quesiti referendari, un giornale come il nostro, che quei referendum ha promosso, potrebbe pubblicare due editoriali diversi e alternativi. Uno si potrebbe titolare «In che paese viviamo»; l'altro «Abbiamo sbagliato a promuovere il referendum».
Nel primo si potrebbero scrivere tante cose: che l'Italia è un paese sempre più spaventato dalla modernità, dal progresso, dalla competizione. Che legge troppi pochi giornali, e se non ci pensa la tv a mandarla alle urne, non ci va; forse non si accorge nemmeno che sono aperte. Che è un paese stanco di democrazia.
Che è l'unico posto d'Europa in cui la Chiesa cattolica dà indicazioni di voto, e di non voto. Si potrebbe scrivere, un editoriale così, tanto per non cedere all'ondata retorica di chi oggi dice saccente: «Non avete capito l'Italia profonda»; e rispondere loro: «Non è che non l'abbiamo capita, è che non ci piace». Però un riformista è tale perché vuole cambiare le cose nel paese in cui vive, e dunque non può lamentarsi del paese in cui vive.
L'altro editoriale, un autocritico «Abbiamo sbagliato», potrebbe invece sostenere che il paese ha ragione, e che doveva essere chiaro a noi che l'istituto referendario è stato fatto a pezzi da un uso dissennato, insistito, triviale, come strumento surrettizio di minoranze che altrimenti nessuno noterebbe; e poi è stato fatto a pezzi dalla scoperta dell'astensione organizzata, usata a sinistra per l'articolo 18 e a destra per la fecondazione; e che dunque non dovevamo nemmeno provarci ad appellarci al popolo sovrano contro una legge, per quanto brutta e sbagliata. Ma la legge è così brutta, così sbagliata, così ingiusta, così feroce nei confronti di chi è sterile, di chi è malato, di chi fa ricerca, che era un imperativo morale provarci, e non tutte le battaglie che meritano di essere combattute sono baciate dalla vittoria.
Si potrebbe allora trovare una terza via (sapete che ci piace tanto). E scrivere un editoriale dal titolo «Abbiamo perso perché sono stati più bravi loro». Loro sono quelli che l'hanno messa sul terreno dello scontro di civiltà, della guerra di valori. Sono quelli che hanno fatto appello ai dubbi e alle incertezze degli elettori su una materia oggettivamente difficile da comprendere, invitandoli a lavarsene le mani come Ponzio Pilato. Loro sono quelli che hanno discusso se nasca prima l'uovo o la gallina, sicuri che l'elettorato avrebbe rifiutato di rispondere a una domanda per definizione senza risposta.
Loro sono quelli che spingono la gggente alla rivolta contro le élite, che ne coltivano le paure, si tratti dell'idraulico polacco, dell'immigrato islamico o della clonazione terapeutica. Loro sono quelli che hanno detto «sulla vita non si vota». E' con questo slogan che hanno vinto. E noi abbiamo risposto che era giusto, che non si trattava di votare sulla vita, ma solo su alcuni articoli di una legge malfatta. Abbiamo cioè tentato la risposta empirica, razionale, dialogante. Fassino - bisogna dargli atto - più di tutti ci ha provato. Non abbiamo accettato il terreno dello scontro di valori, e allora si è visto un valore, il loro, e nessun valore, il nostro. Avremmo forse dovuto dire che sì, sulla vita si vota, e che votando si diceva sì alla vita per le coppie sterili di oggi e per i malati di domani. Avremmo forse dovuto affrontare la sfida sull'embrione e dire che sì, una donna conta di più di un embrione. Avremmo dovuto dire che se un embrione conta più di una donna ora, inevitabilmente, toccherà alla legge sull'aborto. Avremmo dovuto dire che sì, bisogna fidarsi degli scienziati più che dei santi, dei poeti, dei navigatori e degli imbroglioni di cui abbonda questo paese.
Non è vero quello che avevamo scritto sabato, quando ancora speravamo in una sconfitta di misura: loro hanno vinto, noi abbiamo perso. Ci auguriamo ora solo che una grande scoperta nel campo della medicina, la prima vita salvata dalla ricerca sulle staminali nei paesi dove è consentita (quasi tutti), il primo conflitto in giudizio tra questa legge e la 194, dimostrino agli italiani che hanno avuto torto a fidarsi di loro. Non sarebbe la prima volta che la Storia costringe gli italiani a cambiare idea.

Editoriale de Il Riformista di martedì 14 giugno 2005 www.ilriformista.it
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