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La difesa dell'ambiente e il futuro dell'Europa.
6.06.2003

La Repubblica. Cofferati e Realacci. L'Europa e l'ambiente.
L'ambiente e la socialità sono i pilastri decisivi dell'Europa che vogliamo.
La lettera che segue è stata pubbblicata il 5/6/2003 dal quotidiano la Repubblica.
La difesa dell'ambiente e il futuro dell'Unione.
Caro Direttore, le polemiche sulla bozza di costituzione europea hanno un grande merito: riportano il dibattito su "quale Europa" a una dimensione positiva, allontanando l' idea - sbagliata e pericolosa - che i caratteri fondativi della nuova Unione vadano definiti «per negazione», in termini di maggiore o minore
conflittualità con gli Stati Uniti. Intendiamoci: lo scontro sulla guerra preventiva all' Iraq, l' opposizione dei Paesi di più solida vocazione europeista - Italia esclusa - e di gran parte
dell' opinione pubblica continentale alla politica estera
aggressiva e unilaterale dell' amministrazione Bush, sono tappe
importanti e destinate a lasciare la traccia nel cammino di
costruzione di una "patria europea" fondata sui valori della pace e del diritto, ma rimane il rischio che alla fine la discussione si riduca ad immaginare un' Europa più o meno capace di confrontarsi con gli Usa sul terreno della potenza militare e della globalizzazione nell' interesse di pochi, anziché
determinata a costruire la propria unità su caratteristiche
specifiche e originali, per farla vivere in piena autonomia nei
rapporti con tutti gli altri paesi del mondo. Insomma, un
«patriottismo europeo» che si voglia moderno e utile a meglio
affrontare le sfide del futuro non può essere indifferente ai
valori, deve trarre senso e forza dall' ambizione di erigere l'
unità dell' Europa sui pilastri della socialità, della
solidarietà, della cultura e della conoscenza, della "buona
globalizzazione". Proprio oggi si celebra nel mondo la "Giornata
dell' Ambiente", e la qualità ambientale è un primo ingrediente
indispensabile di questa ricetta, perché scommettere su di essa
serve a migliorare la vita delle persone e delle comunità e a
rafforzare quella "economia della conoscenza" che per l' Europa è
il principale fattore competitivo.

Già oggi l' Europa offre segni
concreti di un' idea dell' ambiente come condizione irrinunciabile di benessere e come grande risorsa economica e identitaria: la ratifica del Protocollo di Kyoto, il boom dell' agricoltura biologica e di qualità, le forti resistenze all' invasione degli Ogm. Ma tali premesse faticano maledettamente a tradursi in politiche coerenti ed incisive, e d' altra parte vi sono troppi campi nei quali i Paesi europei "predicano bene e razzolano male": ciò vale per la gestione globale delle risorse idriche, visto che sono europee tutte le grandi multinazionali che stanno privatizzando l' acqua in giro per il mondo; vale per le politiche agricole, che vedono l' Europa attestata su meccanismi di forte sostegno protezionistico ai prezzi a tutto danno dei consumatori (solo una quota marginale della spesa agricola viene destinata a
valorizzare l' agricoltura di qualità) e dei Paesi poveri vittime di pratiche sistematiche di "dumping"; e vale a maggior ragione per l' Italia, che ha sottoscritto tra i primi il Protocollo di Kyoto ma è uno dei pochi Paesi europei dove le emissioni dannose per il clima aumentano invece di diminuire.

La "socialità" è un altro pilastro decisivo dell' Europa che vogliamo. Socialità che
nel nostro continente affonda radici profondissime: il Welfare che ha trasformato le garanzie sociali da atto di compassione verso i più deboli in diritto di cittadinanza, una speciale propensione partecipativa che si esprime nella forza e vitalità del movimento sindacale, dell' associazionismo, del volontariato. Ancora, la cultura e la conoscenza. L' Europa potrà giocare da protagonista negli scenari globali se investirà molto di più, come risorse sia
economiche che umane, nella scienza, nella ricerca, nell'
innovazione tecnologica, e in particolare se punterà sulla ricerca pubblica - oggi a rischio di smantellamento in Italia ma non solo - che è anche un' assicurazione contro i rischi che la scienza diventi totalmente ostaggio dei poteri economici. Fortunatamente sono molti, in tutta Europa, che lavorano per affermare questi valori. Così, per esempio, quando si difende un modello socio-economico fondato sulla coesione e la qualità sociale, o quando ci si batte per un sistema energetico che superi l' attuale dipendenza dal petrolio, si perseguono obiettivi squisitamente europeisti, cioè obiettivi che rimandano ad un' idea generale di Europa. Si può dire davvero che passa da qui, a dispetto delle enunciazioni strumentali dell' America di Bush e di Rumsfeld, il vero discrimine tra "vecchia" e "nuova" Europa: e per dimostrare che intendono imboccare la giusta via, è tempo che gli Stati europei rinuncino, come raccomandava nei giorni scorsi il presidente Ciampi e come chiede Romano Prodi contestando l'attaccamento di alcuni al voto all' unanimità nel Consiglio europeo, ai loro piccoli e anacronistici privilegi da «principati sovrani» e facciano nascere un'autentica "patria europea".


Sergio Cofferati e Ermete Realacci

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