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Italie: da Bologna a Vibo Valentia
16.06.2005
Di Riccardo Orioles. L’Italia di Bologna (dove la maggioranza dei cittadini ha votato) e l’Italia di Vibo Valentia (dove domenica ha votato un unico cittadino). I partiti in realtà sono questi ed è una divisione molto più antica di quella fra sinistra e destra. Il fascismo solo per due brevi periodi (all’inizio e alla fine) è stato lotta politica, scontro "alto" fra progetti in contrasto. Per la maggior parte del tempo è stato semplicemente eliminazione della politica, ritorno all’Italia storica - della maggior parte della storia - divisa fra una minoranza di patrizi e chierici con la funzione di comandare è una maggioranza di sudditi con la funzione ("naturale", come i ritmi agrari e atmosferici) di ubbidire. "Alii regnant, alii orant, alii laborant". "Di tempo e signoria/ non ti far malinconia". Il buon parroco di campagna - cooptato - e il notabile di paese - ereditario - sono stati per mille anni la nostra classe dirigente naturale.

La fabbrica, l’operaio, l’operaio acculturato e in rapporto con altri, sono stati l’unica novità di questa lunga storia. Per poco più di cent’anni, con rozza vitalità, hanno introdotto novità "europee": la libertà, la democrazia, il collettivo; tutte idee fino a poche generazioni fa formalmente condannate dalla Chiesa e fino al ’43 dallo Stato. Terminata la fabbrica, la società è rifluita a poco a poco.

Si parla moltissimo, a "destra" come a "sinistra", di legalità e di consenso. Sono valori preliminari alla convivenza civile ma non postulano necessariamente una democrazia. E la grande lezione dell’Italia all’Occidente è la seguente: un paese "occidentale" e civile può benissimo reggersi con re, granduchi, papi, duci, superimprenditori, col potere assoluto. Dal ’45 al ’78 - la Prima Repubblica finì con Moro - c’è stata una parentesi democratica (ma con garanti forti, "cattolici" e "comunisti"); da allora siamo alla ricerca di qualcosa. Che può risultare una repubblica ma può benissimo essere una signoria.

È vero che non abbiamo una classe politica particolarmente brillante; ma il problema profondo sono i cittadini. Fra l’Italia del ’74 e quella del 2005 c’è un abisso non tanto politico, quanto etico e civile. Gl’italiani di allora erano, rozzamente ma caldamente, cittadini. Gl’italiani di adesso, in grande maggioranza, non lo sono. Sono simpatici, trendy, a volte persino umani - ma la cittadinanza è un’altra cosa. Ci sarà molto da lavorare per riportare ai ragazzi anche la semplice idea di come sarebbe vivere in democrazia.

Va bene, basta così. In questo paese il Presidente della Repubblica ha destato sensazione, ed è stato citato dalla stampa estera e applaudito dai cittadini, semplicemente perché è andato a votare. La parola più civile sul non-votare ("non è educativo") l’ha detta un gerarca fascista, Gianfranco Fini (cui, come a Ciano, i camerati preparano un bel processo di Verona). Le femmine - che in questo paese hanno diritti solo dal ’48 - tornano minorenni, con loro distratta acquiescenza; il corpo delle donne è troppo importante per lasciare che lo gestiscano le donne stesse. I maschi adulti, meglio se anziani e meglio se asessuati, tornano il decisore standard di tutto ciò che riguarda sesso e generazione. La minore età dei ragazzi, prima della cooptazione nell’età adulta, da tempo è stato estesa a oltre i trent’anni; e c’è relazione fra le due cose.

Tutto ciò, d’altra parte, è ormai un trend planetario, multiculturale. È cominciato nei Balcani, in Europa, quando due o tre tribù di maschi, appena libere dai vincoli dalla civiltà (il "socialismo") per prima cosa hanno immediatamente iniziato a struprarsi sistematicamente le donne; è continuata col burqa, con le violenze di massa in Africa, con gli sgozzamenti delle donne libere in Algeria, coi certificati di verginità dell’integralismo "cristiano" americano. Avanza dappertutto, è quasi dappertutto al potere, e infine ritorna qui, dove fino agli anni ’60 le donne "adultere" potevano ufficialmente essere, se non lapidate, uccise a revolverate liberamente. "Donne, occhi bassi!". Finché dura, lo slogan dei regimi è questo. Ma non durerà per sempre.

Fonte: http://www.girodivite.it/article.php3?id_article=2570

mt

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