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Tessile: ragioni di una crisi che si chiama Wto
20.06.2005
Mani Tese. L'intesa tra il commissario al commercio dell'UE, Peter Mandelson, ed il ministro del commercio cinese, Bo Xilai ha evitato l'inizio di una guerra commerciale. La Cina si impegna a limitare la crescita dell'esportazione di dieci categorie di prodotti tessili non oltre limite, variabile a seconda del bene, che va dal 8% al 12.5%. Le misure resteranno in vigore fino al dicembre del 2007, data limite anche per l'applicazione delle clausole di salvaguardia previste dall'accordo sull'ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto); dopodiché l'Ue non potrà più applicare misure per limitare le esportazione tessili cinesi. La ricetta è chiara, maggiore competitività sul mercato internazionale significa minore costo del lavoro, minori vincoli ambientali sulle produzioni. Una ricetta che l'Occidente da tempo applica visto che il 59% del Made in China che si vende nel pianeta è prodotto in realtà da imprese statunitensi, europee e giapponesi.
“E' ancora presto per fare pronostici ma la quota mondiale di mercato cinese nel giro di un anno salirà verso il 50% - precisa Roberto Meregalli dell’Osservatorio Tradewatch - del resto questo paese ha speso enormi capitali negli ultimi 15 anni per fare del tessile e abbigliamento, investendo nei soli ultimi tre anni 21 miliardi di dollari cosicché oggi è in grado di produrre in un anno 20 miliardi di capi di abbigliamento, quasi quattro per ogni essere umano del pianeta”.

Di fronte a tutto questo, il mondo politico e imprenditoriale occidentale si è mosso in ritardo, basti dire che fino a due mesi fa la commissione europea non aveva neppure stabilito le linee guida, indispensabili all'applicazione delle clausole di salvaguardia incluse nel protocollo di adesione della Cina al WTO nel 2001. “Nessuno dei discorsi sui diritti dei lavoratori e dell'ambiente è stato sostenuto in modo convincente nei dieci anni di transizione dal Multifibre ad oggi; i relativi appelli del mondo imprenditoriale risultano poco credibili oggi, soprattutto alla luce delle strategie di outsourcing e delocalizzazione applicate anche dagli imprenditori italiani” scrive Meregalli.
Il problema di fondo in questo momento rimane sulle priorità dell'agenda internazionale. Grazie alle regole del commercio volute dai Governi nel sistema dell’Organizzazione Mondiale del Commercio su spinta delle multinazionali oggi ci troviamo in Italia con una crisi senza precedenti dei distretti industriali del tessile, come nella zona di Prato. Dal paese più ricco del mondo, gli Usa, ad alcuni dei più poveri quali il Bangladesh o lo Sri Lanka, le conseguenze prospettate sono disastrose, con perdita di milioni di posti di lavoro, e lo spettro della Cina che sta conquistando quote enormi di mercato con una velocità impressionante. La stessa Cina si trova a competere con se stessa, tra le regioni a maggior reddito e quelle più povere, dove è possibile sfruttare in maniera ancora più spinta l'assenza di regole e tutele dei lavoratori e ambientali per abbassare i costi di produzione.
Per l’Osservatorio sul commercio mondiale Tradewatch “è necessaria una profonda riforma della governance internazionale a partire dal sistema delle Nazioni Unite e delle sue agenzie. E' necessario stabilire cosa si intende per commercio, e quali direttive il Wto debba seguire. E' necessario ad esempio affermare da subito che gli accordi multilaterali sull'ambiente (MEAs), quali il protocollo di Kyoto o quello di Cartagena sulla biosicurezza devono avere la precedenza ed indirizzare le regole commerciali”.

“E' inammissibile che l'acqua, l'istruzione o la sanità, solo per fare alcuni esempi, vengano negoziate alla stregua di servizi commerciali, invece di essere considerate diritti fondamentali di ogni essere umano” sottolineano le organizzazioni di Tradewatch. “Se i negoziati non garantiranno l’accesso ai servizi pubblici a milioni di persone chiederemo ai paesi in via di sviluppo di ritirarsi dalle trattative” - è quanto hanno scritto il sindacato internazinale Global Union e varie Ong in una lettera alle delegazioni della Wto.
Alla luce di queste trattative si terrà dal 25 al 30 luglio 2005 il General Council nella sede del Wto di Ginevra in preparazione della Conferenza Ministeriale di Hong Kong. L’appuntamento di luglio è da considerarsi una tappa centrale anche perché i negoziatori ritengono di essere meno controllabili che nel corso dei grandi vertici internazionali, quando anche i riflettori dei media, oltre alla pressione della società civile e dell'opinione pubblica, sono concentrati sulla Wto. Un gruppo di organizzazioni europee ma non solo, tra le quali anche ROBA dell'Altro Mondo, Arci e Attac invitano a mobilitarsi per fermare i negoziati nascosti, prima che si arrivi alla ministeriale di Hong Kong. In Italia ci si propone di dare vita a un “ Consiglio Generale dei Popoli” durante i giorni del General Council della Wto estivo a cui seguirà una mobilitazione internazionale di massa nei giorni del General Council di ottobre (19-20 ottobre prossimi). [AT]

Fonte: http://unimondo.oneworld.net/article/view/113660/1/

 

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