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Infermieri stranieri
23.06.2005
Torino, stop all'assunzione di 155 infermieri stranieri di Chiara Righetti

ROMA - Sono più di ventimila gli infermieri stranieri nelle cliniche e negli ospedali italiani: un piccolo esercito silenzioso senza il quale il sistema sanitario sarebbe in difficoltà ancora più gravi. Ma sui loro metodi di reclutamento è spesso polemica. L’ultima è scoppiata in questi giorni all’ospedale Le Molinette di Torino, dove l’Apla (associazione che rappresenta le società di lavoro interinale riconosciute dal ministero del Lavoro) ha presentato ricorso contro la prevista assunzione di 155 infermieri stranieri. L’ospedale aveva indetto una gara d’appalto vinta da due cooperative, e proprio questo punto è stato contestato nel ricorso: secondo gli avvocati dell’Apla, gli ospedali devono stipulare convenzioni dirette con le società fornitrici.

In corsia mancano almeno 40mila persone
In Italia la carenza di infermieri è un fatto: secondo le stime dell’Ipasvi (l’ordine professionale degli infermieri), oltre ai 334mila già presenti, ne servono altri 40-50mila e se in futuro si svilupperà l’assistenza domiciliare, i numeri dovranno ancora salire. Ma 40mila nuovi arrivi è il minimo per evitare i doppi turni, consentire le ferie e un lavoro di qualità. “E il fabbisogno è destinato ad aumentare - spiega Annalisa Silvestro, presidente nazionale dell’Ordine - perché i neolaureati in scienze infermieristiche sono 8/9mila l’anno, contro un turnover fisiologico di 13-14mila unità”. A questo punto è indispensabile guardare all’estero come a una risorsa: una necessità chiara a tutti, soprattutto d’estate, quando le corsie d’ospedale si svuotano di personale ma non di pazienti. Non a caso gli infermieri sono una delle poche categorie di immigrati autorizzata ad entrare in Italia fuori dal sistema delle quote.

L'infermiere è la figura più richiesta dalle imprese italiane
“Gli extracomunitari che hanno ottenuto il riconoscimento del titolo - spiega Silvestro - sono 8-9mila, ma a questi vanno aggiunti i comunitari che sono sicuramente molti di più”. In cima alla lista degli arrivi Perù, Colombia, Brasile, ma anche Romania, Bulgaria, Albania. E la richiesta cresce più dell’offerta. Sono soprattutto cliniche private, case di riposo, istituti residenziali per anziani e disabili gravi ad avere un disperato bisogno di personale. Secondo l’indagine Unioncamere sul fabbisogno di manodopera extracomunitaria nel 2004, quella dell’infermiere professionale è la figura più richiesta dalle aziende.

Come funziona per comunitari ed extracomunitari
Per gli infermieri di un altro Paese dell’Unione europea vale il principio della libera circolazione, in base a un accordo del 1974 che stabiliva i requisiti formativi che i Paesi membri dovevano garantire. “In alcuni dei paesi appena entrati nell’Unione - spiega Silvestro - i percorsi formativi non corrispondono a questo accordo. Perciò i criteri per il riconoscimento dei titoli dei neocomunitari dovranno essere ridefiniti: ma questo processo richiederà qualche anno”. Nel frattempo, secondo l’Ordine, si rischia una forma di deregulation. E resta il fatto che, se negli ospedali arriva personale poco formato, l’onere di affiancarlo resta agli infermieri già presenti in corsia, che in questo modo si ritrovano un carico di lavoro ulteriore. L’Ordine preme anche perché agli infermieri europei venga chiesto il superamento di un esame di lingua italiana, come avviene ad esempio per gli infermieri italiani che si trasferiscono in Inghilterra: “La lingua - spiega Silvestro - è ancor più importante delle competenze professionali, sia per stabilire un buon rapporto con il paziente, sia per leggere le ricette, compilare le cartelle cliniche e così via”.
Per gli extracomunitari, invece, una commissione istituita presso il ministero della della Salute si occupa della verifica dei titoli. Se il curriculum dello straniero corrisponde a un certo standard gli si riconosce il titolo. Poi resta una prova di lingua italiana come requisito per iscriversi all’albo.

La denuncia degli infermieri sfruttati
Per velocizzare le assunzioni, da qualche anno gli ospedali si rivolgono alle agenzie di lavoro interinale, che fanno le selezioni direttamente all’estero. O a cooperative create da infermieri stranieri già presenti in Italia. Ma secondo denunce arrivate da più parti, a volte la fretta di riempire le file porta gli infermieri a diventare vittime di un racket vero e proprio. L’ultimo a denunciarlo è stata l’Associazione degli infermieri stranieri in Italia, un’organizzazione nata l’anno scorso proprio per dar voce a decine di infermieri sfruttati. Secondo l’associazione, accade che cooperative di stranieri (ma anche privati italiani) vadano all’estero a “reclutare” gli aspiranti infermieri, che devono pagare una forte somma per avviare le pratiche. Il nuovo infermiere, una volta arrivato in Italia, è spesso costretto a turni massacranti e a cedere alla cooperativa che lo ha assunto una parte consistente del suo stipendio.

Per risolvere il problema selezioni dirette in Africa e America Latina
Nel frattempo però numerose iniziative per risolvere il problema sono già nate a livello nazionale e locale. “Da circa un anno - spiega ancora Silvestro - ci siamo attivati con il ministero per fare una selezione già nei paesi d’origine, in particolare nel Nordafrica e in America Latina. Il meccanismo prevede la collaborazione delle agenzie di lavoro interinale riconosciute dal ministero del Lavoro, che vanno direttamente sul posto e organizzano gli esami di lingua italiana. A svolgerli va una commissione composta da rappresentanti dell'ordine e del ministero”. Inoltre a maggio del 2004 l’Ordine lombardo ha siglato un accordo con l’Agenzia per il lavoro e la Regione per assumere 45 infermieri bulgari da inserire nelle strutture della Regione dopo una formazione adeguata. Mentre a Siena l’università per stranieri organizza corsi ad hoc per insegnare l’italiano agli infermieri immigrati. E Michele Piccoli, presidente dell’Ordine regionale infermieri di Torino, fa un passo avanti ulteriore: “In prospettiva - spiega - dobbiamo migliorare l’immagine della professione, per incentivare anche i giovani italiani a sceglierla. Ma nel frattempo dobbiamo gestire l’emergenza in termini solidali, e bloccare le forme di reclutamento illegale che a volte diventano quasi una tratta di esseri umani”.

Dal Piemonte un progetto di collaborazione con le università romene
Alcune cooperative, afferma Piccoli, arriverebbero a trattenere i documenti dei dipendenti, per impedire loro di svincolarsi una volta arrivati in Italia. Invece il reclutamento all’estero, spiega, per essere più limpido deve avvenire tramite accordi diretti fra enti pubblici italiani ed esteri. “A Torino stiamo studiando forme di collaborazione con le università straniere, in particolare in Romania, il paese dal quale arriva il 90 per cento dei nuovi infermieri. Agli studenti di infermeria romeni si insegnerebbe l’italiano dal primo anno di corso, e si darebbe l’opportunità di fare il tirocinio in Italia, garantendosi una preparazione di altro livello. Così potrebbero esercitare in Italia per quattro-cinque anni (il tempo necessario a colmare la nostra carenza di personale), ma al rientro nel loro Paese porterebbero un valore aggiunto in termini di professionalità”. E secondo il presidente dell’ordine piemontese ci sono ancora altri mezzi per rendere i flussi di personale medico più tutelati e sicuri: ad esempio stipulando convenzioni con gli enti che gestiscono le case popolari per garantire anche l’alloggio ai nuovi lavoratori.

Fonte: http://www.ilpassaporto.kataweb.it/dettaglio.jsp?id=34456&s=0

 

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