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L'ammuina del governo contro i giovani avvocati
7.06.2003
Il decreto del governo sugli esami da avvocato, ora in Parlamento, ben costituisce un caso nazionale su cui riflettere.

Con il Patto di Lisbona l'Europa si è posta l'ambizioso obiettivo di diventare entro dieci anni "l'area più competitiva del mondo" nell'ambito della nuova economia della conoscenza e nello stesso termine portare il livello dell'occupazione almeno al 70 per cento delle forze in età di lavoro.

Le più recenti indagini statistiche ci segnalano che, anche in Italia, si è invertito il trend dei consumi: oggi noi spendiamo assai più per l'acquisto di "servizi" che non per l'acquisto di merci.

Tra i servizi rientrano ormai generi diversi di attività: dai servizi alla persona a nuove attività professionali (informatici, pubblicitari, operatori dell'ambiente, del fitness ecc..).

Crescono nuove professioni, aumentano i saperi e i moduli interdisciplinari e sorgono nuove specializzazioni nell'ambito delle professioni intellettuali tradizionali: questo è il contesto della nostra epoca, un contesto da stimolare se si vuole raggiungere l'obiettivo fissato dall'Europa nel Patto
di Lisbona.

La professionalità, brand della nostra epoca, è il campo in cui crescere (in Italia oltre 4 milioni di addetti e 20% del PIL) all'insegna della libertà ma anche della qualità e della responsabilità.

Una prospettiva di crescita soprattutto per le giovani generazioni che sono una risorsa fondamentale per il Paese.

Che senso ha, in questo contesto, un decreto legge "allegramente demenziale" quale quello del ministro Castelli sugli esami di avvocato?

Con enfasi leghista, da crociato "antiCatanzaro", il ministro, senza neppure essere sicuro della propria maggioranza, introduce per decreto l'abolizione improvvisa dell'uso dei codici commentati negli esami e il "girotondo" delle correzioni per sorteggio: i compiti viaggiano da un distretto all'altro, da
Palermo a Bologna, da Bolzano a Sassari, così la correzione non sarà condizionata da "fattori locali".

Per conseguenza viaggeranno anche le decine di migliaia di aspiranti avvocati ammessi all'orale che dovranno essere giudicati dalle stesse commissioni che, per sorteggio, hanno corretto le prove scritte.

Così, pensa il governo, l'esame sarà più equo, non ci saranno disparità territoriali, e non si spenderà un euro in più (per il vero, trentamila euro, gongola il ministro, il puro costo del trasferimento dei compiti tramite polizia giudiziaria).

E' bene dire che il ministro Castelli ed il governo non sono vittime di un precoce colpo di sole.

Il problema della disparità nell'esame di avvocato e, quindi, nell'accesso alla professione c'è, eccome.

Tutti ricordiamo il curioso pendolarismo che investe, ora almeno con sei mesi di anticipo, le sedi ritenute tradizionalmente più comode per passare l'esame: in testa, appunto, Catanzaro.

E' un problema reale, giustamente sollevato dall'avvocatura nel documento unitario del congresso di Arezzo, e va dato atto al Presidente del consiglio nazionale forense Remo Danovi di averlo posto con forza.

Niente "figli e figliastri", pari opportunità di accesso alla professione, più equità e deontologia per i giovani avvocati.

L'esigenza c'è: ma sono queste le soluzioni?

Non si determina in tal modo una generale "ammuina" nazionale, senza alcuna sicurezza di maggior equità, ai sensi dell'art. 27 del Regolamento della RealMarina Borbonica: "Tutti chilli che stanno a prora vanno a poppa e chilli che stanno a poppa vanno a prora; chilli che stann'a dritta vanno a
sinistra e chilli che stanno a sinistra vanno a dritta; chilli che stanno abbascio vann'ncoppa..."

Ma non si scaricano i costi e i disagi solo sui giovani professionisti trasformando, de facto, l'esame in un concorso (ove però non si vince alcun posto "sicuro")?

Non si trasmette l'idea che si aumentano le difficoltà per proteggere gli "insider" contro gli "outsider" che sono poi le giovani generazioni?

Certo, l'ordine degli avvocati italiano è tra i più affollati in Europa: ma si cresce insieme, sviluppando le società professionali e interprofessionali, con la riforma delle professioni su cui invece il governo è diviso: non gli uni contro gli altri.

E poi, siamo sicuri di avere ben chiara l'anomalia, se cioè essa sia costituita dal 80% dei promossi di Catanzaro o dal 10% di talune sedi?

Come si può spiegare che l'accesso alle professioni, attraverso l'esame di Stato previsto dalla Costituzione, si svolge con modi ed effetti così diversi per gli avvocati, i medici, gli ingegneri ecc..?

Abbiamo formulato proposte di riforma generale basate sulla diversificazione dei tirocini e la razionalizzazione e la semplificazione degli esami: ma il governo va in direzione opposta.

Per gli avvocati è evidente che la soluzione migliore consiste in una seria verifica semestrale del tirocinio sdrammatizzando, attraverso un sistema di crediti e selezione informatica, il "terno al lotto" dell'esame finale. E consiste nello sviluppo delle scuole forensi biennali con valore abilitante
alla professione.

Nel frattempo, se si vuole, si integrino con commissari esterni le commissioni delle sedi che, statisticamente, producono risultati "anomali", in eccesso e in difetto.

Le professioni organizzate, se vogliono svolgere un ruolo adeguato al loro peso nella società, devono farsi carico correttamente del futuro delle nuove generazioni che è anche il nostro futuro.


On.Pierluigi Mantini
Resp. Naz. Professioni D.L. -La Margherita


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