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Per una buona causa?
5.07.2005
Il braccialetto di plastica è trendy. Ma è anche per una buona causa?

di Sarah Pozzoli

Milano, 4 luglio - Vai su ebay, il famoso sito di aste on line e hai l’imbarazzo della scelta. C’è il braccialetto giallo con la scritta “Live strong”, “vivi forte”, il primo e il più venduto (20 milioni di pezzi, dicono le stime), lanciato per sostenere la ricerca sul cancro dalla Fondazione Lance Armstrong, il ciclista americano che ha sconfitto il male e poi ha vinto sei volte il Tour de France. C’è quello bianco contro la miseria (“Make poverty history”, “metti la povertà nella storia”), venduto da varie associazioni di volontariato, che piace tanto ai no global, e quello bianco e blu per mandare aiuti nelle aree del sud-est asiatico colpite dallo tsunami. Poi c’è quello bianco e nero sponsorizzato dalla Nike contro il razzismo e quello azzurro della Bbc contro il bullismo nelle scuole. E tanti altri, ognuno con il suo slogan e la sua buona causa. Lì pronti a testimoniare che se li compri (a 1 dollaro negli Usa, 1 sterlina in Gran Bretagna e 2 euro in Europa, di cui il 70% dovrebbe andare alla ricerca o alla carità) fai del bene all’umanità e sei anche molto trendy.
Tutto bene dunque? Non proprio. In Gran Bretagna dove, come in America, l’accessorio di silicone è alla moda da diversi mesi (persino il premier Tony Blair si è fatto immortalare con il suo wristband, durante una visita al North London Hospital), il Daily Telegraph ha pubblicato un rapporto sconcertante. Sostiene infatti che i braccialetti contro la povertà, che fanno capo a ben 400 associazioni non profit, vengono prodotti da due aziende cinesi (la Tat Shing Rubber Manufacturing company, nella provincia di Shenzen, vicino a Hong Kong, e la Fuzhou Xing Chung Trade company, nella provincia di Fujian) nelle quali vengono violati i diritti dei lavoratori (le accuse sono di lavoro forzato, paghe sotto il minimo, niente tfr né lavoro straordinario, deduzioni di salario per questioni disciplinari, niente ferie e divieto assoluto di costituire associazioni sindacali) e non vengono rispettate le condizioni minime di igiene e di sicurezza. In seguito alle rivelazioni, alcune tra le maggiori organizzazioni (tra cui Oxfam, Cafod e Christian Aid) hanno detto che stanno negoziando con i fornitori per avere garanzie sulle condizioni minime di lavoro. E le fabbriche hanno promesso costanti miglioramenti.
Sarà. Ma se anche così fosse, la produzione e la vendita dei braccialetti non sembra per niente sotto controllo. Basta andare in un qualunque mercatino, dove le imitazioni impazzano, per accorgersene. Oppure farsi un giro su internet, per rendersi conto che c’è qualcosa che non quadra. Una blogger racconta, per esempio, di aver acquistato dei braccialetti a un raduno di moto da una persona che si è spacciata volontaria di una fantomatica associazione per le vittime della strada. Poi però ha scoperto che l’associazione era inesistente. “State attenti da chi comprate”, non fanno che ripetere le associazioni non profit. E quando decidete di farlo, dicono, fatelo attraverso le pagine web delle associazioni, i relativi negozi o comunque punti vendita conosciuti.
Ma intanto in Italia - per ora un mercato marginale, anche se in rapida espansione, per i braccialetti - chi sono i protagonisti del mercato? Assogomma (l’associazione di categoria delle imprese del settore della gomma) ha riferito che il principale player è la Mestel srl di Genova che fa capo all’ingegnere Guido Gamberini. Nelle ultime settimane abbiamo cercato di raggiungerlo più volte telefonicamente, ma non si è mai reso disponibile. A un’email di richiesta di informazioni non ha risposto.
Ingegner Gamberini, batta un colpo per favore.

Fonte: http://www.e-gazette.it/

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