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«Il movimento per le autonomie»
7.07.2005

 Valeri su La Sicilia del 1945: «Il movimento per le autonomie»
Riproponiamo ampi stralci del primo editoriale scritto per il nostro giornale dallo storico Nino Valeri.
Come è noto, le prime proposte di autonomia amministrativa regionale misero capo al famoso disegno di Cavour-Farini-Minghetti che fu respinto dagli uffici della Camera per il sospetto che la regione presupponesse una forma di unione federale che rendesse meno ferma la fede nell'unità. Il Parlamento approvò, invece (20 marzo 1865) la soluzione del sistema ammnistrativo piemontese, modellando su quello francese o belga tutto il regno, con una soluzione sostanzialmente rivoluzionaria, imposta dalla necessità di non compromettere l'esistenza stessa del nuovo stato formato di due civiltà diverse e nettamente distinte.
La preoccupazione per il Mezzogiorno fu allora l'elemento risolutore del contrasto parlamentare. Ma non si accordò il Paese, dove l'imposta unificazione fu sentita, in talune regioni, come sventura aggiunta alle altre portate dal movimento dell'unità. Nella Sicilia, specialmente, quasi tagliata fuori, fin dalla guerra del Vespro dalla vita politica e civile del continente, e orgogliosa delle sue tradizioni autonomistiche, quell'atto d'imperio che la recideva dal suo passato venne giudicato un intollerabile arbitrio, anche dai cittadini più colti e patrioti dominati ma non placati dalla «repressione» dei continentali.
Già il 18 novembre 1860, pochi giorni dopo il plebiscito, il Consiglio straordinario per la Sicilia, istituito dal prodittatore Antonio Mordini, esprimeva l'opinione (relatore Michele Amari), che convenisse salvaguardare l'unità dello stato concedendo franchigie nell'amministrazione locale (...).
Negli anni seguenti (1889) Stefano Jacini riprese la proposta recando l'esempio dell'Inghilterra dove (egli sosteneva) il decentramento istituzionale consentiva al parlamento di decidere solo degli interessi dello stato (...). In Italia invece il «connubio mostruoso» di accentramento amministrativo e di parlamentarismo trasformava i rappresentanti delle nazioni in esponenti sollecitatoti degli interessi dei propri elettori. (...) Il pericolo che dei nuovi poteri regionali venissero a impadronirsi le nuove forze del socialismo, affermatosi nell'ultimo decennio del secolo, annacquò quella fiammata di entusiasmo autonomistico.
In Sicilia il movimento autonomistico fu organizzato specialmente dal Partito Popolare, fondato da don Sturzo nel 1919, nei cui solidi quadri gli antichi risentimenti e le nuove aspirazioni trovarono una prima forma di solidarietà soffusa di tradizioni religiose, avviamento (come pensavano i capi) all'azione che il sindacato cattolico sarebbe stato chiamato a svolgere a fianco del futuro ente regionale.
Il movimento prendeva così consistenza, acquistava prestigio. Nessun partito si dichiarò ostile al decentramento (se pur sovente giocando sull'equivoco del significato della parola), salvo taluni gruppi di conservatori fuori dei quadri. Favorevoli si dichiararono, in genere, i democratici delle varie tendenze, i liberali di sinistra, e, da principio, per ragioni tattiche, lo stesso fascismo che inserì l'ordinamento regionale nel suo primitivo ultrademocratico programma. Il Giolitti interpretò (e al tempo stesso minimizzò) l'agitazione fattasi vivace anche in Parlamento, sostenendo la necessità di creare «le rappresentanze elettive delle singole regioni» e di togliere allo Stato e alle province italiane attribuzioni per darle ai nuovi enti amministrativi. Il suo era, in sostanza, il progetto Minghetti ma con la consulta elettiva.
Il fascismo, giunto al potere ed eliminata anche l'apparenza di governo costituzionale, centralizzò ogni attività nello Stato, cioè nel suo capo e nelle sue gerarchie, facendo scomparire i superstiti vestigi di autonomie locali.
Oggi il problema è avviato ad una soluzione radicale in senso autonomistico, non in forza d'argomenti teorici (tanto validi, per se stessi, quanto gli opposti in favore dello accentramento), ma sotto lo spirito delle necessità politiche dell'ora e della volontà concorde di tutti i partiti. Tanto varrebbe non parlarne più. Tuttavia il riesumare le polemiche del passato, così ricche di idee e di spunti, potrà servire, se non altro, di remora o di preparazione alle inevitabili illusioni che seguiranno certamente l'invocata riforma.
NINO VALERI
(«La Sicilia», 6 aprile 1945)

Fonte: http://www.lasicilia.it/giornale/0707/terza_pagina/cs01/a10.htm

mt

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