29.07.2005
Disastro doloso. È il reato, punito con il carcere fino a dodici anni, contestato nei tre avvisi di garanzia per disastro doloso ai proprietari della Eternit, per quasi 1.300 decessi dovuti ad esposizione all'amianto.
La procura di Torino ha indagato sulle morti avvenute negli stabilimenti italiani di Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli). Indagati i vertici d'allora della multinazionale svizzera Eternit, i fratelli Thomas e Stephan Schmidheiny, membri di una delle più note e ricche famiglie elvetiche, e un belga, il barone Louis de Cartier de Marchienne.
I legali delle vittime dell'amianto in Italia chiedono alla sede italiana di Eternit il sequestro conservativo di 60 milioni di euro, cioè il patrimonio di Stephan Schmidheiny, per risarcire i lavoratori e i familiari colpiti dal mesotelioma. E' prima volta che i fratelli Schmidheiny, imprenditori svizzeri ben piazzati nella classifica Forbes dei più ricchi del mondo, verranno chiamati a rispondere in un interrogatorio.
Oggi, le storie dei due ricchissimi ereditieri hanno preso strade diverse. Thomas ha lavorato sempre nell'azienda di famiglia ed è stato azionista di riferimento della multinazionale del cemento Holcim, mentre Stephan, grande collezionista d'arte moderna, ha cominciato a investire in tecnologie ed energie alternative e a contribuire, tramite la Avina Foundation, in progetti di sviluppo sostenibile.
Secondo il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, l'amianto veniva impiegato anche al di fuori degli stabilimenti: per la lavorazione di strade, tetti, opere murarie nel cortili, spesso servendosi di materiale di scarto. Questo ha portato a una situazione di pericolo per la "pubblica incolumità ": gli abitanti, infatti, sempre secondo la procura, non erano stati avvertiti dei rischi derivanti dall' esposizione al minerale-tossico. Il procedimento, avviato nel 2003 per chiarire le cause della morte di alcune decine di operai italiani, ha subito oggi una svolta.
L'indagine, infatti, riguardava in un primo tempo solo l'azienda che si trovava in Svizzera e i rappresentanti italiani di questa. Solo in un secondo momento i pubblici ministeri torinesi hanno esteso i controlli anche alle filiali italiane e ai massimi vertici della multinazionale.
Si è arrivati a studiare, così, i casi di 1.300 persone morte a partire dal 1970.
Stefano Carnazzi
Fonte: http://www.lifegate.it/ambiente/articolo.php?id_articolo=2024
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