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Referendum sull'art.18: Il Marchese del
9.06.2003

A pochi giorni dal referendum del 15 di giugno un’ultima riflessione da parte del magistrato Michele Di Schiena (Brindisi) sulle ragioni tecnico politiche a sostegno dell’estensione a tutti i lavoratori della garanzie previste dall’art. 18.

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REFERENDUM SULL’ART. 18

IL MARCHESE DEL GRILLO

Il referendum sull’art. 18 propone una immediata modifica legislativa di evidente giustizia: che i lavoratori delle imprese minori non vengano privati del posto di lavoro nel caso di una “cacciata” del tutto ingiustificata. Nel caso cioè di un licenziamento senza “giusta causa” e senza neppure un “giustificato motivo”, ipotesi questa ultima nella quale rientrano tutte quelle situazioni che, tenuto anche conto delle limitate dimensioni di certe imprese, risultano tali da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro. E’ chiaro allora che il successo del referendum sull’art. 18 non danneggerebbe le piccole imprese correttamente gestite che risulterebbero, peraltro, meglio tutelate contro la concorrenza “sleale” di quelle che assumono in nero e negano i diritti.

Va poi considerato che la legge attuale prevede, in caso di licenziamenti ingiusti di lavoratori occupati in imprese con meno di 16 dipendenti, solo un irrisorio risarcimento (da due e mezzo a sei mensilità) che non indennizza il dipendente dei danni subiti e non costituisce deterrente contro le ingiuste espulsioni. Per contro, con l’estensione dell’art. 18 a tutti i lavoratori, il dipendente arbitrariamente licenziato otterrebbe la totale eliminazione degli effetti del licenziamento con la reintegra nel posto e col risarcimento dell’intero danno subito mediante il pagamento delle retribuzioni non ricevute dal giorno del licenziamento e fino alla riammissione in servizio. E’ quindi falso affermare che c’è un’adeguata tutela per i lavoratori delle piccole imprese: la verità è che essi sono oggi alla mercé del datore di lavoro.

Con buona pace di chi tenta di coprire con la parola “modulazione” la sostanziale negazione di un sacrosanto diritto, va poi ribadito che una somma di danaro non può mai compensare i pregiudizi economici, le frustrazioni psicologiche ed i drammi familiari di chi viene ingiustamente privato del lavoro. Ed è per questo che l’istituto della reintegra nel posto di lavoro è una delle più rilevanti traduzioni in termini normativi di quella “filosofia” costituzionale che vede nel lavoro l’attività umana nella quale deve realizzarsi, in armonica sintesi, la personalità del prestatore d’opera e la crescita civile della comunità. Una concezione che impone di non trattare la prestazione lavorativa, in quanto parte integrante e momento espressivo dell’uomo-lavoratore, come una merce e di non disciplinare il rapporto di lavoro come gli altri rapporti contrattuali per i quali è prevista, in caso di ingiusto recesso, soltanto la sanzione del risarcimento pecuniario.

Ma c’è di più: strada facendo il referendum sull’art. 18 è divenuto un prezioso strumento di autotutela nelle mani dei lavoratori delle grandi e medie imprese contro i licenziamenti illegittimi. L’art. 1 lettera p della Legge “delega” del 14 febbraio 2003 n° 30 in materia di mercato del lavoro liberalizza infatti al massimo la cessione del “ramo d’azienda” eliminando il requisito finora necessario per la legittimità del trasferimento costituito dalla preesistenza della “autonomia funzionale” alla cessione del “ramo” medesimo. Ciò significa in pratica che le aziende con più di 15 dipendenti potranno senza ostacoli frantumarsi fittiziamente in diverse piccole aziende (ognuna con meno di 16 dipendenti) per sottrarre i rapporti di lavoro all’obbligo della reintegra. Il successo del referendum è quindi un mezzo efficace per bloccare immediatamente questo tortuoso progetto che punta all’abrogazione di fatto, e per tutti, dell’art. 18.

Ed infine, se così stanno le cose, una domanda si impone: per quale motivo il titolare di una piccola impresa, prevaricatore e dispotico, non dovrebbe essere obbligato, dopo un regolare processo, a reintegrare nel suo posto un lavoratore arbitrariamente licenziato? L’unica plausibile risposta è quella del Marchese del Grillo, interpretato nell’omonimo film da Alberto Sordi, il quale, interpellato sulle ragioni di ingiustizie e discriminazioni, prorompe in una espressione carica di cinismo e di arroganza che può essere così emendata nel suo colorito termine conclusivo: “Io sono io e voi non siete un … nulla”. Quel trattare appunto i dipendenti come un “nulla” denunciato con tanto coraggio da un recente film (“Il posto dell’anima”) che mette in drammatica luce la condizione dei lavoratori sempre più colpiti nei loro diritti tra licenziamenti arbitrari e malattie professionali.

Brindisi, 9 giugno 2003

Michele DI SCHIENA

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