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Otto per mille «islamico» contro il terrorismo
20.08.2005
Otto per mille «islamico» contro il terrorismo
di Aly Baba Faye, responsabile nazionale Immigrazione Ds

In un articolo pubblicato sull'Unità del 26 luglio, ho affrontato la questione del coinvolgimento delle comunità islamiche nella lotta contro il terrorismo. In quell'articolo avevo auspicato un protagonismo attivo e un coinvolgimento effettivo delle comunità islamiche nel quadro di un'alleanza strategica per battere il terrorismo; ho anche cercato di indicare delle piste da battere sia sul fronte della prevenzione (controllo, sorveglianza e informazione) così come su quello investigativo (raccolta di informazioni, monitoraggio continuo e ricerca di prove). Infine, avevo anche l'urgenza di definire in tempi brevi un'intesa tra lo Stato italiano e le comunità islamiche per «istituzionalizzare» l'Islam in Italia facendolo uscire dalle pallude dell'informalità e della nebulosità. A giudicare dalle reazioni di molti esponenti delle comunità, l'articolo ha colto nel segno e ancora sta facendo discutere. Se in generale c'è consenso sull'articolo, dubbi e perplessità ha invece suscitato la proposta di istituire un Fondo nazionale per il culto islamico.

L'idea è quella di creare un Fondo finanziato in parte dagli stessi musulmani con la devoluzione dell'otto per mille e con i versamenti della Zakat ovvero quel pilastro dell'islam che incombe su ogni musulmano adulto. Rammento en passant che la zakat è stabilita in una misura pari al 25 per mille del reditto annuo di ciascun musulmano adulto e non incide sul capitale investito ma sul guadagno e perciò non si può definire una vera e proprio patrimoniale ma ha tutti i crismi della progressività e dell'equità. Il monte finanziario complessivo dei versamenti della Zakat delle comunità islamiche d'Italia è stato stimato a circa 200 milioni di euro nel 2004. Finora la parte più consistente di questa massa monetaria veniva trasferita nei paesi di origine dei fedeli immigrati spesso attraverso canali informali quali la hawala o il hundi molto diffusi in diverse parte dell'Asia minore, del Medioriente e dell'Africa. Questi canali di trasferimento poggiano su sistemi difficilmente controllabili in quanto non lasciano alcuna traccia scritta. L'altra parte che rimane in Italia viene data a moschee o centri islamici più o meno strutturati o ancora a gruppi informali di «fund raisers» occasionali che sorgono spontaneamente e contestualmente alla pregheria di fine Ramadan, momento in cui molti fedeli decidono di devolvere la loro zakat.

Comunque, la proposta ha sollevato reazioni contrastanti tra chi lo vede con favore e chi manifesta perplessità e scetticismo. I favorevoli ne intravedono uno strumento utile per mettere finalmente questa massa di denaro al servizio della comunità islamica d'Italia. I perplessi sembrano argomentare che sia meglio versare la zakat nel proprio paese di origine in quanto servirebbe più là ovvero in quei paesi di provenienza spesso più poveri dell'Italia e perciò più bisognosi di quel flusso finanziario che certamente può rappresentare una boccata d'ossigeno. C'è chi inveve manifesta perplessità e solleva anche dubbi sulla gestibilità di un fondo del genere e sulla funzionalità. Inoltre, c'è anche una diatriba di natura dottrinale sulla destinazione geografica del monte finanziario della zakat degli immigrati di fede islamica ovvero se debba essere versato nel paese di provenienza oppure in quello di residenza. In ogni caso non avendo sufficiente conoscenza in materia di Fikh, cioè di diritto islamico, non sono in grado di dire quale tra le due tesi abbia più fondamento e validità rispetto ai dettami del diritto islamico. La mia è una proposta ispirate al «buon senso» pur essendo consapevole della debolezza di questo mio riferimento rispetto a prescrizioni «divinamente ispirate». Quindi si tratta di una proposta che ha come finalità la responsabilizzazione delle comunità islamiche assumendo i connotati di una netta scelta di campo rispetto alla lotta contro il terrorismo di matrice «islamista».

Poiché la pianificazione e l'esecuzione di attività terroristiche necessitano di fondi consistenti, un modo efficace di contrasto consiste nell'impedire l'accesso dei terroristi ai mezzi anche finanziari. Credo sarebbe un segnale forte e concreto se la comunità islamica dimostrasse di voler giocare tutto sulla trasparenza e prendesse misure concrete per impedire che i flussi finanziari finiscano in mano a terroristi. Se si conviene sul fatto che il terrorismo va combattuto, se si conviene che in questa battaglia le comunità islamiche debbono essere protagoniste attive senza indugi né tentenamenti allora non si può ignorare il fatto che uno dei modi è anche quello di privarlo dei mezzi finanziari necessari per il dispiegamento del suo piano di azione. In tal senso, l'istituzione del Fondo con le caratteristiche e le finalità che ho evocato rappresenta un fatto concreto che dà certezza che i soldi dei fedeli non finiscano, all'insaputa gli stessi, in circuiti connessi con il terrorismo. Creare un diga per contenere i flussi finanziari è un atto concreto e un imperativo morale. Inoltre si tratta di una scelta di responsabilizzazione delle comunità islamiche nonché un passo decisivo per creare un islam «italiano» investendo nella formalizzazione delle moschee, delle scuole coraniche e dei cimiteri dimostrando così di avere un legame effettivo di rispetto con il territorio dove si vive e rifiutando categoricamente l'idea che il paese che ci ospita sia un Dar el Harb ovvero territorio di guerra. È quindi un'assunzione di responsabilità nei confronti non solo dell'Italia ma di tutta la comunità internazionale che cerca dei modi di privare i terroristi dei loro beni.

A tal proprosito vorrei ricordare la Convenzione internazionale del 10 dicembre 1999 per la repressione del finanziamento del terrorismo adottata dall'Assemblea delle Nazioni Unite che è un dispositivo di lotta contro il terrorismo e che rappresentava allora un passo avanti rispetto alle convenzioni precedenti in quanto impedisce sia alle persone che agli organismi di fornire o raccogliere fondi destinati a sostenere azioni o gruppi terroristici e poi stabilisce una strategia globale di lotta contro il terrorismo. La risoluzione 1373 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottata in seguito agli attacchi alle Torri gemelle, va anche in quella direzione chiedendo agli stati membri delle Nazioni Unite di adottare misure vigorose contro il finanziamento di attività terroristiche.

Infine, poiché dai molti esperti di islam e intellettuali musulmani abbiamo avuto solo analisi clonate e riflessioni ripetute di psicologia dei gruppi o sociologismi astratti e noiosi, ho ritenuto doveroso e più utile cimentarmi sul terreno dell'azione e della concretezza avanzando proposte che possono più o meno piacere ma che certamente hanno il merito di indicare una strada per rendere effettivo il coinvolgimento delle comunità islamiche d'Italia nella lotta senza quartiere contro un terrorismo sempre più nemico dell'islam e dell''umanità. Se è urgente la definizione di un intesa allora occorre individuare non solo i contenuti valoriali ma anche gli strumenti e le modalità per superare la rassegnazione ad un islam in Italia per creare finalmente un islam «italiano» ovvero integrato nel contesto politico e socioculturale in coerenza che i valori della Costituzione.

Fonte: www.unita.it
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