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Il paese dei balocchi di Nicola Furini
21.08.2005

Il paese dei balocchi

L’Italia è nel pieno di una crisi socio-economica epocale, nonostante l’ostinato ottimismo del Presidente del consiglio, convinto che tutto stia invece andando per il meglio. Nella situazione attuale, possiamo leggere preoccupanti analogie con lo scenario che solo tre anni portava l’Argentina nel baratro. Allora, quale futuro ci attende? E se a patire la fame fossero un giorno i nostri figli? Che fare per evitare il peggio?

Tra cinque anni i rumeni potrebbero essere più ricchi di noi, come lo sono ora gli spagnoli e tutta l’Europa occidentale. Se nulla cambierà, ci aspetta un futuro di nuova povertà. La società D&B (Dun & Bradstreet, leader mondiale nel rating e recupero crediti) ha pubblicato insieme al Sole 24 Ore un “Rapporto sull’economia italiana ed europea” nel quale si conferma il declino del nostro Paese, già ampiamente sottolineato anche dal Wall Street Journal e The Economist. "Gli italiani non hanno ancora capito del tutto quanto sia brutta la loro situazione. L’Argentina è l’esempio più calzante di quello che l’Italia sta diventando”. Così ha chiosato David Hale -economista americano di fama mondiale e consulente anche di Bush Jr-, durante l’incontro per le relazioni tra Italia e Stati Uniti tenutosi lo scorso giugno a Venezia.

Con un tale scenario all’orizzonte, un Paese governato da persone sagge e lungimiranti dovrebbe rivedere le priorità della propria agenda politica, introducendo magari anche la tutela della sovranità alimentare. Ci sono Paesi anche molto simili al nostro -per cultura, standard di vita, ricchezza- alle prese con crisi inimmaginabili fino a poco tempo fa.

La “lezione” Argentina

Prendiamo come esempio emblematico il caso Argentina: un Paese di 37 milioni di abitanti (quasi la metà di origine italiana), un reddito pro-capite che negli anni '50-’60 era più elevato di quello italiano, problemi razziali o demografici molto contenuti, una popolazione con un buon livello generale di cultura, una forza lavoro ben qualificata, una classe media consistente, con propensione al consumo e standard di vita paragonabili a quelli europei. Bene. Durante la gravissima crisi economica scoppiata nel 2001, un paese come l’Argentina -potenzialmente in grado di sfamare dieci volte tanto la sua popolazione- si è trovato a fronteggiare un’incredibile situazione di crisi alimentare. In un comunicato di Save the Children del 27/11/2002 si legge: “Tre bambini muoiono ogni giorno in Argentina per fame o per malattie legate alla malnutrizione. Il 63% dei nati nell’ultimo anno, circa 222.000 bambini, sono figli di famiglie indigenti, con scarse possibilità di soddisfare il fabbisogno alimentare minimo. Sono in tutto 8,6 milioni i bambini e gli adolescenti argentini che vivono in povertà. Almeno 2,6 milioni di loro hanno meno di cinque anni. Dall’inizio dell’anno sarebbero morti per patologie legate alla malnutrizione quasi 1.000 bambini, ma soltanto nelle ultime settimane i medici hanno cominciato a denunciare con regolarità la causa dei decessi.”

La “disavventura” del Paese sudamericano dovrebbe preoccupare seriamente anche noi, popolo del vecchio continente. Possiamo infatti osservare una lunga catena di analogie tra la situazione socio-economica italiana attuale e quella Argentina del periodo precedente la crisi del 2001 (e di cui di seguito si riportano alcuni brevi accenni):


Privatizzazione dei servizi pubblici di base (sanità, istruzione, previdenza, acqua) a beneficio di capitali privati e stranieri, con conseguente perdita di controllo sociale sull’operato dei nuovi gestori, più interessati -com’è naturale attendersi- a perseguire il proprio privato interesse piuttosto che il bene di tutti.

Delocalizzazione degli insediamenti produttivi (in Argentina le delocalizzazioni interessavano il vicino Brasile, in Italia interessano il vicino est Europa e l’Asia). Questo processo produce un forte disequilibrio nel mercato del lavoro interno (disoccupazione, sottoccupazione, mobilità non desiderata), aumentano a dismisura le importazioni dall’esterno a scapito della produzione interna.

Parità monetaria forzata (in Argentina, la parità riguardava il Peso nei confronti del Dollaro USA; in Italia, abbiamo abbandonato la Lira per l’Euro). Con la parità forzata i prezzi si mantengono stabili ma alti, la produzione interna non è più competitiva e diventa più conveniente importare dall’esterno. La gente vive al di sopra delle proprie effettive possibilità, grazie anche al ricorso crescente dell’indebitamento.

Crescita dell’indebitamento delle famiglie: in Italia, il credito al consumo -pagamenti a rate, carte di credito, etc.- è cresciuto del +14% nel solo 2004 rispetto al 2003, con 60 Mld di €uro complessivamente erogati. Si compra oggi, si paga domani in “comode rate”. Si è spinti continuamente a spendere anche i soldi che non si hanno. Tutto va bene -per modo di dire- fino a quando il meccanismo non si inceppa. Basta un imprevisto e i debiti accumulati nel tempo, quasi senza rendersene conto, diventano un incubo.

Elevato tasso di corruzione: in Argentina il malcostume era legato alla cattiva amministrazione pubblica. In Italia dobbiamo fare i conti con un elevatissimo tasso di evasione fiscale, “benedetta” addirittura dal Presidente del consiglio.

Forte indebitamento pubblico: in Italia, il debito ha raggiunto quota 106% rispetto al PIL, quarto al mondo per dimensione assoluta. Un debito pubblico di tale entità è considerato dagli economisti una sorta di “bomba ad orologeria”.

Preferenza degli investitori per le rendite di tipo finanziario a scapito degli investimenti produttivi (i soldi vengono usati per “fare altri soldi” e non per creare beni, servizi e opportunità di lavoro).

Demolizione della normativa di tutela del lavoro e di protezione sociale (welfare state). In Italia, oltre due milioni di lavoratori precari stanno sperimentando sulla propria pelle gli effetti di una legge sciagurata che -con dimostrazione di pessimo gusto- è stata persino “battezzata” con il nome del compianto prof. Biagi.

Debolezza nelle relazioni e legami di solidarietà sociale, specialmente tra la città e la campagna (in Argentina il tasso di urbanizzazione tocca quasi il 90%; in Italia siamo a quasi il 70%, in costante aumento).

Pur riconoscendo che le cause della crisi Argentina sono molteplici, concomitanti e complesse, e che la situazione italiana presenta elementi di specificità e di differenziazione, le analogie sopra richiamate appaiono in ogni caso piuttosto inquietanti. Ma se la maggior parte delle cause citate riguardano elementi di politica economica e sociale -difficilmente modificabili, almeno nel breve periodo-, l’ultima questione (relazioni e legami sociali deboli) lascia aperti degli spazi per il buon senso e l’iniziativa di ciascuno. Nei comportamenti delle persone, domina ancora oggi l’individualismo e la ricerca del profitto ad ogni costo. Ma dalle rovine di questi (dis)valori, che hanno dimostrato la vocazione al fallimento, sta emergendo la consapevolezza che le relazioni e i legami sociali rappresentano un bene preziosissimo: un bene "umano", ma anche "economico".

Ed infatti è stato proprio il rafforzamento delle reti di relazioni e dei legami sociali ad agire come principale fonte di sollievo degli effetti della crisi Argentina sulla popolazione. A titolo di esempio, ricordiamo l’attività dei gruppi di auto-produzione (pane, vestiti, mattoni, etc.) o di mutuo appoggio (assistenza a bambini, anziani, malati), le iniziative di acquisto collettivo da parte di gruppi di famiglie (simili ai nostri GAS), l’occupazione delle fabbriche abbandonate (rimesse in condizione di produrre grazie all’intervento degli operai in precedenza licenziati). Molto interessante anche l’esperienza dei Club de trueque (circoli del baratto), reti di scambio di merci e servizi che fanno appello al principio di mutua solidarietà e alla capacità di mettere in comune beni e competenze, e per i cui scambi viene utilizzata una moneta alternativa -definita complementare o sociale- coniata dalla comunità locale di riferimento. Queste reti erano per fortuna attive in Argentina sin dal 1995 e ne fanno tuttora parte alcune migliaia di gruppi (piccole comunità locali), cui si stima facciano riferimento almeno una decina di milioni di persone.

Qualche buona ricetta per l’Italia

Mentre i segnali d’allarme per il nostro Paese si fanno sempre più seri e concreti, non mancano per fortuna i potenziali “sistemi di protezione”. Alcuni, almeno per ora, solo oggetto di buoni auspici; altri invece sono già una realtà in quanto frutto di buone pratiche sperimentate da tempo. Vediamo assieme alcuni spunti.

Pagare le tasse, tutti

Il grande economista italiano Paolo Sylos Labini, recentemente intervistato da Rai Med, ha evidenziato quella che ritiene la più ovvia ed efficace ricetta per uscire dalla crisi: «combattere -per davvero- l’evasione fiscale». In Italia, il 40% dell’economia è “sommersa” (sfugge cioè a qualunque forma di imposizione fiscale). È pertanto urgente il varo di una riforma in grado di intercettare tutti i redditi, non solo su quelli dei lavoratori dipendenti. Soluzioni efficaci vengono suggerite dall’esperienza collaudata in altri Paesi nel mondo. Basterebbe, per esempio, dare alle famiglie la possibilità di dedurre le spese sostenute per pagare le prestazioni di professionisti e lavoratori autonomi. Con un sistema di controlli incrociati -sul modello USA- il fisco verrebbe a conoscenza dei redditi attualmente “sconosciuti”, recuperando così risorse per finanziare borse di studio, la ricerca scientifica, infrastrutture, etc. Approfondimenti su

Tassare le rendite finanziarie

Un’altra strada equa e praticabile per recuperare le risorse necessarie a invertire il declino, e tentare il rilancio del Paese, è costituita dalla tassazione delle rendite finanziarie. L'enorme accumulo di ricchezze da rendita nelle mani del 5% della popolazione, non solo toglie risorse al restante 95%, ma è esso stesso fattore di depressione dell'economia. L'accumulo da rendita (spesso correlato alla pratica dell'evasione fiscale) non determina né investimenti produttivi né il rilancio dei consumi. Marco Follini, nella relazione di apertura al secondo congresso dell'Udc, si è recentemente espresso dichiarando che «esiste uno squilibrio tra il patrimonio e il lavoro, tra l'economia reale e l'economia finanziaria, tra i soldi fatti facendo cose e i soldi fatti facendo soldi. È uno squilibrio ingiusto, e va corretto. è arrivato il momento di infrangere questo tabù e di alzare la tassazione sulle rendite finanziarie. Solo così si può pensare di rastrellare quel minimo di risorse che serviranno a rimettere in movimento qualche rotella del nostro anchilosato meccanismo di sviluppo». E il segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta, nella relazione introduttiva del XV congresso della Cisl ha rincarato il concetto affermando che: «la rendita tassata al 12,5% e il lavoro al 40% non sono sostenibili da un Paese che deve rilanciare l'accumulazione e ridistribuire le risorse».

Accesso alla terra

Molti pensano che la riforma agraria sia un problema del Brasile di Lula. Ma l’accesso alla terra è un diritto che anche da noi è praticamente negato per chi non è figlio di un proprietario terriero. I prezzi dei terreni italiani sono stratosferici, slegati dal loro reale valore produttivo, sottoposti ad una eterna pressione speculativa che conferisce loro valore in quanto potenzialmente edificabili. In questi ultimi anni, il mercato della terra ha infatti registrato gli stessi aumenti che in tutta Italia hanno fatto lievitare i prezzi delle case. La terra è divenuta un bene rifugio e i grandi investitori la trattano al pari degli altri beni immobili. Servirebbe una riforma agraria in grado di facilitare la possibilità di esercitare il diritto alla terra e promuovere un uso sostenibile di questa risorsa che ci viene prestata dai nostri figli. È necessario un intervento deciso che possa calmierare i prezzi, liberandoli dagli effetti della speculazione edilizia.

Un orto per tutti

Un modo per ovviare alla difficoltà di accesso alla terra consiste nell’assegnazione degli orti sociali. Si tratta di piccoli appezzamenti di terreno -con una superficie generalmente compresa fra i 30 e i 50 metri quadrati- che di solito i comuni mettono a disposizione dei cittadini che ne fanno richiesta (solitamente anziani in pensione, ma non solo). Questi piccoli appezzamenti vengono autogestiti dagli assegnatari, opportunamente recintati e dotati di impianto di irrigazione. La pratica degli orti sociali mantiene e vitalizza le capacità fisiche e le conoscenze ortofrutticole, promuove forme di socializzazione, trasmette la conoscenza delle tecniche di produzione agricola alle nuove generazioni. Il contributo alla tutela dell’autosufficienza alimentare non è trascurabile: con la tecnica dell’orto a quadretti, si stima bastino pochi metri quadrati di superficie per fornire verdura fresca ad una famiglia intera per quasi tutto l’anno. Le esperienze in Italia sono piuttosto interessanti: in una città di medie dimensioni come Bologna sono disponibili circa tremila orti sociali, più altri cinquemila nella cintura suburbana. In Gran Bretagna è attiva la Federation of city farms and community gardens, cui fanno riferimento assegnatari degli orti sociali e titolari di fattorie didattiche. A New York, da oltre 30 anni, prosperano le iniziative del gruppo "Green Guerillas", protagonista della conservazione di oltre settecento giardini e aree verdi nelle zone urbane, specialmente quelle più degradate.

Il controllo dal basso dei GAS (Gruppi d'acquisto solidali)

La pratica dei GAS costituisce uno dei mezzi più efficaci per promuovere lo sviluppo delle piccole produzioni locali, la creazione di un'economia solidale e per riportare il controllo della filiera agro-alimentare in mano ai diretti interessati: produttori e consumatori, uniti da relazioni dirette basate sul principio di reciproca e mutua solidarietà. In questo contesto, ciascuno riconosce il valore del lavoro e dei bisogni dell'altro, secondo un modello di pari dignità e priorità. I piccoli produttori e i loro clienti concordano prezzi e modalità dello scambio, con enormi benefici per entrambe le parti e per l'ambiente: un prezzo più giusto per il produttore, un costo minore per l'acquirente -con la certezza di acquistare cibi sani- e con un minore impatto ambientale.

Partecipazione politica e democrazia

In poche settimane, tra aprile e maggio di quest’anno, con l'iniziativa e la determinazione di alcuni protagonisti della società civile sono state approvate due leggi molto importanti, destinate a divenire pietre miliari del welfare state in Italia. Si tratta della "+Dai -Versi" (legge sulla disciplina delle donazioni, promossa dal settimanale Vita, Forum Terzo Settore, Summit della Solidarietà) e l’istituzione dell'impresa sociale, nata da un'iniziativa di legge popolare. L’approvazione di queste leggi testimonia come sia possibile un protagonismo “dal basso” anche nel terreno della politica, intesa come spazio per pensare e progettare provvedimenti che migliorano concretamente la vita di tutti. La partecipazione e l’attivismo, anche politico, dei cosiddetti “movimenti” è indispensabile: non è più possibile accontentarsi di delegare le scelte che riguardano il futuro di tutti a questa classe politica che -a tutti i livelli- sta dimostrando un profilo che da 60 anni a questa parte non è mai stato così basso. Interessanti esperienze si stanno compiendo in molte città con sperimentazioni di bilancio partecipativo e di referendum propositivo.

Banca del tempo e reti di solidarietà

La Banca del tempo agisce come stimolo per la (ri)costruzione di una rete di solidarietà tra persone e come luogo di attivazione di rapporti di buon vicinato e di relazioni sociali. Il modello Banca del tempo si caratterizza per la pratica dello scambio di beni e servizi su base personale e locale, senza intermediazione monetaria. I rapporti interpersonali riacquistano una dimensione umana: domanda e offerta (di tempo) non rispondono alle regole del profitto, ma alla valorizzazione dei vissuti individuali e collettivi. Attribuire al tempo un valore non monetario, favorisce lo scambio paritario tra i soggetti come possibile soluzione alle necessità derivanti dalle piccole esigenze quotidiane. Le amministrazioni pubbliche locali (soprattutto i comuni) tendono a sostenere le iniziative di banche del tempo in quanto espressione di autodeterminazione e autorganizzazione tesa a creare forme di solidarietà spontanea fra i cittadini.

Energie rinnovabili

Oramai è partito il conto alla rovescia per l’annuncio del definitivo esaurimento delle riserve di combustibili fossili, principale fonte di energia dell’attuale modello di sviluppo. Il prezzo del “greggio” è costantemente cresciuto nel corso degli ultimi anni, ma i nostri politici non hanno ancora trovato il coraggio necessario per abbandonare il paradigma dell’economia del petrolio per concentrare finalmente gli investimenti nelle fonti rinnovabili, più economiche e pulite. Già nei prossimi anni, la questione energetica potrebbe diventare un problema davvero spinoso, ragion per cui è prudente giocare con il necessario anticipo e attrezzarsi di conseguenza. L’offerta di strumenti per la produzione di energia da fonti rinnovabili è già oggi considerevole: in Italia, operano varie decine di aziende produttrici di pannelli solari (termici per la produzione di acqua calda, oppure fotovoltaici per la produzione di energia elettrica), generatori eolici, impianti per lo sfruttamento delle biomasse, etc. La tecnologia ha compiuto veri passi da gigante e l’efficienza energetica raggiunta dai moderni impianti migliora costantemente. Grazie anche ai contributi pubblici -disponibili in differente misura a seconda della regione-, i costi per l’installazione di impianti solari o eolici domestici sono orami accessibili a (quasi) tutti.

In Danimarca, l'eolico soddisfa circa il 20% del fabbisogno elettrico complessivo (Germania e Spagna coprono oltre il 5%). In Italia la crescita dell'eolico, dopo un buon avvio, ha incontrato resistenze e ha rallentato bruscamente. Anche il mercato del solare termico ha ripreso a crescere al ritmo del 25% annuo. La Germania nel solo 2003 ha installato 750mila mq di pannelli (quasi il doppio della superficie operativa in Italia), mentre la Grecia ha superato i 2.800.000 mq.

Conclusioni

Le riflessioni qui proposte possono destare qualche perplessità e far storcere il naso a molti “esperti”: economisti infallibili, opinionisti tuttologi, politici dispensatori di ottimismo e buonumore, imprenditori filantropi, etc. Poco male. Chi scrive -come tanti altri cittadini- è stufo di essere trattato e considerato come un somaro da manovrare a piacere per portare il fardello delle menzogne che coprono le reali motivazioni di schiere di politici incompetenti, amministratori pubblici corrotti, sindacalisti abiurati, imprenditori di un’avarizia senza fondo. Quello di cui questa gentaglia ha bisogno è l’ingenuità del “popolo”, che si costruisce e si mantiene con il controllo dell’informazione, con la persuasione della pubblicità che conforma e manipola le abitudini. Ma il cambiamento è alla nostra portata. Dipende da ciascuno di noi.

Nicola Furini
da Criticamente.it

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