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Armi: record di autorizzazioni
27.08.2005
Analisi dei dati della Relazione 2005 sull’export di armi italiane

Aria di festa nell'industria bellica italiana. Nel generale declino del "made in Italy" il comparto armiero ad uso militare - eufemisticamente denominato "industria della difesa" - colleziona infatti nuove autorizzazioni all'esportazione per quasi 1,5 miliardi di euro con un incremento del 16% rispetto all'anno precedente segnando così la cifra record dell'ultimo quadriennio: un periodo nel quale il comparto ha accresciuto il proprio portafoglio d'ordini di ben oltre il 72%, passando dagli 863 milioni di euro del 2001 agli oltre 1489 milioni di euro del 2004. Sette autorizzazioni del valore complessivo di oltre 700 milioni di euro coprono quasi la metà del totale delle nuove commesse. Sono i dati ufficiali che si ricavano dalla "Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento e dei prodotti ad alta tecnologia per l'anno 2004" trasmessa dalla Presidenza del Consiglio al Parlamento nel marzo scorso.

Il Governo tende a rassicurare sulle destinazioni sottolineando che ai primi posti ai primi posti figurano Regno Unito (15,5%), Norvegia (13,3%), Polonia (8,9%), Portogallo (8,5%), Stati Uniti (6,5%) e Grecia (5,7%): tutti stati dell'area Ue-Nato che quest'anno riceve oltre l'80% delle nuove commesse facendo segnare una significativa inversione di tendenza rispetto all'anno precedente quando le destinazioni Nato ricoprivano solo il 45% dell'intero portafoglio d'ordini.

I problemi permangono

Ma i problemi permangono. La lista delle 690 nuove autorizzazioni concerne, infatti, ben 65 Paesi tra cui, subito dopo le sopraccitate nazioni dell'area Nato-Ue, compare la Malaysia che nel 2004 con oltre 74 milioni di euro per elicotteri Agusta si aggiudica il 5% delle nuove commesse che vanno a sommarsi agli oltre 166 milioni di euro dell'anno precedente facendo del Paese asiatico - come nota la Relazione - "un mercato di notevole interesse per la produzione italiana". Una nazione, la Malaysia dove, nonostante il cambio di governo, Human Right Watch documenta tuttora "detenzioni arbitrarie di oppositori politici, maltrattamenti e casi di tortura"; dodicesimo Paese al mondo per debito estero (quasi 50 miliardi di dollari) con una spesa militare che, in percentuale, supera di gran lunga quella italiana.

Segue la Turchia alla quale sono state rilasciate autorizzazioni per oltre 48 milioni di euro (il 3,2% del totale), nonostante la nazione dell'area Nato sia "sotto sorveglianza" da parte dell'Ue soprattutto per quanto concerne le violazioni dei diritti umani ed abbia un debito estero di oltre 130 miliardi di dollari che la attesta al settimo posto della scala dei maggiori debitori nel mondo. A ruota c'è l' India , con oltre 42 milioni di euro di nuove autorizzazioni (il 2,8% del totale): un paese che, nonostante la "distensione" col Pakistan, è l'ottavo debitore mondiale e nel quale vige tuttora una divisione della popolazione in caste e forti discriminazioni verso i Dalits, i cosiddetti "fuori-casta". Anche al Pakistan , comunque, sono state rilasciate nuove autorizzazioni per quasi 13,5 milioni di euro, nonostante il Paese venga catalogato dalla Banca Mondiale tra i Paesi poveri, fortemente indebitati e segnali una spesa militare di ben oltre il 5% rispetto al proprio PIL.

Meno rilevante, ma non di minore preoccupazione, l'autorizzazione al Perù di oltre 23 milioni di euro (1,4% del totale), Paese che nella classifica della Banca Mondiale è tra le "nazioni a rischio di elevato indebitamento". Il debito peruviano, infatti, è tra i peggiori in America Latina dopo Brasile e Argentina , due paesi che ricevono nuove autorizzazioni per armi italiane rispettivamente per 9,9 milioni di euro e 98 mila euro.

Quest'anno, invece, l' area asiatica registra una flessione nel valore complessivo di operazioni autorizzate (169 milioni di euro pari all'11% del totale) da attribuirsi soprattutto alle mancate commesse da parte della Cina . Nonostante la volontà dei Capi di governo dei principali paesi europei, è infatti tuttora in vigore l'embargo di armi: embargo introdotto dall'Ue nel 1989 per le repressioni - mai condannate dai gerarchi cinesi - di piazza Tiananmen e riconfermato lo scorso novembre a stragrande maggioranza dal nuovo Parlamento europeo (572 voti a favore e 72 contrari). Così, nonostante le dichiarazioni del presidente Ciampi - che lo scorso dicembre a Pechino aveva a sorpresa dichiarato l'intenzione dell'Italia di porre fine all'embargo - la Cina riceve nel 2004 autorizzazioni per un valore complessivo di "soli" 2 milioni di euro a fronte dei quasi 127 milioni dell'anno precedente che ne facevano il terzo acquirente di armi italiane. Va segnalato, comunque, lo spirito bi-partisan del Governo che autorizza nove esportazioni a Taiwan del valore complessivo di quasi 6,3 milioni di euro.

Diminuiscono anche le commesse verso i Paesi del Vicino e Medio Oriente che, con 54 milioni di euro pari al 3% del totale, segnano - nota la Relazione - "il valore più basso degli ultimi anni". Una forte flessione per quello che fino allo scorso anno rappresentava per il Governo "uno dei mercati strategici per le imprese italiane del settore". Ma non va dimenticato che l'anno scorso con alcuni Paesi dell'area, tra cui Kuwait, Giordania e Gibuti, sono stati ratificati "Accodi per la cooperazione nel campo della Difesa". Accordi che prevedono "acquisizioni e produzioni congiunte" di armamenti come "bombe, mine, razzi, siluri, carri, esplosivi ed equipaggiamenti per la guerra elettronica" e che - come segnalava in Commissione esteri a Montecitorio l'ex ministro della Difesa Sergio Mattarella - favoriscono "l'applicazione di un regime privilegiato nelle procedure relative all'interscambio di armamenti tra i due Paesi" col rischio di "un grave svuotamento delle disposizioni contenute nella legge 185 del 1990". In altre parole con tali procedure verrebbero ad essere sottratti dalla Relazione importanti informazioni che concernono la trasparenza e il controllo parlamentare. Accordi simili saranno presto sottoposti alla ratifica del Parlamento e riguardano diversi nazioni dove si registrano continue violazioni dei diritti umani o in conflitto tra cui India, Indonesia, Israele, Libia e la stessa Cina.

In definitiva, nonostante la Relazione rassicuri che "fra le autorizzazioni rilasciate, oltre a non esserci alcun paese rientrante nelle categorie indicate nell'articolo 1 della legge", e che "il Governo avrebbe mantenuto una posizione di cautela verso Paesi in stato di tensione", come si è visto i problemi permangono. E riguardano proprio l'articolo 1 della legge 185/90 che vieta espressamente la vendita di armi a Paesi in conflitto, sotto embargo Ue, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e che spendono per la difesa ingenti risorse nonostante l'alto indebitamento.

La Campagna "banche armate" preoccupa il Governo

Una preoccupazione alla quale se ne aggiunge un'altra, ben più grave, che concerne direttamente la Campagna di pressione alle "banche armate" . La Relazione segnala tra le problematiche di "alta rilevanza" trattate a livello interministeriale "quella relativa all'atteggiamento assunto da buona parte degli istituti bancari nazionali" nell'ambito della loro politica di "responsabilità sociale d'impresa". "Tali istituti, infatti - prosegue la Relazione - pur di non essere catalogati fra le cosiddette "banche armate", hanno deciso di non effettuare più, o quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l'importazione o l'esportazione di materiali d'armamento". "Ciò ha comportato per l'industria notevoli difficoltà operative, tanto da costringerle ad operare con banche non residenti in Italia, con la conseguenza - secondo il Ministero - di rendere più gravoso e a volte impossibile il controllo finanziario" delle operazioni normate dalla 185/90.

Scorrendo i dati della Relazione presentata dal Ministero dell'Economia-Finanze si apprende invece tutt'altra storia. Oltre all'incremento notevole delle transazioni bancarie, che nel 2004 hanno raggiunto la nuova cifra record di 1.317 di euro - due banche italiane da sole ricoprono, infatti, quasi il 60% delle autorizzazioni: si tratta di Banca di Roma (che si aggiudica autorizzazioni per un valore complessivo di oltre 395 milioni di euro) e Gruppo bancario San Paolo Imi (autorizzazioni per oltre 366 milioni di euro). Banche che sono seguite da altri istituti di credito italiani tra cui Banca Popolare Antoniana Veneta (121 milioni per uno share del 9%) e Banca Nazionale del Lavoro (71 milioni, cioè oltre il 5% del totale). Solo una banca straniera, la Calyon Corporate and Investment Bank, con 120 milioni di euro di autorizzazioni si aggiudica un 9% del totale dell'ordine dei maggiori gruppi italiani di “seconda fascia”; ma non va dimenticato che questa banca, nata dalla fusione di due gruppi (Crédit Lyonnais e Crédit Agricole Indosuez), è da tempo l'istituto di riferimento della Turchia. E la somma di tutte le autorizzazioni rilasciate a istituti di credito stranieri non supera il 14%, una percentuale al ribasso rispetto agli ultimi anni. In definitiva, le banche italiane rappresentano tuttora l'intermediario privilegiato per l'industria armiera nazionale.

Ma la Campagna di pressione alle "banche armate" deve aver scalfito quell'ingranaggio finora ben oleato tra industria bellica e banche italiane creando un certo fastidio nell'ambiente e, soprattutto, portando importanti istituti di credito a dichiarare formalmente di voler uscire dal business. Decisioni che non sono piaciute al comparto armiero e nemmeno ad alcune banche italiane che non gradiscono la "pubblicità" loro riservata dalla Relazione annuale. Le pressioni si sono fatte forti tanto da giungere agli alti livelli del Governo e richiedere l'intervento del sottosegretario Gianni Letta il quale, a sua volta, avrebbe chiesto al Ministero dell'Economia e delle Finanze di risolvere la questione. Ed ecco il risultato: "Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha recentemente prospettato una possibile soluzione" (delle “difficoltà operative” segnalate dall'industria bellica - ndr) che "sarà quanto prima esaminata a livello interministeriale" - si legge nella Relazione. Quale sia questa "soluzione" non è dato di sapere. Ma dal tono del discorso della Relazione governativa e dalle lamentele del comparto armiero guidato da Guarguaglini, presidente di Finmeccanica, registrate nell'articolo di Gianni Dragoni dal titolo "La difesa disarmata delle banche" apparso lo scorso 5 marzo su "Il Sole 24 ore" c'è da scommettere che non saranno nella direzione della trasparenza e del controllo aperto ai cittadini. Occorre, pertanto, tenere alta la guardia perchè c'è il rischio di non poter più accedere ai dati indispensabili alla Campagna di pressione alle "banche armate".

Nel frattempo va registrato un ulteriore e positivo passo di Unicredit (solo l'1,5% delle autorizzazioni quest'anno), l'uscita ormai definitiva di MPS e la bassissima quota di nuove autorizzazioni di Banca Intesa (1,7%) che lo scorso anno ha dichiarato il proprio disimpegno dal settore.

Preoccupa, invece, una "new-entry": la Banca Popolare di Milano che si aggiudica 22 commesse per oltre 53 milioni di importi autorizzati, più del 4% del totale. Banca Popolare di Milano è uno dei "sostenitori storici" di Banca Popolare Etica, di cui da anni distribuisce i prodotti, ed uno dei principali collaboratori di "Etica Sgr" che promuove fondi comuni di investimento ed altri prodotti finanziari "con un elevato profilo di trasparenza e di responsabilità sociale". Cosa succede?

GIORGIO BERETTA (www.disarmo.org)

FONTE: www.banchearmate.it

Vedi: http://www.altrementi.org/modules.php?name=News&file=article&sid=389

mt

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