31.08.2005
Centro e bipolarismo all’italiana di Geppy Rippa Il centrismo sollecitato in questi giorni dal professor Mario Monti sullo sfondo di un’attenzione e di una dedizione più marcate del nostro Paese all’economia di mercato, è stato invece molto criticato sotto il profilo della contestazione dell’auspicabilità dell’avvento di un terzo polo, che metterebbe a rischio quel tanto che è stato assicurato con il sia pur imperfetto bipolarismo, che, pur con tutti i suoi difetti e le sue manchevolezze, ha dato agli italiani la possibilità di scegliere un governo per mezzo del voto. Autorevoli commentatori hanno sottolineato il fatto che il centrismo ha un senso come rafforzamento delle ali centriste dei due “poli”. Operazione peraltro tutt’altro che facile considerato che, come sottolinea Angelo Panebianco, i sostenitori dell’economia di mercato sono in Italia piuttosto scarsi e molto marginalizzati, considerati violenti turbocapitalsiti ed egoistici massacratori delle conquiste dello stato sociale. E del resto anche in giro per l’Europa continentale non c’è da stare allegri. Questo ci dice allora che il problema si pone prima di tutto sul terreno culturale, mentre poi a guardar le cose senza pregiudizi è facile constatare che da un lato l’evolversi della situazione politica ed economica (italiana, europea e mondiale) evidenzia con sempre maggior chiarezza che le chiusure corporative degli stati sociali europei sono l’ostacolo maggiore alla ripresa economica. Dall’altro, non è affatto vero che l’economia di mercato debba necessariamente rappresentare il substrato strutturale di una “destra” antisociale ispirata al così detto liberismo selvaggio, perché oggi esiste la testimonianza della Gran Bretagna dei neolaburisti di Tony Blair e di Gordon Brown che ha sposato l’economia di mercato sulla scia della tradizione del riformismo liberale di quel paese (Lloyd Gorge, Beveridge, Keynes) e nel quadro di un rinnovato stato sociale, che non sia assitenzialistico, ma fornisca ai cittadini le opportunità e gli strumenti per conquistare nell’ambito dell’autonomia e dell’iniziativa individuale le possibilità di una vita migliore, con l’ispirazione e la tensione morale di rendere migliore anche la comunità nella quale viviamo. Ecco perché allora l’Europa ha davanti a sé una rivoluzione culturale, di natura liberale, che innovi radicalmente i fondamenti stessi del welfare di stampo assistenziale, una rivoluzione che è insieme anche una colossale battaglia politica. Perché le strutture e gli interressi corporativi sono estremamente forti e con criteri corporativi sono stati edificati partiti politici e sindacati di operai e di impiegati, ordini professionali, associazioni di categoria, confederazioni di imprenditori e di agricoltori, perché corporative e lottizzate sono la spesa pubblica e le stesse gestioni parlamentari e degli enti pubblici, territoriali e non. Tutto questo riporta il discorso sul sistema elettorale maggioritario, che già viene rimesso in contestazione, e per prima cosa, proprio dai neocentristi, che chiedono il ritorno al sistema proporzionale. E non è un caso. Perché il sistema elettorale proporzionale rappresentava il coronamento politico e la saldatura istituzionale dello stato corporativo. Con il sistema maggioritario si è compiuto un passo avanti, anche se si tratta di un maggioritario abbastanza “all’italiana”, perché proprio i centristi degli anni novanta hanno provveduto a salvaguardare all’interno di esso i vecchi partiti e la vecchia mentalità . Col risultato che non abbiamo avuto un sistema bipartitico, nel quale le differenze trovano all’interno di ciascuno dei due partiti principali e determinanti i luoghi e le strutture del confronto e della mediazione, ma un sistema bipolare, nel quale ciascun partito di ciascun polo si misura con gli altri a suon di ricatti e a botte di trasformismo. La strada è ancora lunga.
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