Emanuele Massetti e Valentina Bosetti per lavoce.info
Recentemente i biocombustibili hanno suscitato l’attenzione di economisti, media, politici e associazioni di consumatori. Il fenomeno si spiega in parte con l’elevato prezzo del petrolio e in parte con i benefici ambientali che derivano dalla sostituzione di benzine e diesel con i loro alter ego biologici.
L’idea di risparmiare e di avere allo stesso tempo aria più pulita, ci piace. A parte alcuni tentativi fantasiosi, e folcloristici, di fare "il pieno" nei supermercati riempiendo i serbatoi di olio di colza puro, la diffusione dei biocombustibili è in rapida crescita in tutto il mondo (+ 25,7 per cento nell’ Unione europea a 25, durante il 2004). La Commissione europea, poi, si è impegnata a sostituire, entro il 2010, il 5,75 per cento dei consumi per trasporto con combustibili di origine vegetale.
Qualche nozione di chimica
I biocombustibili sono idrocarburi ottenuti dalla lavorazione di materie prime vegetali. Sono in forma liquida (etanolo o biodiesel) o gassosa (idrogeno e biogas). Quelli in forma gassosa non sono ancora diffusi perché non possono essere usati dal parco auto in circolazione e necessitano di una specifica rete di distribuzione. Pertanto, nella nostra discussione ci limiteremo ai soli biocombustibili in forma liquida, che invece hanno una penetrazione non trascurabile e, soprattutto, crescente.
L’etanolo è ottenuto attraverso la fermentazione degli zuccheri ricavati da qualunque materia prima vegetale che contiene o che può essere trasformata in zuccheri, come l’amido e la cellulosa. La produzione di etanolo da cellulosa è però ancora in fase sperimentale. Il biodiesel è prodotto invece a partire da oli vegetali (di colza o di palma), dagli oli di scarto e dal grasso animale. Entrambi possono essere usati allo stato puro o ad alta concentrazione solo in motori modificati o espressamente concepiti. Tuttavia, miscele a bassa concentrazione, come l’E10, con il 10 per cento di etanolo e il 90 per cento di benzina, o il B5 e il B20, rispettivamente composte da 5 per cento e 20 per cento di biodiesel miscelato a diesel fossile, sono invece immediatamente utilizzabili dalle auto già in circolazione e, difatti, sono disponibili nella rete di distribuzione di numerosi paesi.
Da Diesel a oggi
Da quando, all’Esposizione universale di Parigi del 1900, Rudolf Diesel mostrò un motore che funzionava con olio di semi di arachidi, si sono esplorate numerose possibilità , tutte rimaste allo stato embrionale di diffusione fino alla crisi petrolifera del 1973.
In Brasile, il crescente prezzo del petrolio e la disponibilità di vastissime coltivazioni di canna da zucchero dalle quali ricavare bioetanolo, incentivarono la produzione di auto con motore appositamente progettato. Sebbene durante gli anni Ottanta la riduzione del prezzo del petrolio e il contemporaneo aumento di quello della canna da zucchero abbiano invertito la tendenza, il Brasile è ancora il maggior produttore e utilizzatore di bioetanolo, con 14 miliardi di litri (30 per cento del consumo di benzine); seguono Stati Uniti con 12 miliardi di litri (2 per cento del consumo di benzine) e Cina, 3 miliardi di litri. Il biodiesel è principalmente un prodotto europeo: primo produttore è la Germania (400 milioni di litri), segue la Francia (250 milioni di litri) e poi l’Italia (153 milioni di litri).
I vantaggi
I sostenitori dei biocombustibili ritengono che dalla diffusione di bioetanolo e biodiesel si ottengano tre vantaggi: maggiore sicurezza energetica per la minore dipendenza dai paesi produttori di petrolio, ridotto impatto ambientale (in termini di emissioni di CO2 e di gas nocivi) e, in Europa, un più razionale impiego delle terre coltivabili. Il tutto risparmiando: l’Economist sostiene che con un prezzo del petrolio a 50 dollari al barile i biocombustibili sono più economici della benzina e del diesel, anche scontando i sussidi di cui godono. (1)
Dunque, una fonte energetica a buon mercato, pulita, economica, rinnovabile: garantirà la serenità dei prossimi decenni? Come spesso accade, la risposta è in parte sì e in parte no. Proviamo a capire innanzitutto se i vantaggi sono effettivamente tali. E, ben più importante, se i biocombustibili sono un’alternativa valida o, quantomeno, un complemento sostanziale dei combustibili fossili nel medio-lungo periodo. È questo, secondo noi, il vero nodo da sciogliere.
Iniziamo dai vantaggi ambientali. L’uso dei biocombustibili comporta una marcata riduzione delle emissioni di CO2, responsabili dell’effetto serra: il britannico Defra (Department of Environment, Food, Rural Affairs) stima che nel ciclo di vita di una tonnellata di biocombustibile si producono 0,9 tonnellate di CO2 contro le tre tonnellate prodotte da benzina e diesel. La CO2 rilasciata durante la combustione, infatti, è stata sottratta dall’atmosfera al momento della crescita del vegetale, avvenuta mesi e non milioni di anni prima. Tuttavia, a parte l’etanolo derivato da cellulosa, direttamente impiegabile come combustibile, il ciclo non è completamente chiuso per l’energia necessaria nel processo di trasformazione. I biocombustibili generano inoltre minori emissioni di monossido di carbonio, anidride solforosa e particolato rispetto alla benzina e al diesel.
I vantaggi sono quindi reali e immediatamente percepibili. E, nell’ambito delle strategie per il rispetto del protocollo di Kyoto, la Commissione europea si è impegnata a sostituire il 5 per cento della domanda di combustibili fossili per autotrazione con biocombustibili. Per ottenere questo risultato ha previsto agevolazioni fiscali e sussidi e ha permesso coltivazioni per biocombustibili su quel 10 per cento delle terre arabili che la Politica agricola comunitaria vieta di usare per raccolti alimentari.
Gli incentivi
È una strategia efficiente o sarebbe più economico spendere gli incentivi per i biocombustibili in modo diverso? Il problema è stato recentemente affrontato da tre ricercatori irlandesi. (2) Il loro presupposto è che se si considerano i costi alla pompa, senza tasse, nell’Europa a quindici i biocombustibili attualmente disponibili non sono competitivi con quelli fossili tradizionali (vedi tabella). Ciò rimane vero anche quando si internalizzano i costi ambientali delle emissioni di CO2. Solo con un prezzo della CO2 superiore a 229 euro la tonnellata, i biocombustibili sono economicamente convenienti. Ma attualmente il prezzo dei permessi nello European Emission Market è pari a circa 20 euro la tonnellata: i sussidi ai biocombustibili, con lo scopo di ridurre le emissioni di CO2, non sono dunque efficienti.
Altri motivi potrebbero però spingere i governi a continuare nella politica dei sussidi ai biocombustibili. In tal caso, sostengono i tre ricercatori, lo strumento più efficiente sarebbe l’esenzione fiscale. Ci sono tuttavia due problemi: da un punto di vista statico, le tasse non sono sufficientemente alte da coprire la differenza di costo e sono pertanto necessari sussidi mirati; da un punto di vista di medio-lungo periodo, ci si deve chiedere se la perdita di gettito fiscale che ne deriva è realmente sostenibile. A meno di drastiche riduzioni di costo, oppure di importazioni dal Brasile di bioetanolo, il solo attualmente competitivo, la diffusione sussidiata dei biocombustibili non sembra né praticabile né efficiente.
Le reali possibilità di diffusione
D’altra parte, per valutare appieno i vantaggi ambientali, dovremmo capire quale impatto avrebbe la trasformazione di vaste aree agricole e la conversione di altre zone, come pascoli o foreste, alla produzione di massa vegetale per biocombustibili. La perdita di biodiversità e l’impatto negativo sul ciclo del carbonio, nonché l’eccessivo sfruttamento di terre marginali con rischio di desertificazione, potrebbero annullare ogni beneficio ambientale. La questione è dunque se e come sia possibile espandere la produzione senza incorrere in questi danni e quale possa essere l’apporto delle biotecnologie alla soluzione del problema.
Secondo molti studiosi solo un prezzo del petrolio costantemente superiore ai 70 dollari al barile renderebbe i biocombustibili un’alternativa economicamente efficiente. La loro reale diffusione dipenderà tuttavia dall’effettiva capacità produttiva nel lungo periodo e dall’abilità dell’offerta nel seguire la domanda, dai costi associati alla messa a coltura di vaste aree agricole sempre meno fertili e dalla capacità delle biotecnologie nell’aumentare la produttività dei raccolti.
Fonte con note e ulteriori approfondimenti: http://www.lavoce.info/news/view.php?id=9&cms_pk=1719&from=index
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