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Migranti, banco di prova per la democrazia di Filippo Miraglia
6.09.2005

...verso Mondinsieme 2005...
Migranti, banco di prova per la democrazia
un contributo di ARCI Nuova Associazione
al dibattito culturale e all'azione politica

La grande bugia sulla quale sino ad oggi sono state costruite le politiche italiane in materia di immigrazione riguarda la possibilità di entrare legalmente nel nostro Paese: questa possibilità non esiste!

Nessuno di coloro i quali hanno accesso all'opinione pubblica e che ne influenzano gli orientamenti, (cioè in prevalenza politici e giornalisti), ha mai sottolineato come la scelta di entrare illegalmente (clandestinamente) o aggirando la legge sia una scelta obbligata.
E questo non dall'entrata in vigore della Bossi Fini ma da prima, cioè anche per il periodo in cui vigeva il Testo Unico come predisposto dal governo di centro sinistra e la legge conosciuta come Turco-Napolitano.

Fatta salva quella importante porta d'ingresso costituita dai ricongiungimenti familiari, che con la Bossi Fini ha subito restrizioni intollerabili, soprattutto nella sua concreta applicazione, l'ingresso per lavoro, che è oggi come in passato il motivo principale per cui le persone arrivano e risiedono nelle nostre città, avviene con il meccanismo della chiamata diretta nominativa, attraverso gli uffici provinciali per il lavoro. Una sorta di "collocamento planetario" antistorico quanto improbabile. Va detto peraltro che anche il meccanismo dello sponsor, cancellato dalla Bossi Fini e introdotto dalla Turco Napolitano, prevedeva comunque la presenza di un legame precedente con una persona presente in Italia, e quindi una conoscenza reciproca (tra straniero aspirante lavoratore e prestatore di garanzia) precedente all'ingresso in Italia che, nella maggior parte dei casi prevede un ingresso illegale o per motivi diversi dal lavoro (cioè prevede, come già detto, che la legge venga aggirata).

Come funziona la chiamata per lavoro? Il datore di lavoro si presenta all'ufficio per l'impiego e presenta una richiesta nominativa di autorizzazione al lavoro. Nel marzo di quest'anno sono state presentate, secondo i dati del governo, 215 mila richieste di autorizzazione nominative al lavoro (questa volta per posta). Non esistendo alcuna lista di persone disponibili a lavorare in Italia presso le nostre ambasciate all'estero, come prevederebbe la legge, risulta del tutto evidente che le chiamate nominative sono state presentate dai datori di lavoro che già avevano una conoscenza diretta dei lavoratori e delle lavoratrici.
La conseguenza di questo dato è che in Italia nel marzo del 2005 c'erano almeno, in base ai dati ufficiali, 215 mila stranieri irregolarmente presenti con un rapporto di lavoro in nero già avviato. Mentre, secondo le stime del Sole 24 Ore queste domande sarebbero quasi 400 mila.
Se a queste si sommano tutte quelle persone straniere che lavorano in nero e sono irregolarmente presenti e i cui datori di lavoro non hanno alcuna intenzione di regolarizzare il rapporto di lavoro e conseguentemente lo status giuridico dei lavoratori stranieri, ecco che si arriva ad una cifra certamente vicina, se non superiore al mezzo milione di persone presenti irregolarmente.

Questo risultato, che è una conferma di quanto già sapevamo, è il prodotto delle politiche proibizioniste in materia di ingressi ed è il veleno che inquina la maggior parte delle relazioni che si instaurano in Italia tra stranieri e italiani, sia sul piano formale che informale.

L'assenza di una via d'ingresso legale infatti innesca meccanismi di dipendenza, di ricatto e di instabilità del soggiorno, che determinano relazioni diseguali tra datori di lavoro e lavoratori, tra proprietari di case e inquilini, tra i cittadini stranieri e le istituzioni.
E l'elenco potrebbe essere lunghissimo e riguarda tutti gli ambiti delle relazioni sociali.

A dimostrazione ulteriore di questo veleno sociale che le leggi sull'immigrazione hanno introdotto nelle relazioni tra migranti e società d'accoglienza c'è il numero di "sanati" che supera, nelle 5 sanatorie o regolarizzazioni che ci sono state in Italia negli anni 1986, 1990, 1995, 1998 e 2002, la cifra di 1,8 milioni e che quindi si avvicina molto ai tre quarti di stranieri oggi residenti nel nostro Paese.
Per tutti questi è certo che lo status di clandestino o irregolare fa parte della loro storia di migrante e che non si tratta di una scelta, di un tratto della loro "natura", come spesso vorrebbero farci credere ministri e giornalisti razzisti, ma di un "obbligo di legge".
Un obbligo di legge che innesca una forma di schiavitù moderna dalla quale difficilmente ci si libera.

In tutti questi anni, anziché parlarci di questa verità, che è quella che riguarda la vita di milioni di persone straniere oggi presenti in Italia, ci hanno parlato di sicurezza, solidarietà, insicurezza e rispetto della legalità.
Tutte questioni che hanno a che fare con la rappresentazione mediatica del fenomeno e non con la realtà dei fatti.

A fronte di una chiara scelta razzista del centro destra, sintetizzata dalla Bossi-Fini e dalla consistenza dell'apparato repressivo messo in atto in questi anni, come in passato la classe politica di centro sinistra, con poche eccezioni, va ricercando soluzioni rassicuranti soprattutto per se stessa.

Ciò che serve in materia di immigrazione sono leggi e pratiche giuste ed efficaci per dare risposte ad un fenomeno complesso ed oramai strutturale per le nostre società, che riguarda tutti gli ambiti della nostra democrazia e che fino ad oggi è stato governato con un misto di incompetenza, demagogia e paura.

In particolare sugli ingressi l'unica risposta realistica è l'introduzione di un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, senza restrizioni di alcun genere che, come l'esperienza ci insegna, alimenterebbero solo la clandestinità.

Una proposta realistica, che consentirebbe a tutti di entrare legalmente, nel rispetto di regole certe, volte a garantire innanzitutto chi vuole attraversare le nostre frontiere.
Non c'è altra via per porre fine all'ignobile traffico di vite umane, col suo doloroso bagaglio di morti e per eliminare ricattabilità e sfruttamento nel mondo del lavoro.

Lo straniero che vuole entrare in Italia si rivolgerebbe alla rappresentanza consolare italiana del Paese d'origine chiedendo di entrare e autocertificando la disponibilità di risorse sufficienti a mantenersi per il periodo di durata del permesso di soggiorno (almeno 6 mesi). Ad ingresso avvenuto, il visto, dove previsto, si dovrebbe, come già oggi avviene per le altre tipologie di permessi di soggiorno, trasformare in permesso a partire dalla sola dimostrazione delle risorse disponibili.
In tal modo la persona in cerca di lavoro si potrebbe muovere liberamente sul territorio, unica condizione perché l'incontro tra domanda e offerta di lavoro avvenga in maniera legale, paritaria e trasparente.
Lo Stato sarebbe a conoscenza della presenza di questa persona, della sua identità e dell'evolversi della sua condizione sul territorio.
Si sarebbe a conoscenza anche del numero di visti e permessi per ricerca di lavoro che si trasformano in permessi per lavoro e quindi una verifica a valle del numero di lavoratori necessari. Lo straniero in cerca di lavoro potrebbe rimanere fino a che le sue risorse lo consentano e tornare a casa nel caso di fallimento del progetto migratorio e a risorse finite (se lo straniero è in possesso di risorse sufficienti non si capisce perché non deve poter rimanere in Italia auto sostenendosi; si pensi a tal proposito alle migliaia di euro che i migranti pagano ai trafficanti di clandestini per attraversare la frontiera dell'Europa), per poi ritornare dopo un breve periodo (un anno ad esempio) sulla base di un patto sottoscritto al momento dell'ingresso sul territorio dello Stato. Un patto che renderebbe efficace la regola perché si baserebbe su un meccanismo premiale che rende conveniente a entrambi, allo straniero e allo Stato, il rispetto dello regole.

Un meccanismo che potrebbe anche prevedere degli interventi straordinari a valle di limitazione del numero di ingressi annui (normalmente senza limiti), sulla base però della mancata trasformazione dei permessi per ricerca di lavoro in lavoro e quindi di un mancato assorbimento di quote consistenti di lavoratori nel mercato del lavoro. Un meccanismo che non prevede alcun intervento del vecchio sistema del collocamento o dei nuovi uffici provinciali per l'impiego, data la mobilità del lavoro e le modalità con cui avviene concretamente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Con questa modifica verrebbe depotenziato strutturalmente l'apparato delle espulsioni, che ancora oggi rappresenta una sorta di ossessione per il centro sinistra (come si fanno le espulsioni se chiudiamo i Cpt? É la domanda che ricorre ossessivamente nei discorsi di chi, con la paura di perdere consensi, non vuole tornare indietro su quella scelta sbagliata e ingiusta) ed è il fulcro di tutta la legislazione sull'immigrazione, perché verrebbe resa marginale l'azione di contrasto all'immigrazione clandestina e alle irregolarità amministrative legate al permesso di soggiorno. Gli stranieri infatti non avrebbero alcuna convenienza a ricorrere ai trafficanti di clandestini (ai quali peraltro affidano ingenti risorse e la loro vita) o ad aggirare la legge come oggi avviene e preferirebbero, anche in caso di fallimento del progetto migratorio, le vie legali.

Insieme a questa modifica va cancellata ogni forma di inferiorizzazione dei migranti, di razzismo istituzionale, a partire dalla chiusura definitiva della stagione del diritto speciale con i suoi Cpt, le sue garanzie inferiori, gli inutili soprusi che ogni giorno devono subire centinaia di migliaia di persone.

Se il centro sinistra riuscirà a fare questo, a partire dalla discussione che si apre sul programma dell'Unione, comincerà realmente a praticare quella alternativa alla cultura di destra che in questi anni ha pervaso il nostro Paese e l'Europa.

Il contributo che al Meeting di Cecina abbiamo consegnato - insieme alla Cgil - ai partiti dell'Unione alla elaborazione programmatica necessaria per una discontinuità con il passato, può rappresentare un buon inizio per una nuova stagione dei diritti e delle libertà.


Filippo Miraglia
Responsabile nazionale Immigrazione
ARCI Nuova Associazione

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