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L’ETERNO RITORNO DELLA QUESTIONE MORALE di M.Di Schiena
18.09.2005

L’ETERNO RITORNO DELLA QUESTIONE MORALE

Politici impegnati a mettere sempre più pesantemente le mani sull’economia, interventi per controllare banche e giornali, affaristi che condizionano scelte istituzionali, conflitti di interessi che dai massimi livelli si estendono ai centri medio-bassi del potere pubblico, riduzioni dei concorsi e crescita delle nomine nelle pubbliche amministrazioni, deliberazioni orientate dall’interesse privato, spese "allegre" per portaborse ed altri privilegi, incarichi rigorosamente lottizzati secondo le regole del manuale Cancelli: è il ritorno alla grande della "questione morale", un tema che dovrebbe occupare il primo posto nel programma dello schieramento di centrosinistra ed essere messo al centro del confronto durante la prossima campagna elettorale per le elezioni politiche.

«I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni a partire dal Governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali»: sembra un’analisi dei nostri giorni la denuncia di degrado morale della politica che Enrico Berlinguer faceva in una intervista pubblicata da "la Repubblica" il 28 luglio 1981. Ed in quella occasione ad Eugenio Scalfari che chiedeva se i cittadini sopportavano un simile andazzo perché lo accettavano o perché non avvertivano la gravità del fenomeno, il leader del PCI così rispondeva: «molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne o temono di non riceverne più». Parole queste di scottante attualità, prima sottovalutate e poi largamente dimenticate, che dimostrano la lucidità e la lungimiranza di un appello alla responsabilità e al cambiamento che va oggi fortemente rilanciato.

Sul versante della moralità politica la "seconda Repubblica" è quindi diventata come la prima o forse peggio di essa e c’è perciò bisogno di una vera svolta da costruire con la massima chiarezza e con ogni determinazione. Occorre quella «diversità» nella gestione del potere che 24 anni addietro Berlinguer indicava come la strada maestra per potenziare ed allargare la democrazia evitando il rischio di farla soffocare in una palude di cordate affaristiche e di reti clientelari. La moralità pubblica è invero nel nostro Paese una malattia cronica che aveva dato segni di remissione durante la rivolta civile contro gli abusi di Tangentopoli ma che oggi, a causa di gravi errori e di tante omissioni, si presenta forse in modo più grave ed aggressivo di ieri. Ecco allora lo sconcertante affermarsi di una concezione proprietaria della gestione della cosa pubblica e di quel "familismo amorale", per il quale il parente, l’amico, il servizievole factotum, il "compare" di partito o di congrega vengono prima delle più elementari esigenze di giustizia e del dovere di tutelare la credibilità delle istituzioni. Una nefasta cultura che si coglie a piene mani nei comportamenti e persino nelle impudenti dichiarazioni di certi esponenti politici sempre più insofferenti alle critiche e sempre più chiusi nella loro arroganza.

Ma in che cosa deve consistere la «diversità» indispensabile per un effettivo mutamento? Con Enrico Berlinguer ricordiamo che i partiti devono, come afferma la Costituzione, concorrere alla formazione della volontà della nazione. E lo devono fare interpretando le grandi correnti di opinione ed organizzando le aspirazioni del popolo senza occupare sempre più centri di potere in ogni campo. Così come diciamo che il privilegio va combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati vanno difesi e che ad essi deve essere data la possibilità concreta di contare di più e di cambiare le proprie condizioni, che i bisogni sociali oggi disattesi devono essere soddisfatti con ogni priorità, che la professionalità ed il merito vanno premiati e che la partecipazione di ogni cittadino alla cosa pubblica deve essere davvero assicurata.

Ne discende che la "questione morale" finisce per coincidere con la "questione politica", una questione che reclama, contro le riforme berlusconiane, un forte rilancio della Costituzione che fonda la Repubblica sul lavoro, indica nella partecipazione democratica la linfa vitale della politica, disegna un modello di economia a misura d’uomo assegnando al potere pubblico un ruolo attivo e regolatore nei processi economici e ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Il tutto non omettendo di prescrivere, con preciso riferimento alla moralità politica, che le funzioni pubbliche vanno adempiute «con disciplina ed onore» e che gli uffici pubblici devono essere organizzati «in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».

Brindisi, 15 settembre 2005

Michele DI SCHIENA

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