25.09.2005
Giancarlo Siani era un giovane giornalista pubblicista napoletano. Fu ucciso a Napoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa, nel quartiere residenziale del vomero: aveva compiuto 26 anni il 19 settembre, pochi giorni prima. Sono passati 20 anni da allora. E, forse, ancora troppo poco è stato fatto per
ricordarlo. E rendergli il giusto omaggio. Fu durante l’università che Giancarlo Siani iniziò a collaborare con alcuni periodici napoletani. Ma fu il passaggio prima al periodico "Osservatorio sulla camorra", rivista diretta da Amato Lamberti, e soprattutto quello al quotidiano "Il Mattino", come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia dove faceva la vita di redazione, a fargli fare il grande salto. È questo il periodo in cui il giovane cronista campano approfondì le dinamiche del fenomeno camorristico con una serie di inchieste che riguardavano gli affari del boss locale, Valentino Gionta. Inchieste che gli risultarono fatali. «Un'esperienza che lo fece diventare fulcro dei primi e temerari movimenti del fronte anticamorra che sorgevano - si legge nella biografia pubblicata dal sito internet www.giancarlosiani.it a lui dedicato - Promotore di iniziative, firmatario di manifesti d'impegno civile e democratico, Siani era divenuto una realtà a Torre Annunziata: scomodo per chi navigava nelle acque torbide del crimine organizzato, d'incoraggiamento per chi aveva una coscienza civile, ma non aveva il coraggio per urlare. Lui, invece, urlava con i suoi articoli, urlava con umiltà , ma paradossalmente riusciva ad insinuarsi». La decisione di ammazzarlo fu presa dopo la pubblicazione di un suo articolo su “il Mattino”. Era l’edizione del 10 giugno 1985 e Siani spiegava come i carabinieri erano riusciti ad acciuffare Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata (attualmente in carcere condannato all'ergastolo). Ci impiegarono tre mesi a organizzare l’omicidio, mesi durante i quali Siani continuò la sua attività di denuncia, proprio nel momento in cui la Campania veniva sommersa dai miliardi della ricostruzione per il post terremoto dell’Irpinia di cinque anni prima. Questa è la verità giudiziaria dimostrata dagli inquirenti 8 anni dopo il delitto, con la collaborazione di alcuni pentiti e confermata per tutti gli imputati, (con la sola eccezione del boss Valentino Gionta,) nei tre gradi di giudizio con una serie d'ergastoli. Oggi, a vent’anni dalla morte, l’esempio di Siani non dev’essere dimenticato.
Fonte: http://www.lanuovaecologia.it/speciale/inchieste/4679.php
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