7.10.2005
Parola di Carlo Freccero. Carmen Ruggeri per Girodivite.it
È lecito usare le candid camera per denunciare alla magistratura le malefatte italiane? ’’Certo, ma è morta la passione per le inchieste’’. A colloquio con l’ex direttore di Raidue. Il pubblico ministero di Vicenza ha aperto un’inchiesta sul giornalista sportivo Amedeo Goria, grazie a un’inchiesta mandata in onda dal programma “Le Iene” lo scorso 22 settembre. Un cinquantenne custode di un campeggio sul lago di Garda è stato fermato poco tempo fa dalla polizia con l’accusa di pedofilia grazie ai filmati girati sempre dalla stessa trasmissione di Italia1. Il giornalismo televisivo, insomma, indossa i panni da detective: scova, filma, denuncia e passa la palla alle procure.
Si tratta di vere inchieste o di mere strategie di marketing? Che fine ha fatto il modello giornalistico d’inchiesta che ha fatto grandi molte testate italiane? Ne abbiamo discusso con Carlo Freccero, docente di "Linguaggio della televisione generalista" all’Università Roma tre, ex direttore di Raidue, leader di ascolti ai tempi dell’incarico grazie a un modello di tv alternativo in cui c’era spazio per i fratelli Guzzanti, il teatro impegnato di Marco Paolini, fino all’informazione di Santoro & Co.
Freccero, in passato i giornalisti d’inchiesta frequentavano le procure per avere informazioni e documenti, adesso si sono invertiti i ruoli?
A dire il vero mi interessano poco queste cose. Preferisco di gran lunga le inchieste che riguardano l’aspetto pubblico e sociale. Quella delle Iene mi sembra più un’informazione da tabloid. Nulla in contrario, rispetto il lavoro delle Iene, ma mi chiedo: perché nessuno indaga sulle vicende Bankitalia o su quelle Parmalat? perché nessuno dice cos’è successo a Falluja? Inchieste che denunciano cosa è successo, che parlano di notizie censurate non ce ne sono più. Quelle di cui lei accenna, si incentrano sulla cronaca nera: ben vengano, dunque, ma c’è bisogno d’altro...
Ad esempio?
Quelle che faceva Michele Santoro, che fa ancora Milena Gabanelli e la sua redazione di "Report".
La tv informa poco, i giornali sono accusati di adagiarsi sulle veline di palazzo. “Le Iene” rischiano forse di restare, nel grigiore mediatico, l’unico esempio italiano di giornalismo come “cane da guardia”?
Oggi il pericolo è uno: il giornalista non controlla il potere, è immerso nel potere. Abbondano gli uffici stampa, i portavoce... il continuo contatto tra le due sfere mette in pericolo l’esistenza della professione, generando una pericolosissima “visione unica” della realtà . Fare controinformazione in questa situazione è difficilissimo. Programmi come “Le Iene”, “Striscia la notizia” e siti internet come “Dagospia” sono utili ma, ripeto, credo che bisogna fare altro, come faceva "l’Espresso" negli anni Sessanta: quelle erano inchieste approfondite su temi impegnati. Oggi la controinformazione è diventata infotainment, informazione-intrattenimento, che lavora sul personale e lascia da parte discorsi più impegnati
Le nuove tecnologie, sempre più sofisticate, permettono a chiunque di diffondere informazioni private. È il caso de “Le Iene”, ma anche di “Matrix” di Enrico Mentana, che non a caso ha assoldato un ex-Iena per il compito. Sono le regole del giornalismo o si tratta invece di violazione della privacy? Non c’è il pericolo che si degeneri in una visione orwelliana?
Siamo tutti controllati. Siamo già dentro un Grande Fratello. La questione della privacy è quasi superata. Ogni nostra azione imprime tracce ovunque, informatiche e no. Tutto è visibile, il problema è sempre lo stesso: è visibile tutto ciò che è personale
L’abbiamo già visto con i grandi eventi (l’11 settembre, le stragi di Londra...) è ormai l’era del mediattivismo. Chiunque con una telecamerina da palmo può informare ma anche denunciare. Non c’è il pericolo che le inchieste di cui lei parla sfuggano all’occhio professionale?
Chiunque può fare informazione. Ma ovviamente non tutti sono in grado di distinguere ciò che può fare veramente notizia. Solo un professionista della categoria può strutturare l’informazione, capirne i nessi, la forza e denunciare
Il sistema sembra ormai viziato: le inchieste scomode, quelle approfondite, soccombono alla mannaia della censura, mi viene da pensare ad esempio al suo “Bella ciao” sui fatti di Genova. Sabato e domenica scorsa i giornalisti hanno incrociato le braccia contro la piattaforma degli editori sempre più dediti alla loro missione imprenditoriale. Qualcosa può cambiare?
Ormai è scattata l’autocensura. I mezzi d’informazione vanno a braccetto col potere. I media costano, questo è un dato di fatto, ma adesso è veramente scandaloso che non si salvino più le apparenze. È scandaloso che la cacciata di Biagi, Santoro e Luttazzi sia stata normalmente accettata. Quello tra il giornalismo e il potere è ormai un rapporto di matrimoni, non più d’amore. Il mio documentario è vero, non è andato mai in onda... Si dimentica spesso che il valore dell’informazione è sacro.
Giro di vite/aprileonline.info
Vedi: http://www.girodivite.it/article.php3?id_article=3015
mt
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