10.10.2005
Sui diritti umani siamo kantiani non possiamo essere relativisti - di Gianfranco Pasquino
Il tema della relatività , se posso dire così, del
relativismo, che è il cavallo di battaglia del pontificato di Papa
Ratzinger, merita molto più di una riflessione. Qualche volta, con
buona pace di Benedetto XVI, siamo, giustamente, relativisti.
Altre
volte dobbiamo essere, ancora più giustamente, assolutisti. Il
relativismo dei valori, vale a dire delle credenze e delle pratiche,
senza volere sminuirle, anche di quelle religiose, che hanno importanza
per noi, ha senso in special modo se si riferisce agli stili di vita
nella loro complessità . «De gustibus non est disputandum».
Non metterò
in questione i gusti/gli stili di vita degli altri, a condizione,
naturalmente, che gli altri non mi impediscano di seguire il mio stile
di vita preferito. Reciprocamente né io né nessun altro dovrà avere la
possibilità e il potere di imporre a chiunque i propri stili di vita.
Nel campo dei diritti, civili, politici e sociali, al limite, se
vogliamo, in senso lato culturali, il discorso è, invece, molto, molto
diverso. Non è soltanto che l'Occidente e l'Europa hanno maturato nel
corso del tempo una visione complessiva e consolidata di questi
diritti, ma è, soprattutto, che questi diritti, che oggi definiamo
umani, che riguardano, ad esempio, i bambini, le donne, gli anziani, le
minoranze di tutti i tipi, hanno acquisito, anche attraverso importanti
e specifiche dichiarazioni delle Nazioni Unite, quindi sottoscritte e
firmate anche da un alto numero di governanti non democratici (e, se
vogliamo, non cristiani), una portata universale. Questo è tanto vero
che in molti sistemi politici, raramente occidentali, spesso del resto
del mondo, governati in maniera variamente autoritaria, le opposizioni
si richiamano concretamente e esattamente a diritti civili e politici
che caratterizzano la vita democratica dei paesi occidentali.
Sappiamo, certamente, che non dovremmo imporre con la forza i diritti
civili e politici che costituiscono l'architettura delle democrazie e
dovremmo anche avere imparato che, salvo casi eccezionali, non ci
riusciremmo.
Anzi, finiremmo per essere costosamente controproducenti.
Non per questo, però, dobbiamo rinunciar al dovere, morale, prima
ancora che politico, di cercare di diffondere questi diritti e di
sostenere tutti coloro, e sono tanti, che nei regimi autoritari vi si
richiamano, spesso facendo sentire la loro voce dalle rispettive patrie
galere. Inoltre, è giusto che le democrazie occidentali (e l'Unione
Europea) valutino gli altri sistemi politici proprio facendo
riferimento alla protezione e alla promozione di questi diritti.
Sarebbe un errore gravissimo condito da una punta di razzismo affermare
che quello che vale per noi occidentali e europei non vale per i popoli
di altri continenti che non possono «permetterselo», che non sarebbero
«pronti», non avrebbero gli stessi nostri desideri e che dovrebbero,
piuttosto, ispirarsi alle loro tradizioni. Questa accettazione
subalterna di una versione deteriore della corrente di pensiero che va
sotto il nome di comunitarismo finisce per giustificare non soltanto la
violazione sistematica dei diritti civili e politici, ovvero,
addirittura, la loro pura e semplice soppressione, ma consente anche la
repressione dei diritti umani.
Il riconoscimento acritico che le
comunità hanno una loro storia e una loro tradizione significa troppo
spesso, ad esempio, l'accettazione che quelle comunità continuino a
comminare la pena di morte, che condannino alla lapidazione le adultere
(gli adulteri sembra che se la cavino sempre), che pratichino
mutilazioni e infibulazioni. Questo relativismo non riguarda più
semplicemente stili di vita particolari e non invasivi; riguarda,
invece, sacrosanti diritti che sono universali e, oserei affermare,
addirittura assoluti - anche se sono consapevole che la morale e
l'etica maturano e si trasformano nel corso del tempo. Non è, però, il
caso di aspettare la lenta maturazione del rispetto dei diritti umani,
dell'integrità fisica e mentale delle persone quando in molto luoghi
del mondo a questa maturazione si è giunti da tempo e quando sappiamo
che il mancato rispetto di questi diritti ha, in molti paesi, un'unica
motivazione, nient'affatto legata alla tradizione e al senso di
comunità : il mantenimento del potere politico e qualche volta religioso
(e del potere patriarcale, ugualmente con forti connotati politici,
ovvero degli uomini sulle donne, e sui bambini).
Se l'Occidente e
l'Europa intendono essere e rimanere società aperte, proprio come le
intendeva Sir Karl Popper e con lui tutto il pensiero liberale e
"repubblicano", dovranno accogliere nei loro territori stili di vita
diversi, ma, proprio per continuare e prosperare come società aperte
dovranno seguire nel campo dei diritti civili, politici, religiosi e,
in senso più lato, umani, un imperativo quasi kantiano «fa agli altri
soltanto quello che vorresti fosse fatto a te». Nei limiti della
storicità dei valori questa è un'etica comportamentale, di tradizione
occidentale, con grandi capacità espansive e propulsive. Basta crederci
e agire di conseguenza.
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